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Ema, chi ha giocato contro l’Italia?

Cronaca di un sorteggio sfortunato.

E due. Prima la storica e clamorosa eliminazione dell’Italia dal Mondiale russo del 2018 per opera della Svezia. Poi la sconfitta – alla lotteria dei rigori, si potrebbe dire per usare una metafore calcistica – nella corsa all’assegnazione dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, che traslocherà da Londra ad Amsterdam, e non a Milano. È finita 13 pari alla terza votazione e, ormai è storia, la sorte l’ha assegnata agli olandesi.

È un errore però accomunare le due sconfitte: molto più grave la prima della seconda, dato che il capoluogo lombardo sì è mosso bene per preparare la competizione, e se le preferenze raccolte da Copenhagen nella seconda votazione non fossero finite tutte (o quasi) ad Amsterdam, l’Italia ce l’avrebbe fatta. Un “biscotto” danese con Amsterdam per tagliare fuori l’Italia? Il pensiero vola subito di nuovo al calcio, e ai campionati europei di calcio del 2004, quando Danimarca e Svezia con un pareggio ben calibrato sacrificarono l’Italia sull’altare dell’eliminazione. Curiosamente i nomi sono sempre gli stessi: è chiaro che lassù, in Scandinavia, qualcuno non ci ama.

L’altra indiziata forte per la nostra sconfitta è la Spagna, che ha preferito non votare l’Italia nonostante la prossimità mediterranea. Cosa ne avrà in cambio dall’Olanda non è assolutamente chiaro, visto che per il momento è andata solo a indebolire l’area del sud dell’Unione. ForbesITALIA ha interpellato Lia Quartapelle, deputato del Partito democratico, segretario della Commissione esteri della Camera e promotrice politica di questa candidatura, per capire qualcosa di più di quanto successo.

“La mancata vittoria di Milano” – dice la Quartapelle – “che ha preparato egregiamente la sua candidatura con un dossier completo e che aveva già pronta la sede (il Pirellone, ndr) è figlia di un’altra mancanza, che ha pesato molto, del nostro Paese: l’incapacità di avere l’adeguata proiezione internazionale a livello geopolitico. Investiamo troppe poche risorse in attività diplomatiche e di cooperazione, lo facciamo senza un disegno unitario preciso ma vogliamo entrare sempre nelle partite che contano, facendo leva su una presunta «superiorità» derivante dall’essere il Belpaese, con tutto ciò che ne consegue. Come è possibile avere una reale voce in capitolo nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, nelle grandi aree di crisi come la Libia o persino la Siria, se non si ha una storia e una solidità diplomatica che deriva dall’aver intrecciato rapporti duraturi”?

La domanda è in effetti lecita e il quadro disegnato dalla Quartapelle è quello di un Paese che continua a guardare il proprio ombelico, in una sorta di atteggiamento narcisistico e un po’ infantile. “Faccio un esempio” – continua la deputata – “nel preparare il terreno per la nostra candidatura siamo andati a visitare l’Estonia, per la prima volta nel giugno del 2017. È stata chiaramente una leggerezza, dato che in queste votazioni ha lo stesso peso di Germania o Francia, quando si va alle urne. È chiaro che competizioni come queste vanno preparate con largo anticipo, per lasciare che le relazioni si saldino a dovere e possano diventare degli appoggi politici. Speriamo che la storia dell’Ema ci insegni a evolvere verso un modello di diplomazia internazionale più maturo. Avere una maggiore unità di intenti, non muoversi in ordine sparso e lavorare continuamente sulla crescita dei rapporti diplomatici è fondamentale per presentarsi alle competizioni internazionali con le carte in regola. Milano le aveva tutte sul piano dell’offerta per i funzionari che sarebbero dovuti trasferire qui. È mancato altro”.

Milano e il suo bacino geografico, dicono le proiezioni economiche elaborate per la sua candidatura, avrebbero perso ben oltre un miliardo di euro l’anno di introiti legati al trasferimento dell’Agenzia del farmaco, che avrebbe anche potuto lavorare in coordinamento con l’Efsa di Parma, che si occupa di sicurezza alimentare. Migliaia di persone che si sarebbero trasferite qui tra funzionari e famigliari, sedi di rappresentanza di industrie farmaceutiche, via vai di personale che lavora e dipende dalle decisioni dell’agenzia. E non ci resta neanche il mondiale di calcio per consolarci. Né panem, né circenses.

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