“Futuro” è forse il termine che è stato più d’ispirazione per il progresso sociale e culturale dell’umanità. Partendo da questo spunto, uno dei quesiti più incalzanti della società moderna riguarda la ricerca di benessere e standard di vita sostenibili alla luce della diminuzione della quantità delle risorse disponibili. Il cibo del futuro è la chiave per comprendere come sopravvivrà l’uomo del domani. E con lui i suoi affari, dato che la soddisfazione dei bisogni primari è il motore di ogni processo economico (nutrirsi per sopravvivere, lavorare per nutrirsi, lavorare per sopravvivere).
La redazione di Forbes ha quindi deciso di provare a ragionare su quelli che saranno gli affari del futuro, attraverso un’analisi comparativa dei più discussi e papabili “cibi del futuro”. Per farlo abbiamo stabilito di dare una valutazione puntuale (assegnando un voto da 1 a 5) a quelli che potrebbero essere i cinque elementi determinanti nel successo di tali alimenti, ovvero: Profittabilità, Impatto ambientale, Innovazione, Appetibilità e Potenziale nutrizionale. La posizione finale è frutto della sommatoria dei punteggi nelle singole voci di giudizio.
In ragione delle evidenze e degli approfondimenti mostrati in più occasioni da un organismo competente come la Fao (Food and Agricolture Organization of the United Nations) e dagli sviluppi odierni sul tema, abbiamo comparato i 5 nomi comunemente più discussi in materia di nutrizione futura, lasciando in calce un piccolo spazio per possibili “outsider”, forse ora ancora acerbi per competere nella top 5, ma sicuramente da tenere d’occhio. Non abbiamo voluto limitarci al cosiddetto “novel food”, ovvero a quegli alimenti che “non siano stati utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità prima del 15 maggio 1997”; abbiamo preso in considerazione sì il futuro, ma senza dimenticare quello che ci offre anche il presente.
La Top 5
5 – Megafrutti (Punteggio finale: 16)
In una storica pubblicità si sentiva dire che per “dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande”, per poi correggere con la necessità assoluta di un “grande pennello”. Ebbene, stando alle tendenze in materia di cibo del futuro, potremmo aver trovato degli ottimi candidati ad essere “grandi frutti” in grado di soddisfare grandi masse. Grandi in termini fisici, ma anche in ragione delle proprietà benefiche.
Tra questi uno dei più citati, che si erge a caso emblematico delle riflessioni precedenti, è sicuramente il jackfruit (Artocarpus heterophyllus), chiamato alternativamente Giaca o Català. Originario dell’India, è presente anche in altri paesi del Sud-est asiatico, dove è noto per via delle dimensioni (un sinapro, contenente diversi frutti, può arrivare a pesare 30 chili) e delle sue caratteristiche nutrizionali (ottima fonte di potassio, calcio e ferro). In riferimento al consumo, i frutti vengono generalmente apprezzati freschi o inscatolati per l’esportazione, in taluni casi vengono disidratati e in altri fritti. La vera ragione per cui questo frutto potrebbe “salvare l’umanità”, come diversi nutrizionisti sostengono, risiede in prima analisi nel fatto che il jackfruit si adatta benissimo anche ai climi molto caldi (il che lo rende, come sostengono alcuni, a prova di cambiamenti climatici) e gli alberi non richiedono di essere ripiantati ogni anno, né hanno bisogno di particolari cure. In seconda analisi, oltre alle dimensioni ragguardevoli, abbiamo la versatilità: frutti, corteccia, lattice e altro ancora.
Profittabilità 4: Il commercio nell’ambito della frutta non è certamente una scoperta di oggi. Resta da capire, per gli imprenditori occidentali, come aprirsi alla produzione di queste nuove realtà, le quali molto spesso sono figlie di ecosistemi specifici e richiedono conseguentemente elevati costi per la gestione in loco del prodotto. Ad ogni modo, in riferimento al jackfruit, un ricercatore in Biotecnologie e Agricoltura dell’Università di Bangalore in India, ha quantificato che la gestione di un solo albero di jackfruit potrebbe generare un profitto di circa 151 dollari in corrispondenza di ogni infiorescenza, grazie alla versatilità degli utilizzi.
Impatto ambientale 3: Per quanto la coltivazione di alberi da frutto sia estremamente meno impattante della produzione di carne, è vero che non è del tutto indolore per l’ambiente, specie in relazione ai suoi legami con la chimica nelle produzioni non biologiche (si pensi all’argomento dei pesticidi). Il ragionamento si dimostra ancora più valido nel caso dei megafrutti, dato che questi richiedono inoltre spazi decisamente ampi e sono principalmente originari di nazioni con scarsa attenzione verso le colture ecosostenibili.
Innovazione 1: Sono esclusivamente un dono di “Madre Natura” e per questo il termine “innovazione” difficilmente trova applicazione nella loro produzione, tanto più per il fatto che la lavorazione è in genere ridotta ai minimi termini.
Appetibilità 4: Versatili e gustosi, i megafrutti promettono di raggiungere senza particolari difficoltà i palati occidentali. D’altra parte la frutta è generalmente considerata, fin dagli albori della civiltà, tra gli alimenti più appetibili, sia dagli umani che dagli animali (e il jackfruit, se proprio vogliamo dirla tutta, pare che cotto sappia di porchetta).
Potenziale nutrizionale 4: Variano da frutto a frutto, ma se prendiamo in considerazione il jackfruit è ricco di proprietà nutritive: contiene buone quantità di potassio, calcio e ferro e circa 95 kcal ogni 100 grammi.
4 – Alghe (Punteggio finale: 17)
Se bazzicate nei ristoranti etnici sicuramente le apprezzate già. Le alghe, radicate nella cucina orientale, stanno pian piano facendo breccia tra i gusti occidentali. Molti nutrizionisti le inseriscono tra i migliori candidati a “cibo del futuro” in funzione della loro reperibilità, della facilità di coltivazione e delle proprietà benefiche di alcune specie. Non è un caso se nel 2008 sono state citate anche loro dalla Fao, prendendo in esempio il caso dell’alga spirulina, come alimento sul quale puntare nei prossimi anni (negli anni ’80 invece, sulla base dei risultati ottenuti dagli studi su questo tipo di alga, la Nasa ha proposto la coltivazione anche durante le missioni spaziali destinate a durare per lungo tempo).
In termini di classificazione, le alghe alimentari si differenziano comunemente per il loro colore principale. Abbiamo le alghe alimentari blu verdi (particolarmente utilizzate per il controllo del colesterolo), le alghe rosse, o Rhodophyta (ricche di vitamina C), quelle verdi (la più conosciuta è l’Alga Chlorella, famosa per essere piena di clorofilla) e infine le più apprezzate dagli amanti del sushi, quelle brune.
Profittabilità 4: In Oriente il mercato è sviluppatissimo e si tratta di un business altamente remunerativo. Resta da capire come si svilupperà la domanda nel resto del mondo, anche se si sono già diffuse negli ultimi anni diverse iniziative imprenditoriali dedicate, come ad esempio Algamar, la prima azienda spagnola a decidere di specializzarsi esclusivamente nella raccolta, essiccazione e preparazione di alghe marine destinate all’uso alimentare come verdura, oppure Algheria, il primo sito italiano di e-commerce interamente dedicato al mondo delle alghe o il più recente caso (nel 2012) della startup pugliese di nome ApuliaKundi, impegnata nella produzione e coltivazione dell’alga spirulina.
Impatto ambientale 4: A causa del riscaldamento globale, un gran numero di coste sono stata infestate dalle alghe, la cui tossicità per l’ambiente marino e costiero è particolarmente preoccupante. Citando un caso concreto, il Fondo Internazionale per lo vviluppo agricolo (Ifad) in Africa sta provando a sensibilizzare le comunità rurali verso un consumo maggiore delle stesse, data la presenza ingente di alghe rosse e brune, commestibili per l’uomo, sulle coste africane.
Innovazione 3: Come nel caso dei megafrutti, stiamo parlando di un qualcosa già presente in natura, la cui coltivazione e produzione è cosa nota da secoli, specie nelle culture orientali. Tuttavia il processo di produzione, a seconda della declinazione necessaria (integratori, consumo diretto, etc.), può risultare non immediato, ed è quindi necessario avere un discreto background di nozioni tecniche e tecnologie adatte.
Appetibilità 3: Se dobbiamo valutare la questione con i gusti occidentali, possiamo dire che l’apprezzamento da parte del pubblico non ha mezze misure: o le si ama o le si odia.
Potenziale nutrizionale 3: Sebbene ricche di minerali e di sostanze benefiche per il nostro organismo, il loro limitato apporto calorico (parliamo di meno di 50 kcal ogni 100 grammi) e proteico (circa il 63%), le porta a essere considerate, per la maggior parte dei casi, un alimento complementare.
3 – Micoproteine (Punteggio finale: 18)
Dal punto di vista scientifico stiamo parlando di proteine derivate dalle cellule dei funghi (compresi lieviti e muffe: in greco mikos significa fungo). Con le prime sperimentazioni nate negli anni ’60, le micoproteine hanno visto nel Quorn, a partire dagli anni ’80 (nel 1985 ottiene il permesso di vendita per il consumo umano), il loro caso aziendale più di rilievo (per non dire l’unico).
La fonte principale di micoproteine per il Quorn è il Fusarium venenatum, una muffa cresciuta in vasche riempite di sciroppo di glucosio che respira aerobicamente, con le colture che vengono arricchite di ossigeno. Il risultato del processo produttivo iniziale è un solido giallo pallido, con un leggero sentore di funghi. Distribuito sia in Europa che in Nord America e concepito inizialmente come cibo per momenti di carestia, sale alla ribalta delle cronache nel 2002 per un articolo del New York Times che chiede di fare chiarezza sulle componenti del prodotto (è emblematico il titolo What’s in Those Nuggets? Meat Substitute Stirs Debate). Disponibile ormai nelle più svariate declinazioni e gusti, dal 2004 al 2009 viene introdotto come componente dei burger vegetariani dalla catena McDonald’s, mentre attualmente lo si può trovare in diversi supermercati americani ed europei.
Profittabilità 2: Un bue di circa 500 kg, nutrito abbondantemente, rende più o meno mezzo chilo di proteine al giorno. Invece 500 chili di cellule microbiche daranno ogni giorno 1250 chili di proteine, con una riduzione di costo pari a 12500 volte. Tuttavia, allo stato attuale delle cose (escluso il caso Quorn), non possiamo dare un valore troppo alto alla profittabilità dato che stiamo parlando di alimenti ancora in fase sperimentale, la cui valutazione in termini di costi-benefici potenziali risulta ancora prematura e i cui investimenti di capitale, strutture e ricerca iniziali potrebbero essere molto rilevanti (e di certo non per tutte le tasche).
Impatto ambientale 5: Il fatto di essere “frutto” di laboratorio rende l’impatto ambientale potenzialmente minimo.
Innovazione 5: Si parla di alimenti che vengono prodotti in seguito a sintesi genetica, dove a farla da padrone sono la tecnologia e l’intelletto umani.
Appetibilità 3: Seppure permanga la percezione di un qualcosa di “artificiale”, il fatto che vengano sviluppate in laboratorio veicolerà sicuramente la produzione verso gusti sempre più accessibili. Il caso Quorn (che replica con discreti risultati pietanze a base di carne), a tal proposito, è emblematico.
Potenziale nutrizionale 3: Queste colonie di batteri presentano una percentuale proteica pari all’80% circa del peso, sicuramente valida dal punto di vista nutrizionale. Nel caso del Quorn siamo di fronte a circa 94 kcal ogni 100 grammi.
2 – Meduse (Punteggio finale: 19)
Da tormento dei bagnanti in vacanza, a potenziali salvatrici del pianeta. Le meduse sono estremamente diffuse nei principali mari della Terra, e presto potrebbero esserlo anche sulle nostre tavole. I motivi? Facili da allevare e ricche di sostanze nutritive. Inoltre, con la diminuzione di predatori come tonni e tartarughe, la popolazione delle meduse è destinata alla crescita esponenziale, essendo facilmente adattabile, cosicché mangiarle potrebbe essere una buona strategia per contrastarne l’aumento indiscriminato. Lo stesso Cnr, partner scientifico di Palazzo Italia durante Expo 2015, le ha promosse come importante risorsa in ottica futura, durante un convegno dedicato ai cibi alternativi.
Profittabilità 5: Il commercio sulle piazze orientali è già largamente diffuso: in Cina vengono utilizzate essiccate nelle insalate, in Giappone vengono invece fritte in tempura oppure utilizzate nel sushi. In Thailandia, tagliate a strisce, vengono mangiate come spaghetti. Costano poco, sono versatili e possono acquisire il fascino del frutto di mare nei gusti del consumatore occidentale (perché un riccio sì e loro no?); ecco perché diversi imprenditori stanno valutando questo nuovo business alimentare, in alternativa, o in corredo, ad altri “nuovi cibi” come gli insetti, come ci conferma un professionista del settore che preferisce rimanere anonimo: “In un’ottica di possibili business nei nuovi cibi, oltre agli insetti per i quali ho già investito, tra tutte le alternative di cui si parla opterei senza dubbio per le meduse, dati i profili abbastanza simili in termini di costi/benefici e di facilità di allevamento”.
Impatto ambientale 4: Il surriscaldamento globale, unito alla pesca incontrollata, ha privato il mare dei predatori naturali per questi animali, rendendoli di fatto “infestanti”. Per la stessa ragione detta in precedenza nel caso delle alghe, lo sviluppo di un loro consumo potrebbe riequilibrare l’ecosistema marino.
Innovazione 1: Stesso ragionamento fatto per i megafrutti: medusa non fa rima con innovazione.
Appetibilità 4: Il sapore è assimilabile a quello di un frutto di mare come l’ostrica, della quale mantengono anche la versatilità in cucina. Non è un caso se lo chef stellato Gennaro Esposito ha proposto negli ultimi anni diverse ricette a base di meduse: una tartare di meduse con limone, olio evo e menta, un tagliolino di medusa con arancia e zafferano e un carpaccio di medusa con insalata di porcini e salsa verde.
Potenziale nutrizionale 5: Le meduse presentano un’ampissima gamma di nutrienti. Sono ricche di collagene e proteine a basso contenuto calorico, oltre che di omega 3 e omega 6 (dato che alcune coesistono con alcune micro alghe); un’invidiabile percentuale di proteine (circa l’80%) e una equilibrata presenza di grassi (circa il 20%) per un prodotto che, messo sotto sale, garantisce circa 40 calorie per 100 grammi.
1 – Insetti (Punteggio finale: 20)
Vincono loro, ed è un risultato che non a caso ricalca pienamente l’associazione mentale più immediata col termine “cibo del futuro”. L’allevamento è facilissimo, i sottoprodotti minimi (e riutilizzabili come compost) e la resa nutrizionale massima. Secondo la Fao più di 2 miliardi di persone fanno già uso di insetti per fini alimentari, e le specie commestibili in commercio sono oltre 1.900. In ben 36 paesi africani vengono consumate almeno 527 specie diverse, lo stesso avviene in 29 paesi asiatici ed in 23 paesi nelle Americhe.
Spostandoci in Europa, la Svizzera, a partire dallo scorso agosto, è stato il primo paese europeo ad avere sugli scaffali del supermercato cibo composto da insetti destinato all’alimentazione. Per chi invece rientra nell’Ue, si dovranno rispettare le direttive comunitarie dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), aggiornate al 1 gennaio 2018 con il regolamento 22/83 dedicato ai novel food. All’atto pratico, come ha recentemente spiegato all’agenzia Adnkronos il direttore dell’Ufficio alimenti particolari, integratori e nuovi alimenti del ministero della Salute, Bruno Scarpa: “Ad oggi se qualcuno vuole commercializzare novel food in Europa, deve applicare la normativa che prevede una valutazione dello Stato membro, per la quale è richiesto un ulteriore parere dell’Efsa, che provvede poi a trasmettere una relazione agli altri Stati membri per raccogliere eventuali osservazioni o obiezioni motivate. Il richiedente è tenuto a rispondere alle obiezioni; i nuovi dati prodotti sono di nuovo valutati e, se non ritenuti sufficienti, si acquisisce il parere dell’Efsa. L’atto finale è una decisione di autorizzazione, oppure di diniego, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità europea. Con il nuovo Regolamento si va a semplificare e aggiornare l’iter normativo che non sarà più delegato all’autorità competente del singolo Stato comunitario. Se l’Efsa non esprime dubbi sulla sicurezza, il novel food potrà essere immesso in commercio senza passare attraverso il Comitato di approvazione degli altri Stati membri”.
Profittabilità 5: Perché gli insetti commestibili possono essere un buon business dal punto di vista imprenditoriale? La redazione di ForbesITALIA lo ha domandato a Antonio e Giuseppe Bozzaotra, titolari dell’azienda agricola Insetti commestibili di Monselice (PD): “Allevare insetti per l’alimentazione umana ha attirato l’attenzione di diverse aziende nel nostro paese e anche pastifici, panifici, bar e ristoranti stanno accettando la sfida di pensare di proporre questo genere di prodotti nell’ottica di una futura commercializzazione nel nostro paese. Il business si può creare anche partendo soltanto con un solo insetto, ad esempio un grillo: questo animale ha una capacità di riprodurre al giorno circa 100 uova per 50 giorni (la sua vita dura circa 70 giorni). Il totale di 5000 grilli corrisponde a 100 grammi di farina altamente proteica, con un valore di mercato di 20 euro circa”. Come loro, sono tanti altri gli esempi imprenditoriali in questo campo, come confermano le pagine de Il Sole 24 Ore, che hanno recentemente celebrato i casi italiani di Bella Pupa e Cricket Pasta, entrambi frutto della mente di Massimo Reverberi.
Un caso curioso, in quanto patria della nouvelle cuisine, è quello della Francia, la quale ha dichiarato apertamente di puntare alla leadership mondiale nella produzione di proteine “intelligenti” (tra queste gli insetti, appunto) entro il 2030, stando all’impegno recentemente sottoscritto dal Governo francese durante il Salone Internazionale dell’Alimentazione di Parigi. Volete un’ulteriore prova della bontà di questa idea? In California, patria della Silicon Valley, stanno fiorendo le startup dedicate alla produzione della farina di grillo.
Impatto ambientale 4: Gli insetti si nutrono di cibo in decomposizione, funghi e piante, risultando altamente ecosostenibili.
Innovazione 3: Se è vero che si tratta di “prodotti della natura”, è altrettanto vero che le applicazioni sono svariate e possono aprire la strada alla ricerca e all’innovazione (si pensi della farina di grillo in associazione a quella di grano e a tutti i prodotti che potrebbero derivarne).
Appetibilità 3: qui risiede il nocciolo del problema, come prevedibile. Se in diversi luoghi del pianeta mangiare insetti alla griglia è considerato un gustosissimo sfizio, in buona parte del mondo occidentale associare la parola “insetto” a “cibo” genera smorfie e scuotimenti di testa. Eppure chi li mangia assicura che i grilli sappiano di gamberetti e che le tarme della farina abbiano il gusto di noci. Basta chiudere gli occhi.
Potenziale nutrizionale 5: Sono altamente nutrienti, perché forniscono proteine di alta qualità paragonabili a quelle di carne e pesce. Secondo la Fao, dal punto di vista ambientale, gli insetti presentano un’alta efficienza di conversione nutrizionale, in media possono convertire 2 chili di cibo in 1 chilo di massa, laddove un bovino necessita di 8 chili di cibo per produrre l’aumento di 1 chilo di peso corporeo. In forma essiccata contengono spesso una quantità doppia di proteine rispetto alla carne o al pesce crudo anche se, generalmente, non superano la quantità di proteine presenti nella carne e nel pesce essiccato o cotto alla griglia. Alcuni insetti, specialmente allo stato larvale, sono ricchi anche di lipidi e contengono importanti vitamine e sali minerali.
Gli outsider
Se in precedenza abbiamo citato e valutato gli alimenti maggiormente discussi come “cibi del futuro”, è interessante approfondire anche alcune nuove tendenze che stanno emergendo. Qualche altro nome? Tenete d’occhio i semi, in particolare quelli di chia (con il loro contenuto di calcio e la presenza particolarmente bilanciata all’interno di essi di acidi grassi essenziali, omega 3 e omega 6), ma i fari della nostra attenzione vanno sicuramente puntati sulle biomasse alimentari, categoria che può dare spazio alle più svariate idee in materia di cibo. Giusto per citarne una, il professore tedesco Schlegel, dell’Università di Gottinga ha prodotto un rilevante campione di proteine (alcune tonnellate) da microrganismi, allevati e nutriti con idrogeno derivante da elettrolisi idrica. Il gusto è dolce, assimilabile alla nocciola e l’utilizzo può essere vario, sotto forma di crema, scaglie o palline. A tal proposito, in futuro l’apporto della chimica nucleare potrebbe essere determinante per la produzione in larga scala di prodotti similari.
Meno fantascientifico sarà invece l’aiuto degli enzimi presenti nello stomaco dei ruminanti per trarre proteine alimentari da prodotti come la cellulosa, mentre si procederà sempre più alla sperimentazione, sostengono diversi siti specializzati, di fonti alimentari estratte dal petrolio, dal gas metano, dal letame e dal metanolo. Non vi resta quindi che dare libero sfogo alla vostra immaginazione. E iniziare quanto prima a pensare a una soluzione, nel caso abbiate un appetito troppo capriccioso.
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