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Il futuro di super Sergio, il Ferrari moment e le altre sfide di Fca a Detroit

Sergio Marchionne, Ceo di Fca

Un bonus di 2.000 dollari per tutti i 60.000 dipendenti americani di FiatChrysler. “È giusto condividere con i lavoratori i risparmi generati dall’applicazione della riforma fiscale così come è giusto riconoscere il miglioramento delle condizioni del business” scrive Sergio Marchionne annunciando anche un miliardo di dollari in nuovi investimenti nell’impianto di Warren in Michigan che consentiranno la creazione di 2.500 posti di lavoro. Il ceo di Fca, insomma, balza in testa alla classifica dei Trump bonus: finora, infatti, le aziende, vedi At&t e Wal-Mart, si erano limitate a gratifiche di mille dollari. Marchionne conferma così di essere lesto a cogliere gli umori della Casa Bianca, così come aveva fatto nel 2009, offrendo ad Obama una soluzione, all’epoca quasi disperata, per affrontare il disastro di Chrysler. Oggi è la volta dell’amministrazione repubblicana, decisa ad eliminare buona parte della legislazione verde adottata dai democratici.

Anche per questo cresce ancor d più l’attesa per l’intervento che Sergio Marchionne terrà a Detroit lunedì prossimo, sul palcoscenico del salone di Detroit, appuntamento quest’anno più solenne che mai. Per più motivi.

Salvo sorprese, infatti, potrebbe essere l’ultimo show al salone di super Sergio. L’addio alla guida di Fca è previsto per la primavera del 2019, in occasione dell’approvazione del bilancio, ma la consegna al successore delle prime deleghe comincerà ben prima, all’inizio dell’estate. Il salone potrebbe perciò essere la prima occasione per alzare il velo sulla scelta dell’uomo che lo stesso Marchionne e John Philip Elkann hanno eletto come nuovo leader di un gruppo destinato comunque a cambiare ancora una volta pelle nei prossimi mesi. I candidati più accreditati sono tre: Alfredo Altavilla, responsabile dell’area Emea, braccio destro di Marchionne fin dai tempi dell’acquisto di Chrysler; il direttore finanziario Richard Palmer, inglese, già nominato manager dell’anno dalla Detroit Free Press, che l’ha definito “l’uomo chiave dietro le quinte di Fca”. Terzo (ma non ultimo in ordine di importanza) Mike Manley, pure lui british, responsabile del marchio Jeep.

Chiunque sia l’eletto, infatti, il nuovo ceo si troverà a percorrere la strada tracciata da Marchionne, deciso a traslocare in Ferrari (e ad avere, probabilmente, un ruolo di rilievo in Exor) solo dopo aver centrato due obiettivi: 1) l’azzeramento del debito del gruppo, come promesso in più occasioni al mercato; 2) l’individuazione, in posizione di forza, di un’alleanza in grado di garantire un ruolo di  primo piano nell’evoluzione di un mercato sempre più complesso, dominato dalla rivoluzione tecnologica e delle regole, dove i Big dell’auto per sopravvivere dovranno trasformarsi da semplici produttori a fornitori di mobilità.

Nel frattempo, dopo sette anni di crescita ininterrotta, il mercato Usa ha registrato nel 2017 una prima battuta d’arresto (17,23 milioni di vetture vendute contro 17,55 nel 2016) e, secondo le previsioni, si ripeterà anche nel 2018 (16,9 milioni di vetture). Ma, grazie anche all’aumento dei redditi per il calo delle imposte, le case potranno aspirare a vendere vetture più care e redditizie, come del resto ha già cominciato a fare Fca, tagliando le vendite alle flotte aziendali ma tutelando la redditività. In particolare, Fca ha venduto in Usa 2.059.376 vetture nel 2017, l’8,2% in meno del 2016.

Meno auto, ma più sofisticate sul piano tecnologico e più care. A dar conferma della mutazione del settore, sempre meno dipendente dalle tute blu e sempre più condizionato dall’elettronica, basti la grande novità del prossimo salone. Per la prima volta una sezione sarà dedicata alle nuove opportunità di carriera nel mondo a quattro ruote: alcuni costruttori hanno comprato spazi pubblicitari per reclutare personale ed il salone offrirà gli spazi per incontri con i candidati. Nonostante si riduca l’occupazione del settore (soli 203 mila dipendenti, per giunta in calo) cresce la fame di tecnici da rubare alla Silicon Valley. Tanto che per capire la tendenza delle vendite dell’auto è ormai più utile leggere i dati di Gartner sulle vendite di chip piuttosto che quelli sulla domanda di acciaio. E Gartner ci dice che, a livello mondiale, nel 2018 la produzione mondiale di auto supererà la barriera dei 100 milioni di pezzi: 101 milioni, contro 99,1 milioni del 2017. Da rilevare che l’aumento delle vendite (+1,95%) è assai inferiore a quello dei chips utilizzati sui veicoli (+5,2%).

È in questa chiave che s’inquadra la curiosità per la straordinaria e, per ora, inspiegabile corsa del titolo Fiat Chrysler iniziata a metà dicembre. Difficile che Marchionne dia una risposta a Detroit, dove però anticiperà la data dell’Investor Day della prossima primavera, la vera occasione in cui dovranno essere fornite le risposte sui programmi dell’azienda a partire dai possibili accordi futuri, il vero driver (oltre a quello non trascurabile dei maggiori utili legati alla riforma fiscale Usa, attorno ai miliardi di dollari) del rialzo. Oltre al quasi scontato spin-off di Magneti Marelli, valore stimato 4 miliardi, e di Comau, destinati a seguire la stessa strada di Ferrari.

Che altro attendersi da Marchionne? In realtà, a detta degli esperti, i dati di vendita non dovrebbero regalare grosse sorprese. In Italia, dove la produzione è tornata sopra il milione di pezzi (1.043.884 vetture contro il minimo di 595.500 nel 2013), resta ancora aperto il capitolo del rilancio dell’Alfa. Come ha sottolineato Automotive News le vendite sono in forte ripresa (150.722 vetture contro 93 mila del 2016) ma inferiori alle speranze d Marchionne, che scommetteva sui 170 mila pezzi prima dello stop in Cina.

La sensazione è che il gruppo sia in attesa di una svolta: sul fronte degli investimenti e dei nuovi modelli, il taccuino sembra vuoto in attesa di sorprese che, come dicono Adam Jonas e Harald Hendrikse di Morgan Stanley non potranno arrivare che da Jeep e Ram che ‘nascondono’ un valore superiore a 22 euro per azione. Il 2018 potrebbe essere l’anno giusto per liberarlo, secondo gli analisti, che non escludono un “momento alla Ferrari” nel 2018. Marchionne ha già detto in estate detto che le divisioni Jeep e Ram potrebbero essere entità autonome come Ferrari. Il 2018 potrebbe esser l’anno giusto per l’operazione, sotto la spinta delle nuove Cherokee e Wrangler che potrebbero favorire il raggiungimento del traguardo dei 2 milioni di Jeep.

A quel punto Fca, dopo aver distribuito la cassa tra i soci (soddisfatti) potrebbe aver raggiunto la taglia ottima per l’atteso matrimonio: snella, presente su quasi tutti i mercati più importanti, dal Nord America al Brasile ed all’Europa. Certo, manca una robusta presenza in Asia, un “buco” che sembra fatto apposta per un partner d’Oriente. Peccato che la Cina, per motivi politici sia off limits nell’era Trump. La Corea del Sud? Molto difficile, nonostante i primi contatti con Hiunday, cui fa senz’altro gola Jeep mentre il know how del gruppo asiatico, dall’elettrico all’idrogeno, sarebbe più che prezioso. Ma troppe sembrano le differenze culturali ed i problemi per pensare seriamente ad un asse del genere, mai cercato da Seoul. Più facili, per modo di dire, le piste più tradizionali, tedeschi ed americani in testa. Ma non sarà facile perché una sola cosa è certa: Marchionne, da sempre un formidabile negoziatore, non intende congedarsi con un’operazione a sconto, sia dal punto di vista economico che strategico.

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