“Non amo spendere troppo, e allora? Quando compro qualcosa, mi chiedo sempre se i clienti possono permetterselo. Ma ci tengo anche a dare il buon esempio ai dipendenti”. Mr. Ikea se n’è andato in una domenica qualunque. Ingvar Kamprad, fondatore del colosso dell’arredamento, è morto all’età di 91 anni. Definito “lo Steve Jobs di Svezia”, “l’uomo più ricco d’Europa” e “il più grande uomo d’affari della storia svedese”, Kamprad incarnava il prototipo del leader ispirazionale. Eppure il fondatore di Ikea ha lasciato in eredità ben altro, rispetto alle frasi motivazionali che spopolano sui social network.
Nell’ultimo anno fiscale, il gruppo ha totalizzato 36,3 miliardi di euro di ricavi, in crescita da 10 esercizi consecutivi. Ikea conta su 355 negozi ufficiali in 29 Paesi nel mondo, di cui un terzo distribuiti in Nord America, Australia, Asia e Russia e 150mila tra dipendenti e collaboratori nel mondo. Nel secolo dell’e-commerce, il gigante dell’arredamento low cost ha registrato oltre 817 milioni di visitatori nei punti vendita fisici, toccando invece la quota di 2,1 miliardi di visite da tutto il mondo sul sito ufficiale, di cui 137 milioni direttamente da smartphone.
Eppure c’è una sola domanda che inizia a farsi largo all’indomani della scomparsa di Ingvar Kamprad: che ne sarà di Ikea senza il suo fondatore? L’impero Ikea è controllato dalla holding Ingka, acronimo delle generalità del fondatore (INGvar KAmprad) e fondata negli anni ’80. A gestire il marchio Ikea è la società Interogo, che riceve una royalty annuale del 3% sul venduto nei grandi magazzini (un miliardo di euro lo scorso anno). I tre figli del fondatore Peter, Jonas e Mathias, così come la figlia avuti dalla moglie Margaretha, scomparsa nel dicembre 2011, non ricoprono incarichi operativi nel gruppo fondato nel 1943. Tra le figure apicali c’è Lars Johan Jarnheimer, presidente di Ingka Holding. La continuità è però assicurata soprattutto da una cultura aziendale diffusa. “Quando siamo in riunione, i colleghi di solito ci tengono a sottolineare di aver lavorato per Ikea negli ultimi 20 o 30 anni. Ingvar ha fatto in modo che la sua cultura fosse scolpita sui muri”, ha assicurato alla stampa svedese il presidente di Ingka Holding.
Ingvar Kamprad inoltre non aveva più incarichi esecutivi in Ikea ormai da un lustro. Gli stessi membri del cda, però, hanno confermato come il fondatore fosse stato presente fino alla fine e avesse avuto un’influenza informale sulle decisioni operative. A gestire un patrimonio personale di poco inferiore ai 40 miliardi di euro sarebbero oggi due fondazioni, a cui il fondatore di Ikea avrebbe donato le sue fortune dopo le rivelazioni, e le polemiche, sulle indiscrezioni circa il suo passato da militante nazista nel 1994. A ricoprire invece la carica di amministratore delegato è Jesper Brodin, mentre Alistair Davidson è a capo della divisione finanziaria. Il consiglio d’amministrazione comprende anche l’ex capo del colosso ABB Göran Lindahl e l’ex manager svedese di Google Stina Bergfors. L’unico rappresentante della famiglia Kamprad è il figlio Jonas.
“La mia impressione è che sia Mathias Kamprad, tra i figli, a ricoprire un ruolo-chiave in Ikea”, ha scritto Jonas Stenebo, ex manager del colosso dell’arredamento negli anni Novanta e autore del volume La verità su Ikea. Non proprio dello stesso avviso il presidente di Ingka Holding, secondo cui i figli non avrebbero alcun potere di veto sulle decisioni operative, come da statuto della società. “Esistono regole chiare, per cui la famiglia Kamprad non può essere in maggioranza nel consiglio di amministrazione. E gli utili possono essere re-investiti solo nella società o destinati in beneficienza”, ha spiegato Lars-Johan Jarnheimer. Ikea prova a scostarsi così dal modello del capitalismo familiare, aprendosi a competenze e managerialità esterne.
Le strategie future
Indipendentemente dal ruolo in Ikea che ricoprirà la famiglia del fondatore, il futuro del colosso dell’arredamento ricalcherà invece le orme del passaggio epocale che sta rivoluzionando il mondo dell’auto. Dalla proprietà all’uso, le nuove generazioni sembrano più interessate a utilizzare, senza possedere. “Stiamo valutando soluzioni radicali. A Londra le persone non sono interessate ad acquistare una seconda casa, perciò anziché vendere loro un divano, potremmo noleggiarlo per sostituirlo dopo qualche anno. In Giappone invece stiamo ricomprando i vecchi divani dai clienti, per riciclare i materiali”, ha spiegato qualche giorno fa a Davos l’amministratore delegato di Ikea Jesper Brodin.
Per intercettare le nuove generazioni e i Millennial, allergici a patente e quattro ruote, il colosso svedese ha inaugurato invece alcuni piccoli punti vendita da 900 metri quadrati nei centri delle città, lontani dalle periferie che ospitano gli enormi punti vendita Ikea da 25 mila metri quadrati. Lo scorso settembre invece il simbolo dell’arredamento low cost ha lanciato Ikea Place, un’applicazione per la realtà aumentata in grado di rappresentare a distanza fino a 600 oggetti del catalogo, offrendo alle persone l’opportunità di valutare direttamente da casa l’acquisto in negozio. Un modo per tenere vivo, anche a distanza, il rapporto viscerale con il cliente, a cui teneva così fermamente Ingvar, “lo Steve Jobs svedese”.
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