Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Come quello tra Vetements, il brand fondato nel 2009 da Demna Gvasalia che è stato sulla bocca di tutti negli ultimi due anni, e il fashion system, che stagione dopo stagione si spacca a metà tra lodi sperticate e critiche al vetriolo. L’ultimo capitolo della saga ha un titolo particolarmente amaro per il marchio francese: “2 anni dopo aver rotto internet, sembra che nessuno stia comprando Vetements”. Così annunciava giorni fa Highsnobiety, il blog di streetwear più seguito al mondo lanciato nel 2005 da David Fischer, considerato una bibbia della moda. L’articolo riporta le testimonianze anonime di alcuni buyer, di un ex dipendente di Vetements e di un sales advisor di un grande magazzino di lusso, che affermano che il marchio sembra trovarsi in una grossa crisi. Sarebbero calate le vendite e molti articoli verrebbero scontati del 70% o addirittura del 90% (un peccato capitale, nell’industria del lusso). I buyer preferirebbero puntare sui design che Demna Gvasalia crea per Balenciaga, di cui è direttore creativo dall’autunno/inverno 2016.
Il designer georgiano, che è solito cavalcare l’onda delle numerose controversie che lo toccano, questa volta non l’ha presa benissimo. La sua risposta è arrivata con un post su Instagram molto accorato: “Vetements non supporta il giornalismo wannabe basato su bugie e gossip. Oggi il mio team a Vetements è più forte che mai. La mia responsabilità e il mio coinvolgimento in Vetements non è mai cambiato, non è mai stato compromesso dal primo giorno. […] Il mio focus è, era e sempre sarà il prodotto e il cliente che lo indossa. La moda non si basa sull’hype, né sul gossip inutile o sullo pseudo-giornalismo opportunistico, la moda si basa sugli abiti. E così Vetements”.
Il nome del brand dovrebbe d’altronde essere una dichiarazione d’intenti. Vetements in francese significa “abiti” e, nel caso non fosse abbastanza chiaro, il marchio compare in bella vista quasi su ogni capo d’abbigliamento – un po’ come le calzature della marca “Scarpa” – sposando perfettamente la nuova corrente della post-ironia. O forse no, perché nessuno fino ad ora ha ben capito se Vetements, detta in termini semplici, ci è o ci fa. Dall’altra parte della barricata, contro Highsnobiety si è subito schierato WWD, che ha bollato l’articolo del blog come fake news, citando la risposta di Guram Gvasalia, fratello di Demna e ceo del brand, e le testimonianze (con nomi e cognomi) di molti buyer che affermano che Vetements è tutt’altro che in crisi. La mossa di Highsnobiety è stata un fulmine a ciel sereno. Infatti la testata in passato ha sempre fatto un grande lavoro di endorsement per il marchio francese, raccontando ogni sua mossa commerciale con dovizia di particolari. Perché allora scagliarsi contro Vetements?
L’attenzione internazionale nei confronti di Demna Gvasalia e del collettivo anonimo che si cela dietro Vetements si è intensificata nel 2015, quando il brand ha proposto nelle sue collezioni una maglia perfettamente identica a quella indossata dai corrieri Dhl, ma in vendita a 250 dollari. La stessa t-shirt si può acquistare per 6 dollari sul sito ufficiale della compagnia di spedizioni. Anche ai più strenui difensori della moda hanno iniziato a sudare le mani, di fronte agli interrogativi posti da un prodotto simile, ma Vetements nel frattempo ha fatto il botto. Tutti indossano il marchio nei front row delle sfilate, persino Celine Dion. Le polemiche sulla natura del brand e sui suoi prodotti non hanno tardato ad arrivare: una discussa felpa con il simbolo dell’Unione Europea in vendita a 750 dollari, la scelta di far salire in passerella solo modelli bianchi nelle sfilate della stagione 2016, una collana d’argento da 250 dollari a forma di contenitore per la cocaina indignano anche i non addetti ai lavori.
Di certo Demna Gvasalia non è il primo né sarà l’ultimo designer sulla faccia della terra a sfruttare l’onda lunga dello scandalo e della polemica per consolidare il suo successo. La sua formula è molto furba e molto semplice: prende lo streetwear – che nasce come moda da strada e quindi moda povera, sfruttata, casuale – e lo trasforma in lusso e, sia ben chiaro, lusso proibitivo. In un’intervista al Telegraph lo stilista ha dichiarato che non solo i suoi amici spesso non possono permettersi i capi Vetements, ma che nemmeno lui spenderebbe tutti quei soldi per la sua stessa moda. Le radici dello streetwear provengono dai grandi slum urbani degli anni ’90 e oggi sono andate quasi completamente perdute: Vetements ha semplicemente portato all’estremo una tendenza che già si era consolidata da tempo con marchi come Yeezy, Supreme e più di recente Off-White, il cui designer Virgil Abloh è stato recentemente chiamato a dirigere le linee maschili di Louis Vuitton. La storia di Abloh ricorda da vicino quella di Demna Gvasalia, che esordisce come outsider della moda, lancia un brand che fa impazzire le icone dello streetwear e poi viene richiesto per un grande marchio del lusso.
Forse le vendite non saranno calate drasticamente come diceva Highsnobiety, ma si può dire che l’impero di Vetements comincia a scricchiolare. L’ultima collezione che ha sfilato a Parigi, intitolata “The Elephant in the Room” e che si riferiva al passato di Demna Gvasalia nel team di Margiela, ha lasciato tutti un po’ confusi. Dov’erano le felpe oversize e le t-shirt da 400 dollari? E perché l’account Instagram al momento sembra quello di un altro marchio, dato che continua a mostrare felpe oversize e t-shirt da 400 dollari? La sensazione è che Demna si sia accorto che la formula dell’hype non funzioni più. Che i jeans Levi’s rivisitati e venduti a 1300 dollari vadano bene per una stagione, magari, ma poi il consumatore vuole di più.
Lo stilista sta provando a raddrizzare il tiro, ma andando nella direzione sbagliata. Balenciaga può considerarsi un suo grande successo, ma la maison spagnola che gli hanno affidato ha qualcosa che Vetements non ha: una tradizione. Le ultime stagioni hanno visto un potente ritorno di quei marchi dall’heritage forte che hanno saputo combinare il passato alla contemporaneità: Gucci, Fendi, Dior, Givenchy, Louis Vuitton e ovviamente Balenciaga. Il prezzo degli articoli firmati da questi giganti della moda è giustificato non solo dal nome, ma anche dal bagaglio storico che si portano dietro, e dalla cura e qualità dei loro prodotti. “Lavoriamo in modo molto intuitivo”, ha detto Demna Gvasalia in un’intervista a proposito del processo creativo che sta dietro Vetements. “Lavoriamo su un capo per volta. Se ci spendiamo più di venti minuti, lo buttiamo via perché vuol dire che non va bene”. Resta da chiedersi, a questo punto, se venti minuti possono bastare per restare a galla per quattro anni.
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