Ogni grande saga imprenditoriale ha il suo mito fondativo, e quella di Netflix inizia, nella sua versione pubblicamente tramandata, con una videocassetta restituita in ritardo a un videonoleggio: a metà degli anni ’90, Reed Hastings era un trentacinquenne che aveva appena venduto con profitti milionari la sua software company, Pure, ed era anche un fan di Apollo 13, il film del 1995 diretto da Ron Howard e ispirato alla storia della celebre missione abortita della Nasa. Un giorno, Hastings si dimenticò di riportare in tempo la sua copia del lungometraggio al negozio Blockbuster da cui noleggiava i film, e si vide così costretto a pagare una penale di 40 dollari. Questo – ha raccontato in diverse interviste anni dopo, ripensando a quei tempi – l’ha portato a riflettere sulle possibilità offerte dall’incipiente mercato dei dvd, allora un formato ancora pionieristico e poco diffuso.
Il co-fondatore (ed ex ceo) di Netflix Marc Randolph ha obiettato sulla precisione storiografica di questo racconto mitico, ma non è importante: quel che conta è che il 14 aprile del 1998, vent’anni fa, la piccola startup californiana di Hastings e Randolph ha aperto il sito Netflix.com, dove si poteva, per la prima volta, noleggiare film in formato dvd, che arrivavano per posta entro due o tre giorni lavorativi (Hastings aveva personalmente testato il servizio di spedizione, inviandosi un cd a domicilio in una busta blu). Se quindici anni prima si cantava che Video Killed the Radio Star, Netflix alla fine degli anni ’90 aveva iniziato una lunga ma inesorabile procedura di liquidazione dei videonoleggi: Blockbuster farà ricorso al Chapter 11 americano, quello della bancarotta, nel 2010, per eclissarsi per sempre tre anni dopo.
La strada scritta nel destino di Netflix.com (inizialmente, alla fondazione nel 1997, si chiamava Kibble) però era tutt’altro che in discesa. Certo, il giorno del debutto i suoi 30 impiegati avevano assistito a un inaspettato crash dei server del servizio, ma da allora in poi la concorrenza – fiutato l’affare – ha preso le misure del nuovo arrivato, e messo a punto la contraerea: negli anni seguenti Walmart è entrato nel mercato del noleggio per via postale, e poi Apple e Amazon hanno investito nei primi servizi di download di contenuti on demand. La situazione era diventata così critica che, dalla fine degli anni ’90 al primo decennio del Duemila, il topos del fallimento di Netflix si era tramutato in un luogo comune dell’industria dell’intrattenimento, tanto che lo stesso Reed Hastings commentava dicendo “ci abbiamo fatto il callo”.
A gennaio del 2007, però, Netflix ha estratto il suo coniglio dal cilindro, cambiando per sempre la storia dell’intrattenimento e il mercato del cinema e della televisione. È bastato offrire un piccolo extra per i suoi clienti: sei ore di contenuti in bassa qualità da guardare sullo schermo del computer, in streaming. Vale la pena rileggere le parole con cui il New York Times descriveva il decisivo cambio di rotta di quei giorni, con un vocabolario che oggi suona così distante da sembrare fatto di strani arcaismi.
Martedì, il sig. Hastings inizierà a rispondere alle domande [sulla sopravvivenza di Netflix]. Netflix introdurrà un servizio che recapiterà film e serie tv direttamente sui computer degli utenti, non sotto forma di download ma come video in streaming, che non viene archiviato nella memoria del computer. Il servizio, che è gratuito per gli abbonati Netflix, vuole garantire alla compagnia un’occasione nel mondo embrionale della distribuzione di film su Internet.
Sappiamo tutti com’è andata: oggi Netflix è visibile il 190 Paesi, ha 117 milioni di abbonati alla sua piattaforma in tutto il mondo, impiega poco meno di 6000 persone ed è valutata 135 miliardi di dollari. Se l’aneddoto di Hastings dovesse rivelarsi vero, quella pagata per quella copia di Apollo 13 sarebbe con ogni probabilità la penale più fruttuosa della storia.
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