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Quanto costa l’assenza di un governo

Matteo Salvini e sullo sfondo Luigi Di Maio

 

“Gli italiani sono capaci di sopravvivere nonostante la politica. E non grazie alla politica”, dicono i nostri concittadini più disillusi e abituati a far da sé, forse non senza ragioni.

Eppure a 50 giorni dall’esito delle elezioni politiche, con una prospettiva di stallo permanente e Paolo Gentiloni ancora in carica solo per sbrigare gli affari correnti, è lecito chiedersi quanto stia costando al Paese l’inerzia delle forze politiche nel definire un accordo teso alla nascita di un nuovo esecutivo.

Non si sta facendo riferimento ai 252 milioni a cui, secondo stime circolate nei giorni scorsi, ammonterebbe il costo della macchina di Montecitorio per le sette riunioni dei deputati dall’inizio della legislatura (prima del ponte festivo che li riporterà in aula il 7 maggio). E nemmeno ai 91 milioni a carico di Palazzo Madama. Il punto centrale riguarda semmai ciò che sarebbe stato possibile portare a termine in questo periodo.

E a poco serve scomodare i parallelismi con i casi più o meno recenti di governi a formazione ritardata, in Germania quest’anno e più indietro nel tempo in Belgio. Chi sostiene che i mercati finanziari siano sempre meno preoccupati da una fase di non-governo ricorda come a Berlino siano occorsi sei mesi per arrivare alla formazione di un governo, senza che per questo l’economia del Paese subisse frenate, e in maniera ancora più eclatante menziona il caso del Belgio, senza un governo dal giugno 2010 fino al dicembre 2011, praticamente un anno e mezzo, con il Paese capace in tale periodo di segnare il miglior tasso di crescita in Europa alle spalle della Germania (nello stesso periodo tuttavia la Borsa belga perse circa il 15 per cento).

Le statistiche però dicono poco quando, come nei casi citati, sono riferite a realtà quasi per nulla confrontabili (Italia e Germania), a fasi differenti sui mercati finanziari e a mutate politiche monetarie da parte della Banca centrale. Solo pochi giorni fa il centro studi Ref ha avvertito del pericolo di un ritorno dell’austerità forzata qualora non si provvedesse alla svelta a creare un governo, soprattutto in considerazione del fatto che l’attuale esecutivo ha rimandato l’approvazione del Def (il Documento economico e finanziario da inviare a Bruxelles) al prossimo esecutivo. Il centro studi ha scritto che esiste “il rischio che, in assenza di un governo, l’Italia si ritrovi di fatto legata agli ultimi obiettivi programmatici, ponendosi nelle condizioni di dovere adottare una politica di bilancio di segno restrittivo nel 2019″.

Senza spingersi fino al prossimo anno qualche segnale può essere colto anche sui mercati finanziari. Come ha efficacemente spiegato Maximilian Cellino sul Sole24Ore, il fatto che dopo 50 giorni senza un governo il BTP italiano decennale non sia entrato in tensione (il rendimento è sceso all’1,75% dal 2,30% di un anno fa) e che lo spread verso i Bund tedeschi sia rimasto sostanzialmente sotto controllo (dai 200 punti dell’aprile 2017 ai 118 di oggi) nasconde in realtà un’occasione persa. Nello stesso periodo di tempo i titoli del Tesoro italiano hanno infatti perso terreno nei confronti dei corrispondenti titoli di Spagna e Portogallo. In termini pratici significa che, senza l’incognita politica, per il Paese sarebbe stato verosimilmente possibile ridurre ulteriormente il costo del debito.

Più che un vero e proprio costo, per il Paese si tratterebbe dunque di un costo opportunità non sfruttato, sul quale già venerdì prossimo potrebbe dire la sua l’agenzia Standard & Poor’s, chiamata a pronunciarsi sul rating italiano.

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