Blockchain è la parola del momento. Salita alla ribalta con il boom mediatico delle criptovalute, la ritroviamo oggi presa in prestito dai più svariati ambiti dello scibile umano. Ci sono i connubi credibili, come quelli con il mondo bancario e finanziario, quelli auspicabili legati alle utility, fino ad arrivare poi agli utilizzi impropri del termine. Un’interpretazione pratica che questa tecnologia potrebbe avere riguarda anche uno dei problemi che affliggono l’informazione: le fake news. Si tratta di un progetto interamente italiano, alla cui testa ci sono Marco Franco e Nicolò Russo, co-ideatori di TrueInChain. A presentarcela è lo stesso Franco.
L’11 maggio verrà presentato presso la sede milanese dello Iassp (Istituto di Alti Studi Strategici e Politici) TrueInChain, un progetto che la vede impegnato insieme a un team nel contrastare la diffusione delle bufale in rete. Quando il fenomeno Bitcoin è esploso non tutti hanno intuito che la vera innovazione era la tecnologia sottostante, la blockchain. Perché può essere un’arma contro le fake news? Ci può spiegare come è nato questo progetto?
Innanzitutto grazie al supporto di Lorenzo Echeoni Ceo di G2R e Nicolò Russo (dottorando Iassp) e tutte le persone dell’Istituto senza le quali questo progetto non avrebbe mai potuto vedere la luce. Tutto è nato durante una domenica d’inverno stranamente soleggiata. Mi rilassa correre perché mi distoglie e scarica dallo stress di una città frenetica come Milano. È infatti in uno di questi momenti che ho iniziato a dare forma all’idea alla base del progetto.
Ho per mesi osservato alcuni utenti su Facebook promotori di falsi profili, soffermando l’attenzione soprattutto sulla loro comunicazione e su quello che scatenava nelle persone. La creazione di personaggi rispecchiava le tendenze rabbiose della nostra società. L’immigrato che rubava, il senatore che ostentava la sua ricchezza, il medico che parlava di vaccini, personaggi virali che palesemente erano inventati ma che facevano presa sui social…
Cosa ha scoperto?
La cosa interessante era la reazione degli utenti che credevano fermamente in quello che veniva detto. La loro rabbia a lungo inespressa trovava finalmente nei commenti un luogo virtuale in cui potersi esprimere, nella modalità disarmante e imbarazzante che ben conosciamo. Fino a quando le fake news rimangono chiuse all’interno di un circuito ironico non dobbiamo preoccuparci più di tanto. Il problema è quando riguardano settori della vita pubblica, perché possono seriamente minare la facoltà di scelta delle persone, come sta ormai accadendo.
Uno dei compiti della democrazia è quello di consentire a ognuno di noi di essere in grado di effettuare la miglior scelta possibile e quindi di elevare il livello di competenza dei più. Ma questa funzione sta svanendo. È come se fossimo entrati in una Matrix della disinformazione: una macchina infernale in cui la menzogna non ha una contropartita. Il tentativo di questo progetto è proprio quello di una opposizione etica ed ideale.
Ora che il seme del progetto è stato piantato, quale immagina possa essere il suo profilo operativo? Come avete pianificato di muovervi in tal senso?
A livello legislativo nazionale è stato fatto ben poco per contrastare le fake news e tutti i tentativi sono comunque andati in direzione opposta, ovvero partendo da un controllo ex ante e non ex post: contattare il Cnaipic (polizia postale) per segnalare le bufale. Un meccanismo farraginoso che non porta assolutamente a nulla. La nostra forza è che utilizzando la blockchain il sistema di tracciatura delle fake news sarà molto semplice e chiaro.
TrueInChain ha un obiettivo ambizioso, quello di essere un futuro validatore di notizie. Il primo passaggio è rivolto alla creazione di una community con particolare riferimento al mondo dei debunker. A questo si aggiunge un sistema di incentivi per i debunker che aderiranno al progetto. Insieme possiamo rendere un po’ più complicata la vita ai fabbricatori e divulgatori di bufale. Uno dei relatori dell’evento di presentazione è Michelangelo Coltelli che rappresenta, insieme a Paolo Attivissimo e David Puente, uno dei maggiori debunker attivi nel nostro Paese e che conosce benissimo le difficoltà del debunking.
Nel mare magnum dell’informazione si perde traccia di chi ha promulgato la bufala, non c’è uno scoring e soprattutto le notizie sono modificabili una volta pubblicate. Ecco che entra in gioco la blockchain, il punto di forza del progetto, che rende tracciabile, verificabile e immodificabile l’incubatore di notizie.
TrueInChain quindi è solo l’inizio di un percorso operativo già in atto, fatto di più passaggi e che si concretizzerà in una startup innovativa. Siamo giovani e un po’ folli, di quella follia che ci fa credere che sia possibile lottare per una libera informazione “vera” e che sia anche possibile essere imprenditori innovativi nel nostro Paese partendo da un’idea.
Il termine blockchain è oggi molto abusato. Sta diventando l’ennesima parola di moda per attirare l’attenzione mediatica?
Le novità, soprattutto se hanno un termine in inglese, vengono offerte come soluzione a ogni problema. La blockchain però è veramente rivoluzionaria, assolve a una duplice funzione: mantenere i dati in modo sicuro e avere una loro tracciabilità perpetua. La sua applicabilità è enorme e tocca moltissimi campi. Per quanto ci riguarda, il nostro obiettivo è appunto inserire in una blockchain tutte le notizie che sono state verificate come oggettivamente false in modo da tenere uno scoring delle persone/giornali “professionisti” del falso, premiando al contempo i debunker e quanti contribuiranno a questa tracciabilità.
Il fenomeno bufale è stato a lungo sottostimato, tollerato e manipolato. Adesso è lampante quanto sia pericolosa la deriva dell’informazione, in cui i confini tra falsità e verità non sono più così definibili: non esiste più l’autorevolezza della fonte e i social hanno aumentato la confusione nella divulgazione delle notizie. Si sta finalmente comprendendo quanto sia facile essere condizionati e manipolati?
Le fake news sono la conseguenza di molti elementi che si concatenano fra di loro. Siamo arrivati a un punto critico, di crollo dell’educazione e della funzione scolastica. Il punto finale è l’attuale destrutturazione della persona che causa una carenza nella capacità di lettura del mondo e della sua complessità.
Che ci piaccia o no, siamo masse plagiate, in cui vige un efficientissimo controllo della rabbia, per contenerla e veicolarla verso sacche più gestibili come i social. La manipolazione è cosa antica: il sociologo Vance Packard nel suo saggio I persuasori occulti del 1957 parla di personaggi che “studiano segretamente le nostre segrete debolezze e vergogne nell’intento di influenzare più efficacemente il nostro comportamento”; Edward Bernays in Propaganda dice che “noi siamo in gran parte governati da uomini di cui ignoriamo tutto, ma che sono in grado di plasmare la nostra mentalità, orientare i nostri gusti, suggerirci cosa pensare”; e ancora, Gustave Le Bon in Psicologia delle folle scrive che “le folle non hanno mai avuto sete di verità. Dinanzi alle evidenze che a loro dispiacciono, si voltano da un’altra parte, preferendo deificare l’errore, se questo le seduce. Chi sa illuderle, può facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle è sempre loro vittima”.
Si potrebbe continuare a lungo per confermare l’indiscutibilità del dato di fatto: siamo folla e, per dirla alla Byung-Chul Han, grazie al digitale la nuova folla è divenuta “sciame”, senza anima e senza spirito. Come si vede questo gioco oggi è diventato ancora più facile, anzi meglio dire che noi stessi facilitiamo il trucchetto della manipolazione. Siamo diventati dei gran narcisi, ci autocondanniamo a una iper-rappresentazione della nostra immagine. Il filosofo tedesco Thomas Macho parla di “società facciale”, che produce senza sosta immagini di volti in ogni angolo; basta guardarsi intorno e vedremo volti affissi ovunque. Noi non vogliamo essere da meno (e l’abuso dei selfie lo testimonia), ma ai volti abbiamo sostituito le maschere adatte al momento, un po’ come alle notizie abbiamo sostituito le bufale. Dopotutto Calvino definiva la maschera “ciò che fa di un volto il prodotto della società e della sua storia”.
Il recente attacco a Douma in Siria ha portato alcuni addirittura a chiedersi “è successo davvero o è una fake news?”. L’informazione è alla mercé di troll e siti web finalizzati alla distorsione della realtà. In questa eterna confusione mediatica uno strumento democratico come internet, che consente il libero accesso alle informazioni ovunque e a chiunque, sta invece mettendo a rischio la stessa democrazia?
La democrazia digitale permette nel concreto di mettere sullo stesso piano l’opinione di un esperto con quella di un troll/haters. Inoltre l’egotismo che affligge la nostra società fa credere che la propria opinione valga su tutte le altre. Forse è il momento di mettere fine a questa confusione, rimettiamo le cose al posto giusto in base al loro valore.
La tecnologia avanza ma sembra che il pensiero critico e la consapevolezza vengano compromesse dalla sempre maggiore potenza degli strumenti a disposizione. Quale può essere il valore aggiunto di un progetto come TrueInChain?
La maggior parte dell’informazione si muove all’interno della catena della diffusione di notizie create ad hoc nella “logica illogica” della piramide dell’informazione:“una fonte originaria”, rappresentata da istituzioni e agenzie di stampa, diffonde una notizia che verrà poi trasmessa a cascata – senza alcuna verifica – da giornali, televisioni e riviste. Obbligati per fini commerciali a inserirsi in un flusso, cioè il “trend topic”, questi mezzi di comunicazione si rivolgono direttamente alla base, plasmando quella che viene impropriamente detta “opinione pubblica”. Il meccanismo è talmente semplice che a fabbricare una notizia, vera o falsa, ci vuole davvero poco. In tutto questo il valore aggiunto di un progetto come il nostro è lo stesso del valore aggiunto di una filiera agroalimentare: sapere esattamente cosa si sta mangiando, che sia per il corpo o per la mente.
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