È appena iniziata la 16esima Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (dal 26 maggio al 25 novembre), il mega appuntamento dedicato alla progettazione contemporanea. Come sempre, si tratterà di un’occasione per fare il punto sui contenuti che animano l’architettura di oggi, osservando le trasformazioni politiche e sociali attuali attraverso lo sguardo dei progettisti. A tracciare il filo conduttore della mostra sono le direttrici Yvonne Farrell e Shelley McNamara, che con Freespace, il Manifesto della manifestazione, hanno voluto chiarire lo spirito della Biennale di quest’anno. “Quando abbiamo scritto il Manifesto, volevamo che contenesse soprattutto la parola «spazio». Volevamo scovare anche nuovi modi di utilizzare le parole di ogni giorno, che potessero in qualche modo portarci tutti a ripensare il contributo aggiuntivo che noi, come professionisti, possiamo fornire all’umanità”, hanno raccontato.
A caratterizzare i progetti della mostra sarà dunque la loro capacità di protendersi verso le persone, di essere “umani”, offrendo luoghi aperti al pubblico che si connettono con l’ambiente circostante e con la natura. Un tema, quello di Freespace, che riporta l’attenzione sulla centralità della libera fruizione dello spazio, e che suona come un monito nei confronti dei progettisti. Costruire, sì, ma con responsabilità, pensando alle esigenze delle persone e alle specificità dei luoghi. E in un momento di elitarismo architettonico come il nostro – che celebra il nome dell’archistar di turno più che il progetto – ribaltare la scala dei valori mettendo al centro il concetto di generosità e ricentrare gli obiettivi dell’architettura appare come un gesto, se non rivoluzionario, almeno coraggioso.
Non è dunque una Biennale dei progettisti ma bensì dei progetti, o meglio, di chi i progetti li abita e li vive quotidianamente. La mostra, che coinvolge 71 partecipanti e si sviluppa tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, è affiancata da 63 partecipazioni nazionali (tra le new entry la Santa Sede, il Libano, l’Arabia Saudita e il Pakistan), distribuite tra i Padiglioni ai Giardini, l’Arsenale e il centro storico di Venezia. Protagonista del Padiglione italiano è il progetto Arcipelago Italia di Mario Cucinella, che proporrà un tour dei borghi rurali italiani attraverso cinque interventi architettonici a loro dedicati. Si parlerà del futuro di Gibellina, di Camerino e di Ottana, delle foreste casentinesi e di quello di Matera attraverso i progetti di sei studi di architettura selezionati attraverso una open call. Lontano dalle grandi città, c’è un futuro che riparte dall’architettura e dalla capacità di offrire soluzioni alle problematiche dei luoghi e delle persone.
A spostare la riflessione verso le campagne è anche il Padiglione cinese, con la mostra Building a Future Countryside a cura di Li Xiangning, in cui si ripercorrono i progetti recenti che hanno saputo modernizzare le zone rurali senza calpestare le tradizioni locali.
Cambia la topografia del progresso, come cambiano gli assetti politici del mondo, dalla Brexit fino a Trump. Non manca di far discutere il padiglione del Regno Unito con la sua mostra Islands (a cura di Caruso St John Architects e Marcus Taylor), che lascia il Padiglione completamente vuoto per interrogarsi su quella “splendid isolation” che dal XIX secolo fino a oggi continua a ripetersi nella storia della politica estera della Gran Bretagna. Il padiglione degli Usa proporrà invece una riflessione sulle nuove forme di cittadinanza – senza nascondere un certo criticismo nei confronti delle politiche di Trump in merito alla negazione dei diritti dei “Dreamers” – con la mostra Dimensions of citizenship (a cura di Niall Atkinson, Ann Lui e Mimi Zeiger), che offrirà una panoramica sui progetti mondiali che hanno saputo dare forma al concetto di “cittadino”.
A lanciare uno sguardo scettico sulle opere architettoniche di oggi, sempre meno pubbliche a causa della crisi economica, è invece il padiglione portoghese con l’esposizione Public Without Rhetoric curata da Nuno Brandão Costa e Sérgio Mah, che solleva il tema dell’importanza degli investimenti statali nella creazione di infrastrutture, musei e luoghi aperti ai cittadini ripercorrendo 12 progetti pubblici realizzati da architetti portoghesi negli ultimi dieci anni. Ma le riflessioni sui mutamenti socio-economici si estenderanno anche alle mostre collaterali (12 quelle organizzate da enti e istituzioni internazionali), agli incontri e alle conferenze che verranno organizzate in tutta la città. Tra gli appuntamenti più interessanti, quelli di Greenhouse Garden – Reflect Project Connect presso le Serre dei Giardini, il progetto collaterale del Padiglione della Svezia che attraverso conversazioni, piccole conferenze e la mostra Plots, Prints and Projections curata da Ulrika Karlsson vuole rispecchiare la società svedese – aperta e inclusiva – indagando le interconnessioni tra architettura, digitalizzazione e natura. Oppure la mostra Borghi of Italy – NO(F)EARTHQUAKE allestita alla InParadiso Art Gallery, che analizza le conseguenze del terremoto in cinque borghi italiani, interrogandosi su come stimolare la ripresa economica attraverso l’architettura. O ancora, il progetto espositivo dell’artista del suono Bill Fontana Primal Sonic Visions (alla Ca’ Foscari di Dorsoduro), che attraverso opere multimediali esplorerà le potenzialità delle energie rinnovabili nella società di oggi.
Fino al 25 novembre poi, le mostre della Biennale verranno accompagnate dalla serie di conversazioni Meetings on Architecture, a cura di Farrell e McNamara, in cui si discuteranno le diverse interpretazioni del Manifesto Freespace insieme ad architetti, designer ed esperti del settore.
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