Quello di questo articolo non è probabilmente il titolo che ti aspetti da Forbes. Perché quando in corrispondenza di due nomine si assiste, come accaduto ieri, a un’istantanea salita dello spread tra Btp e Bund e a un’altrettanto rapida discesa dei titoli delle banche in Borsa, il messaggio dei mercati finanziari è chiaro: preoccupazione.
Le nomine sono quelle degli economisti euroscettici Claudio Borghi e Alberto Bagnai, ieri designati alla guida delle commissioni Bilancio della Camera e Finanze del Senato. Borghi, oltre che critico verso l’Euro è anche il promotore dei controversi minibot (titoli di debito da alcuni equiparati a una moneta parallela), Bagnai è noto soprattutto come autore di saggi critici sull’unione monetaria.
Allora qual è il perché del titolo di questo articolo?
Il potere dei due presidenti di commissione non è in discussione. Perché si tratta pur sempre di organismi chiave per le scelte di fondo della politica economica nazionale. Hanno la facoltà di stabilire l’ordine del giorno delle sedute e il loro parere può essere decisivo nell’accettare o rigettare un emendamento durante la discussione dei disegni di legge (compresa quella della legge di bilancio). Sono inoltre le figure che recepiscono le indicazioni per l’adozione di provvedimenti in materia bancaria e fiscale provenienti dalle audizioni della Banca d’Italia e di altri enti.
Però le vere leve della politica economica nazionale restano nelle mani del governo. Ecco allora che il problema non sono Borghi e Bagnai ma quel cortocircuito che rischia di crearsi tra loro e il ministro dell’Economia Giovanni Tria (che proprio ieri si è affrettato a chiarire che “l’Euro non è in discussione”), figlio di un evidente compromesso istituzionale che ha portato alla nascita del governo giallo-verde con inserimenti “di garanzia”.
Immaginiamo allora i provvedimenti economici derivanti da una filiera europeista usciti da via XX settembre per arrivare in commissioni dotate di un ampio potere di emendarli, potenzialmente perfino maggiore di quello possibile per le due aule del parlamento.
Paradossalmente, Borghi e Bagnai si potrebbero trovare a fare opposizione al loro stesso governo, quando nel loro ruolo di presidenti tipicamente dovrebbero occuparsi di garantire che i provvedimenti del governo non vengano rallentati dall’ostruzionismo delle opposizioni. Eccoci allora all’impasse, magari già a partire da un appuntamento fondamentale quale quello della prossima sessione di bilancio. Al di là dei nomi e delle scelte, condivisibili o meno, il punto critico è il possibile stallo di un governo che mostra tutti i limiti di una genesi originata dal compromesso.
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