Può un aggettivo, all’apparenza innocuo, provocare una frana in Borsa superiore a un miliardo e mezzo? E’possibile, nel concitato clima che si respira nel gruppo Agnelli, orfano di Sergio Marchionne. E’ bastato ce il neo amministratore Louis Carey Camilleri, egiziano di nascita, maltese di passaporto, scuola di business in Philip Morris, abbia avuto la disgraziata idea di definire “ambiziosi” i target 2022 per Ferrari fissati dal compianto numero uno perché una pioggia di vendite si abbattesse sui titoli del Cavallino rampante: – 8,34= a 104,30 euro (alla chiusura di ieri), sotto una pioggia di sell in arrivo da Wall Street. Eppure i numeri, a prima vista, non giustificano tanta disaffezione.
- Ferrari ha concluso il secondo trimestre 2018 con un utile netto di 160 milioni di euro, in crescita del 18% su base annua (136 milioni nel secondo trimestre 2017).
- L’aspetto più negativo riguarda i ricavi, scesi leggermente dell’1,6% a 906 milioni di euro; erano 920 milioni nello stesso periodo dell’anno precedente.
- L’Ebitda è pari a 291 milioni (+8%), mentre l’Ebit si attesta a 218 milioni (+8%). L’indebitamento netto ammonta a 472 milioni di euro, contro i 473 milioni registrati a fine dicembre 2017.
In sintesi, risultato ed Ebitda sono superiori alle attese, i ricavi sono inferiori. Ma la capitalizzazione scivola a 22 miliardi, poco sotto i 22,6 miliardi di Fiat Chrysler, ieri sotto tiro nonostante il rimbalzo delle vendite a giugno (+34%), al solito trainate da Jeep (+112%).
Il confronto con Fca tuttavia aiuta solo in parte. Marchionne era destinato a lasciare la guida di Fiat Chrysler entro il prossimo aprile, ma a restare alla guida di Maranello fino al 2022. Non solo. Il mercato ha accettato la trasformazione di Ferrari da casa automobilistica da valutare con multipli in linea con gli altri marchi Vip ad icona del lusso, degna di valutazioni in linea con Lvmh o Kering. Intanto, grazie al pressing del compianto numero uno, sembrava ormai in dirittura d’arrivo il rinnovo del contratto con Liberty Media, destinato a garantire i mezzi necessari per sostenere lo sforzo richiesto dalla Formula Uno.
Molte, troppe cose dipendevano dal tocco magico di super Sergio, capace di convincere gli analisti che dal suo cilindro magico sarebbero arrivate nel tempo occasioni straordinarie di guadagno, a partire dal lancio del Suv di Maranello, fino alla riedizione delle serie speciali desinate ai mercati emergenti. Questa strategia, però, richiede una guida ferma dotata del necessario carisma. Difficile che Camilleri possa permettersi scelte autonome od originali, colpi di scena in grado di infiammare la fantasia degli operatori. Di qui la previsione di una guida diligente, ma ripetitiva da parte di un manager cui manca il prestigio che i mercati richiedono per un pilota di eccellenza.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .