Articolo tratto dal primo numero di ForbesITALIA, in edicola il 24 ottobre. Scopri l’ultimo numero.
Ha i geni del genio. Il genio era il nonno, Salvatore Ferragamo, artigiano-artista, stilista, maniaco dei particolari, appassionato della bellezza, sempre circondato dalle celebrities, curioso, visionario, anticipatore. A lui, James, figlio di Ferruccio, terza generazione della famiglia Ferragamo, il compito, adesso e in futuro, di continuare a inseguire le visioni del nonno, che non ha fatto in tempo a conoscere, proiettandole nello schermo del ventunesimo secolo, portando avanti una storia di successo mondiale.
James, 45 anni, faccia da attore americano e fisico da modello, un’eleganza disinvolta, porta con sé la calma dei forti che gli deriva da un’educazione anglosassone. In fondo porta davvero il destino nel nome: lo ha scelto la mamma Amanda, inglese, mentre al padre, Ferruccio, è andata la decisione per il fratello gemello, Salvatore. “Io sono metà inglese e metà italiano, mio fratello è metà italiano e metà inglese”, scherza James mettendo in luce un sense of humor anglo-toscano. “A volte gli invidio il carattere molto più italiano rispetto al mio”. E infatti James ha studiato in Inghilterra e in America, dove ha anche lavorato per un periodo.
“Negli anni Novanta, la nostra famiglia ha dialogato a lungo con Ambrosetti con un obiettivo preciso e lungimirante: capire come strutturare il passaggio alla terza generazione”, continua James e aggiunge con aperta ironia: ”Per limitarne i danni”.
Poi cita suo padre Ferruccio. “Mio padre è incredibile”, dice con una punta di orgoglio. “Ha dedicato la sua vita a far crescere la società, guidando l’attività e cogliendo tutte le migliori opportunità strategiche. Era ceo fino al 2006, quando è diventato presidente. È meticoloso e preparato. Soprattutto è uno concreto. Mi dice sempre che i problemi vanno affrontati prima che nascano”.
James come il nonno è andato negli States giovanissimo e ha lavorato da Saks Fifth Avenue, poi per un periodo anche da Goldman Sachs a Londra. Due esperienze che gli sono servite per capire un sacco di cose. “Intanto”, racconta James, “ho trovato il mercato azionario molto interessante, ma non vedevo nessun prodotto tangibile. Così ho sentito che se avessi intrapreso unicamente quella via mi sarebbe mancato qualcosa. Mi piace molto di più presentare la mia azienda, con la sua storia, i suoi progetti e i suoi prodotti. Da Saks, invece, lavoravo nella sezione acquisti e distribuzione. Quello sì che era un lavoro affascinante. È in realtà uno dei ruoli più difficili, in quanto bisogna soddisfare tantissime persone con una vasta scelta di gusti”.
E così, nel 1998, dopo queste esperienze, James è entrato in Ferragamo. “Da subito ho capito che era quello che volevo, ho ricoperto diverse posizioni, sono cresciuto professionalmente e in parallelo sono aumentate le mie responsabilità”. L’ingresso di James in azienda è frutto anche dell’accordo di famiglia, siglato proprio in quegli anni, che consente a soli tre membri di ogni nuova generazione di poter entrare in azienda. “La selezione è molto attenta”, spiega il giovane manager. “Si devono possedere caratteristiche specifiche: bisogna aver maturato esperienze in altre aziende, avere un’educazione e una preparazione internazionali, oltre ad accettare il duro lavoro in azienda”.
Ma i Ferragamo non fanno tutto da soli. Anzi, da anni portano avanti una politica che coinvolge al massimo i manager a cui si prospetta una carriera interna molto aperta. I Ferragamo siedono in consiglio e compiono le scelte strategiche ma la gestione del gruppo, quotato in Borsa a Milano dal 2011, è affidata a un amministratore delegato esterno alla famiglia, oltre naturalmente a un nutrito gruppo di manager. Il primo amministratore delegato esterno alla famiglia è stato Michele Norsa, che ha guidato il gruppo per dieci anni; da poco più di un anno è arrivato in azienda Eraldo Poletto.
James trascorre circa dieci ore al giorno in ufficio. “Prima ne facevo anche di più, ma da qualche anno ho scoperto il triathlon: nuoto, bici e corsa”, dice. “Mi alzo la mattina alle 5, quando moglie e figli dormono ancora, e mi alleno per tre ore. Lo sport mi ha aiutato moltissimo. Mi ha dato forza, concentrazione, tranquillità. Nel 2013 ho fatto la maratona di New York: abbiamo accompagnato alcuni ragazzi di San Patrignano, altri a quella di Venezia: in tutto una dozzina. È stato molto bello”. Tre ore di allenamento, dieci in ufficio, le opere di bene: riesce anche a dormire e a trovare un po’ di tempo per la famiglia? “Certo”, risponde tranquillo. “La sera quando torno a casa trovo sempre tempo per i miei figli Amelie, Oliver, la piccola Livia e mia moglie Louise. E poi ci sono i week end…”.
A guardare oggi Palazzo Spini Feroni, tra via Tornabuoni e l’Arno, sede della Ferragamo, nella sua austera bellezza e solidità che ospitò la sede del Comune ai tempi di Firenze capitale, sembra tutto bello, tutto facile. E invece facile non è stato per niente. Quel palazzo Salvatore lo acquistò a rate negli anni ‘30 e per anni fu la sede del negozio e il suo laboratorio: si progettavano e cucivano scarpe persino nella piccola cappella del palazzo, oggi restaurato con i fasti di una reggia e l’eleganza che solo una dinastia di imprenditori in un settore così particolare come quello del lusso può mettere in campo. Ma negli anni Sessanta, quando tutto sembrava andare per il meglio, Salvatore morì e la moglie Wanda si trovò all’improvviso catapultata ai vertici dell’azienda. “Mia nonna si trasformò all’improvviso da mamma a imprenditrice, per raccogliere l’eredità del sogno di mio nonno: la sfida di continuare la Salvatore Ferragamo senza il suo fondatore”.
Una sfida che si rinnova anche oggi, giorno dopo giorno. “Abbiamo la nostra storia, la nostra tradizione, i nostri modelli intramontabili”, racconta con orgoglio James, “ma abbiamo sempre saputo aggiornarci, proseguendo la nostra attività nella scia creativa dettata dal fondatore. Un esempio? Negli anni Ottanta, quando la moda la dettavano le donne in carriera, abbiamo creato una serie di modelli dedicati alla donna che lavora, che vive fuori casa, che ha una vita attiva. Quindi non solo tacchi alti e modelli da star”. James guida la divisione “Calzature e pelletteria per uomo e donna” del gruppo, una delle tre insieme al “Ready to Wear” e alla “Seta”. Ma la sua vera missione è l’innovazione che rende concreta la creatività. “Il mondo cambia e oggi a una velocità a volte spaventosa”, dice. ”Facciamo quotidianamente analisi di mercato per capire le tendenze e come cambiano i gusti del consumatore. Gli ultimi anni hanno visto il passaggio dalle ballerine alle sneaker; è chiaro che non potevamo fermarci, anche se creazioni così sportive potrebbero sembrare lontane dallo stile Ferragamo. Abbiamo fatto le sneaker sempre però con il gusto della ricerca per le forme, i colori e i materiali di Ferragamo”.
Ma l’innovazione porta inevitabilmente sulle piste del digitale. “Il nostro progetto digitale è partito. Lo usiamo per gestire i negozi e metterli al servizio dei clienti”, spiega James. “Ci serve per stare sempre in contatto con loro, non solo per l’e-commerce ma per proporre i nuovi modelli, per far conoscere prodotti pensati per quel mercato, addirittura per quella tipologia di cliente. Usiamo il digitale per vendere a distanza ma anche per diminuire le distanze, portare i clienti dentro i nostri negozi con una comunicazione globale sull’identità del marchio. È evidente che non tutti i mercati sono uguali e che non tutti richiedono gli stessi prodotti. Un esempio semplice è rappresentato dai i colori. La «Rainbow Shoe», la scarpa progettata da mio nonno Salvatore nel 1938, una zeppa in sughero foderata in pelle, uno dei nostri must, è ancora attualissima. Se però entriamo nello specifico dei colori, a parte il nero che funziona sempre, ogni paese ha le sue preferenze: nel mercato europeo e americano, che si assomigliano molto, sono richiesti i colori più vivaci; in Asia invece funzionano meglio le tinte pastello”.
James come erede di una famiglia di visionari ha una grande fiducia nel futuro. È un ottimista ed è convinto che il nostro Paese ce la farà a riprendersi e a crescere, perché ha tantissime energie proprio nelle famiglie, nel tipo di organizzazione, nella voglia di fare. “Mi auguro che i miei tre figli trovino una via che gli piace e che la seguano, senza timore”. Come ha imparato dalla memoria di suo nonno, i sogni e i progetti possono diventare realtà.
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