Articolo tratto dal numero di settembre di Forbes Italia
Nel grande recinto della finanza, il wealth management è forse il segmento rimasto più a lungo impermeabile ai processi d’innovazione che, invece, hanno coinvolto – e, secondo qualche analista, potrebbero travolgere – altri ambiti. Si pensi al mondo dei pagamenti digitali. Non significa però che anche la gestione dei grandi patrimoni, benché ancorata a un modello di business tradizionale, non si presti ad accogliere il cambiamento. In parte, è costretta a farlo, spronata dalle novità che stanno ridisegnando le regole e il perimetro dell’attività, come nel caso di Mifid II, la nuova direttiva sui mercati degli strumenti finanziari entrata in vigore a gennaio.
In parte, però, il rinnovamento è affidato all’iniziativa dei singoli operatori. Almeno quelli che accolgono le sfide future – la trasparenza sui costi, il trasferimento della ricchezza alle nuove generazioni, quindi la necessità di interloquire con una clientela differente dal punto di vista anagrafico, con nuove abitudini e necessità più sofisticate – senza giocare in difesa.
“La tecnologia deve semplificare la vita. Anche se l’età media dei clienti è elevata, uno smartphone in tasca ce l’hanno tutti. Nelle ultime settimane abbiamo lanciato, in fase di test, un servizio che consente di eliminare totalmente la carta dalla relazione con il banker. Per autorizzare una raccomandazione d’investimento non sarà più necessario firmare decine di pagine. Il cliente riceve una Otp (password monouso ndr) sul proprio cellulare, e dà l’ok”, spiega Riccardo Barbarini, responsabile di Ubi Top private, la divisione del gruppo Ubi Banca dedicata ai clienti con una disponibilità finanziaria di almeno un milione di euro. Per adesso la procedura sperimentale coinvolge 20 banker. “Potremmo arrivare al 50% della clientela entro fine anno. È un obiettivo ambizioso”, concede Barbarini, “ma fattibile”. In ogni caso, dice, lo sviluppo tecnologico nel wealth management non potrà mai sostituire la centralità della componente umana, di relazione, di vicinanza e interpretazione dei bisogni. “Anche perché questi ultimi cambiano nel tempo”, ricorda il manager. “Difficilmente i sistemi automatici come i robo-advisor (servizi di consulenza finanziaria online basati su portafogli modello ndr) saranno in grado di percepire l’evoluzione del profilo di rischio e degli obiettivi del cliente, in funzione del suo ciclo di vita”.
La divisione Ubi Top private è stata costituita nell’attuale forma nel 2017, a seguito dell’operazione Banca Unica, che ha consentito di concentrare in una sola struttura le migliori competenze derivanti dall’esperienza maturata dalle sette banche commerciali del Gruppo Ubi nella gestione dei grandi patrimoni. A distanza di un anno gestisce asset per 36 miliardi di euro, forte di un team di 300 banker, operativi sul territorio attraverso 27 filiali, per un totale di 20mila relazioni e 42mila clienti. “La scelta è stata quella di alzare l’asticella rispetto alla soglia minima di accesso tipica della clientela private, pari a 500mila euro. L’obiettivo è intercettare una clientela con esigenze sofisticate”, spiega Barbarini. Da affiancare anche con soluzioni studiate per rendere più efficiente l’organizzazione e la protezione del patrimonio familiare, finanziario, immobiliare e aziendale, favorire una corretta pianificazione successoria e una contestuale tutela della qualità della vita delle persone anziane (il cosiddetto self caring), dei minori o delle persone con disabilità.
“Uno dei nostri punti di forza”, annota Barberini, “è la sinergia che siamo in grado di mettere in campo con la divisione di corporate e investment banking. Dato che gran parte dei nostri clienti è rappresentata da imprenditori, la proposta di un servizio che abbracci anche le esigenze dell’azienda è molto apprezzata”.
La gestione degli asset finanziari rimane il cuore del servizio di wealth management. Viene interpretata attraverso un servizio di consulenza evoluta, che, rivendica Barbarini, “garantisce un costante controllo dell’equilibrio tra rischio e rendimento del portafoglio del cliente, in base al perimetro definito ex ante con il banker, grazie a un sofisticato sistema di ‘sentinelle’, messaggi di alert che segnalano eventuali disallineamenti. Siamo partiti nel 2005 con la consulenza evoluta e il nostro sistema proprietario di analisi del rischio di portafoglio. Nel 2008, quando è scoppiata la grande crisi finanziaria, si è vista la differenza rispetto a sistemi meno avanzati”.
Ben lungi dai crolli di Borsa del dopo Lehman, il primo semestre dell’anno non è stato comunque facile. Dopo anni di ottime performance azionarie e isolate fibrillazioni, la volatilità si è normalizzata su livelli più alti. E uno degli epicentri delle recenti scosse è stata l’Italia, per i timori seguiti alla formazione del governo Conte a trazione giallo-verde. “In questi casi, è facile scivolare dalla testa alla pancia… Alcuni clienti si agitano, ma molto meno che in passato. A loro spieghiamo, per esempio, che l’Italia vale meno del 2% nell’Msci world, il principale paniere azionario dei Paesi sviluppati. Avendo un’asset allocation ben diversificata su scala globale, l’impatto è limitato. Il nostro posizionamento sui mercati azionari è rimasto stabile, al netto di qualche operazione tattica. Le ultime trimestrali delle aziende europee sono tornate in linea con le attese, mentre tre mesi fa avevano in alcuni casi deluso le aspettative. L’economa mondiale tiene e non ci sono parametri valutativi troppo tirati in termini di rapporti prezzo utile. Semmai è il mercato del reddito fisso a essere più complicato”, conclude il dirigente, “sensibile com’è agli annunci della politica monetaria. L’universo dei bond per quest’annio difficilmente darà particolari gratificazioni”.
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