Giuseppe Guzzetti è stato lapidario: Cdp non entrerà in Alitalia. Il sistema delle casse, azionista di Cdp (con diritto di veto), non intende dare il via libera all’operazione che, in ogni caso, richiederebbe la creazione di una newco perché la Cassa, difesa con successo in passato dagli appetiti dei governi sul fronte di Mps, non può investire in società in rosso. Ma il governo può giocare altre carte per dotare il matrimonio Alitalia-Fs, partorito dal cilindro del governo: grandi indiziate sono le Poste, a rischio perfino Leonardo.
Ma, prima di conoscere il momento degli eletti, proviamo a chiederci se l’operazione sia sensata alla luce degli esempi in circolazione. Davvero val la pena di investire risorse (scarse) dello Stato per garantire il futuro a una società che oggi detiene una quota dell’8,5% del suo mercato di riferimento? Davvero l’onore italiano dipende dal controllo di una compagnia di bandiera che avrà comunque bisogno di un forte partner industriale?
L’idea di mettere assieme trasporto aereo e ferrovie, per la verità non è inedita. Qualcosa del genere già avviene in Francia e in Germania. Ma solo sul piano commerciale. Le Ferrovie di Stato italiane, però, si sono spinte più in là, lanciando, per ora senza concorrenti, un’offerta per una società che nei primi sei mesi del 2018 ha perduto 315 milioni tondi, con un Ebit negativo del 16,5%, un triste primato europeo.
Ma i problemi, come ha spiegato il professore Andrea Giuricin, non sono solo o soprattutto finanziari. In sintesi:
- Alitalia è ormai al quarto posto tra i vettori dietro Ryanair, Easyjet ed il gruppo Lufthansa.
- L’utilizzo della flotta a corto medio raggio è molto inferiore rispetto ai diretti concorrenti: meno di 8 ore, contro le oltre 9 ore di Ryanair e le quasi 11 ore di Easyjet.
- Gli aerei viaggiano imbarcando meno passeggeri degli altri: il “ load factor” è intorno all’80%, quando Ryanair ed Easyjet lo hanno rispettivamente del 96 e del 93 per cento.
L’alleanza con le Ferrovie consentirà di rimuovere questi talloni d’Achille? Treno e aereo, si diceva, già cooperano in alcuni paesi. All’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi ci sono accordi tra le compagnie e Sncf mentre in Germania è stato sviluppato un accordo air-rail. Anche da noi esiste un’intesa tra Trenitalia e Emirates (firmato ad inizio agosto) che tra l’altro prevede l’emissione di un biglietto unico. Anche Italo ha avuto in passato intese con Cathay Pacific.
Si può fare di più? Senz’altro sì. Gli esperti sottolineano che già esistono alcune soluzioni tecnologiche: il vettore ferroviario è in grado di disporre di codici di accesso nei sistemi di Global Distribution System del trasporto aereo. Ma per un’integrazione più completa restano problemi: i biglietti del treno, ad esempio, non possono essere anticipati oltre i 4-5 mesi perché prima non c’è visibilità delle tracce. Nel settore aereo a lungo raggio i biglietti possono essere venduti anche 12-18 mesi prima. Non va trascurato poi il fatto che la capienza di un volo a lungo raggio è assai inferiore a quello di un treno ad alta velocità. Di qui la necessità di avere molti voli a lungo raggio per riempire i treni, come fa del resto Air France che non si è limitata ad un accordo con Sncf ma l’ha allargata ad altre compagnie per riempire i treni, nonostante abbia un raggio d’azione ben più forte di Alitalia.
Dal punto di vista commerciale, insomma, l’alleanza treno/aereo non ha bisogno di accordi finanziari. Anzi, questi rischiano di ridurre in maniera sensibile il raggio d’azione e l’efficacia delle intese che rischia di essere la solita grande ammucchiata.
Ma forse è questo l’obiettivo della compagine di governo: un grande gruppo unico permetterebbe di far confluire le perdite Alitalia sotto un unico cappello, sfruttando tra l’altro i contributi di Fs per la gestione della rete. A meno che l’Europa non sollevi il veto. Ma, si sa, a Bruxelles sono cattivi tanto da non permetterci di primeggiare nello sport da noi preferito: il lancio dei soldi dalla finestra.
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