Innovation

Dalle startup ai grandi brand, il nuovo corso dell’innovazione in H-Farm

La sede di H-Farm a Roncade, a Treviso.

Articolo tratto dal numero di novembre 2018 di Forbes Italia. 
Di Piera Anna Franini

Negli ultimi sei mesi le richieste di percorsi di open innovation – un nuovo approccio all’innovazione che chiama le imprese a sviluppare non solo idee e risorse provenienti dall’interno ma anche dall’esterno – sono cresciute del 20% in H-Farm, il villaggio dell’innovazione fondato e diretto da Riccardo Donadon, nel verde trevigiano. Innovare è l’imperativo categorico di un’azienda che per tener testa a un mercato in evoluzione è sempre più incline a uscire dal proprio perimetro per andare a caccia di idee, conoscenze, strumenti e competenze. In tanti si sono rivolti a H-Farm, un unicum italiano, ma pure europeo, poiché fa impresa, formazione, investimenti, incuba e accelera nell’ottica digitale e sotto un unico tetto. Per il segmento open innovation ha messo a segno una squadra di 15 esperti in marketing, business e analisi finanziaria, per trovare soluzioni e scovare le startup in grado di rispondere ai bisogni delle aziende.

Come vengono selezionati i talenti dell’innovazione? “Sono finiti i tempi in cui bastava lanciare una semplice call for ideas per ricevere progetti interessanti. Ora si predispongono programmi di scouting, hackathon, un evento al quale partecipano esperti di diversi settori dell’informatica, ma anche progetti su misura”, spiega Timothy O’ Connell, direttore di H-Farm open innovation. Da questo osservatorio privilegiato, conferma che “negli ultimi due anni la richiesta di open innovation ha visto un’impennata ed è destinata ad aumentare”.

Riccardo Donadon ha fondato H-Farm

Su un piatto della bilancia c’è la fame di tecnologia di chi vuole crescere e ha chiaro il contesto internazionale. Sull’altro pesa il quartultimo posto dell’Italia nella classifica della Commissione Ue sul livello di digitalizzazione dell’economia e della società nei 28 Stati membri (Digital economy and society index). Una contraddizione? “L’Italia sta facendo un proprio percorso nel digitale, vissuto spesso nella conflittualità e nelle invidie tra i territori, fattore che contraddistingue il nostro Paese in tutte le sue articolazioni economiche, sociali, politiche. Le classifiche sono giustamente impietose e denunciano la pericolosa inconsapevolezza di quanto sia importante e necessario abbracciare il cambiamento da parte della nostra società. Ma se la mente va al 1994, quando ho iniziato a lavorare in questo mondo, riconosco che c’è stato un salto in avanti importante, anche se costellato di accelerazioni e rallentamenti”, spiega Donadon, reduce d’una brusca frenata: il suo Campus a Treviso – inserito dal ceo di Apple, Tim Cook, fra i top 100 al mondo – doveva essere ampliato così da ospitare 1.500 studenti. Per intoppi burocratici, il progetto è slittato. “È stato un incidente di percorso” rassicura. “In qualche modo ci siamo organizzati. Speriamo che i lavori inizino prima della fine della prossima estate. Siamo ottimisti”.

Candy, Generali, Deutsche Bank, Pfizer Italia, Henkel: sono solo alcune della aziende che si sono affidate a H-Farm per fare innovazione. Con quali risultati? Massimo Visentin, ad del colosso farmaceutico Pfizer, racconta che la collaborazione è iniziata nel dicembre 2017. Il processo è ancora in corso, dunque è prematuro fare bilanci. “Abbiamo cercato le startup in linea con i bisogni dei pazienti per i quali non esistono ancora soluzioni”, spiega Visentin. Screma e screma, la rosa s’è ristretta a tre startup, ora operative nelle divisioni Internal medicine e Market access dell’azienda. Dal canto suo, Andrea Contri, digitalization & open innovation manager di Candy spiega che “la collaborazione si è concentrata sulla ricerca di soluzioni digitali per la cucina e la lavanderia del futuro”. Candy già era in contatto con università ed enti per iniziative di trasferimento tecnologico, “ma questa è stata la prima esplorazione sistematica verso il mondo più strutturato delle startup. Abbiamo optato per H-Farm per via della loro storia più che decennale, e del network internazionale che vantano”.

Intanto, Versace ha allungato la lista dei marchi italiani, del fashion e non solo, finiti in mani straniere. Quanto si sta innovando il lusso di casa nostra? L’open innovation può contribuire a contenere l’emorragia di aziende che escono dai nostri confini? Risponde Anthony Saccon, alla guida della piattaforma che in H-Farm sostiene le aziende del lusso nella trasformazione digitale. “L’acquisizione di Versace da parte di Michael Kors è una scelta strategica della maison per accelerarne la crescita. Dopo alcuni anni di stasi, tutti i gruppi del lusso stanno analizzando l’ipotesi di nuove acquisizioni. Capri Holdings, il nome del nuovo conglomerato, può rinnovare lo scenario competitivo del lusso con tutti gli stimoli che ne conseguono”, spiega. E comunque, “le attuali dinamiche della domanda di luxury dei consumatori, in cui dominano i millenial, rendono imprescindibili l’adozione di strategie di innovazione a 360 gradi, che includano il design, le tecnologie e l’evoluzione culturale in azienda. Il design deve rispondere a un’estetica completamente nuova, dove lo streetwear si ibrida col lusso e ridefinisce le dinamiche del mercato”.

Anche le modalità dello shopping sono cambiate: l’85% degli acquisti di prodotti di lusso avviene ancora offline ma il 75% delle decisioni nasce online. “Questo comporta la ricerca costante di nuove tecnologie”, osserva Saccon. Per essere competitivi non basta essere al passo coi tempi, bisogna giocare d’anticipo. “Partendo dal presupposto”, conclude, “che ogni cambiamento implica un’evoluzione e di conseguenza un’opportunità: i brand del lusso si trovano di fronte a una serie illimitata di occasioni di ulteriore espansione del proprio business”.

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