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Chi finanzia la prima della Scala di Milano

Concerto di Natale Orchestra e Coro del Teatro alla Scala Direttore: Philippe Jordan; Maestro del Coro: Bruno Casoni; Soprano: Krassimira Stoyanova; Mezzosoprano: Daniela Sindram; Tenore: Stuart Skelton; Basso: Günther Groissböck

Articolo apparso sul numero di dicembre 2018 di Forbes Italia.

di Piera Anna Franini

La prima della Scala del 7 dicembre, quest’anno nel segno di Attila di Giuseppe Verdi, è l’evento culturale italiano per eccellenza, dal 2015 affidato alla direzione musicale di Riccardo Chailly. Com’è tradizione, l’opera viene ripresa dalle telecamere e dai giornali di mezzo mondo, dal New York Times in giù. Nella cabina di pilotaggio scaligera siede l’austriaco Alexander Pereira. Direttore artistico e sovrintendente, si occupa sia delle questioni artistiche, operando scelte non sempre condivisibili, dicono i critici, sia manageriali e qui, sono tutti d’accordo, eccelle. Entrerà negli annali per aver sgominato la banda dei bagarini, licenziando i dipendenti conniventi. Medaglia al valore, poi, per aver innalzato la presenza di capitali privati. Pur con i dovuti distinguo – si parte dagli sgravi fiscali – il parco sponsor e mecenati scaligero è infatti secondo solo a quello del Metropolitan di New York.

Il bilancio 2017 chiude con un risultato positivo di 4,1 milioni di euro e ricavi complessivi pari a 126,495 milioni. Stato, Regione e Comune intervengono per il 32,5%, il restante 67,5% deriva da contributi privati (16,8%), sponsorizzazioni (9,5%), erogazioni liberali (1,9%), biglietteria ed abbonamenti (28,3%), Camera di commercio (2,4%), più altre fonti di ricavo proprie (8,6%). Chi sono i privati? Banche, aziende della moda e più in generale del lusso (da Dolce e Gabbana a Tod’s e Luxottica), ma anche farmaceutiche (Bracco) e legate all’edilizia (Mapei). La lista è lunga. Pereira ha un contratto in scadenza, e di fatto già è scattato il toto-sovrintendente. Ma a fronte di questi numeri le probabilità che rimanga in sella sono alte.

Alexander Pereira, direttore artistico e sovraintendente della Scala di Milano.

La Scala è un unicum in Europa, dove donazioni e sponsorship per la cultura oscillano fra il 4 e il 15% del funding (fonte: World Cities Culture Finance Report 2017). Alla Staatsoper di Vienna, città musicale per eccellenza, più della metà del bilancio, che è di 124 milioni, deriva da finanziamenti pubblici, in tutto 63 milioni. È buona la performance del botteghino, 35 milioni, cui si aggiungono 14 milioni di ricavi propri: le visite guidate portano nelle casse più di un milione di euro. L’intervento dei privati vale solo 3 milioni. Al Teatro dell’Opera Bavarese, dove il bilancio sfiora i 106 milioni, il contributo degli sponsor è di appena 4 milioni. A far la parte del leone sono le sovvenzioni pubbliche, il 64% del consuntivo. Il box office totalizza 30 milioni. All’Opéra di Parigi, invece, a fronte di un bilancio di 219 milioni, 73,3 derivano dalla vendita di biglietti, 17,5 dagli sponsor e il resto da affitti e ricavi vari. I finanziamenti pubblici valgono il 45% del bilancio.

Altro colosso della lirica è il Covent Garden di Londra. 146 milioni il budget, costituito tra gli altri per il 22% da contributi pubblici, per il 32% dal botteghino, per il 21% da sponsor. Con il Metropolitan di New York i numeri raddoppiano e triplicano: si parte dal bilancio, che si avvicina ai 300 milioni per il 47,8% derivanti dai patrons che donano ispirati da un modello come Ann Ziff, presidente del Board of Directors. Al suo nome si lega un primato: nel 2010 staccò per il Met un assegno da 30 milioni di dollari, il più generoso della storia del melodramma. La signora Ziff, domina una piramide di dontori faraonica perché a New York, le fondazioni e le famiglie che contano vogliono comparire nel medagliere del teatro. È questione di status: la filantropia è nel dna di ogni buon americano, che se può contribuisce. Ma è anche questione di fisco: più doni e meno tasse paghi.

In Italia il mecenatismo è ora incoraggiato dall’Art Bonus, il credito d’imposta del 65% a sostegno della cultura. La Lombardia è in testa alla classifica per numero di mecenati ed erogazioni. Una cosa è certa: la lirica è un prodotto di lusso, e l’Italia ne detiene il copyright (abbiamo inventato noi l’opera, 400 anni fa). Con i ricavi del botteghino si copre solo una parte dei costi d’allestimento degli spettacoli. Poi c’è il mantenimento della macchina teatrale: un’azienda dai bilanci milionari e centinaia di dipendenti: alla Scala sono 900. In tempi in cui lo Stato non vede e provvede più come un tempo, il teatro richiede una gestione efficace e efficiente. Strategica anche sul fronte della pesca nel mare dei munifici sponsor.

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