Articolo tratto dal numero di dicembre 2018 di Forbes Italia.
Di Tobia De Stefano
Paradossi italiani. Il Paese che ha una disoccupazione giovanile stabilmente sopra il 30% -fanno peggio di noi solo Grecia e Spagna – è lo stesso dove decine di multinazionali ti dicono che se cerchi ingegneri o informatici alla prima occupazione non li trovi. Non ci credete? Per provarlo, Forbes ha tastato il polso a Engineering, oltre 10.300 dipendenti, 50 sedi distribuite tra Italia, Germania, Belgio, Serbia, Sud America e Stati Uniti. Ricavi in crescita del 14% nel primo semestre e utile netto a quota 23 milioni (più 49%). E un business, quello della consulenza e fornitura di soluzioni e servizi per la trasformazione digitale, che offre una visione privilegiata sul mondo del lavoro. Semplificando: gli esperti del gruppo entrano in un’azienda, ne studiano le caratteristiche e poi individuano i settori dove l’ausilio delle nuove tecnologie può migliorare la produttività e aprire nuove opportunità di business.
“Dal 2015”, spiega l’amministratore delegato Paolo Pandozy, “abbiamo assunto circa tre mila persone, e la ricerca non è mai stata semplice. Ma quest’anno, tra informatici, ingegneri e altri professionisti, sono in atto altre mille assunzioni. Possiamo dire che quelle difficoltà sono aumentate. Nel mondo It servono figure specialistiche che cambiano anno dopo anno, sempre più con formazione interdisciplinare. Per fare un esempio, l’esperto nell’analisi dei big data, il data scientist, cinque anni fa non esisteva, ma oggi è una delle posizioni più richieste”.
Del resto, l’intelligenza artificiale non è altro che una serie di algoritmi che interpretano una enorme mole di dati, e le imprese più evolute cercano come il pane persone capaci di maneggiare algoritmi e dati. Dove si trovano? “La carenza di formazione”, continua l’ad, “è sicuramente la causa principale del disallineamento tra domanda e offerta. I data scientist di cui sopra escono da facoltà scientifiche che fanno fatica ad aggiornarsi e hanno pochi iscritti”. Insomma, il problema riguarda il sistema universitario, certo, ma anche la scuola superiore, che non indirizza i ragazzi verso il giusto percorso di studi. Tant’è che Engineering nel 2017 ha “speso” oltre 120mila ore per formare i neoassunti e curare il costante aggiornamento del personale nella sua academy.
C’è poi il gap sulle retribuzioni. Perché se un neolaureato in Italia viene pagato il 40-50% in meno rispetto a uno tedesco, allora è più facile che decida di lasciare il Belpaese. “A Engineering, in Italia, un ingegnere al primo contratto guadagna circa 30 mila euro lordi, nella sede tedesca quella stessa persona arriva a prenderne 45/50mila. Purtroppo è la legge del mercato che riconosce per queste professioni così pregiate tariffe del tutto inadeguate”. Eppure il vero timore è che i robot e le intelligenze artificiali stiano rubando posti all’uomo. “Invece io”, chiosa Pandozy, “credo che questa minaccia possa diventare un’opportunità. La trasformazione digitale è pervasiva e riguarda tutti i settori dell’industria, dalla manifattura all’energia fino alla grande distribuzione e al mondo dei media e delle banche, e ha l’effetto di rendere non più conveniente la delocalizzazione delle unità produttive. Insomma, dà la possibilità a molte aziende che avevano lasciato l’Italia di farvi ritorno”.
Il famoso reshoring, la delocalizzazione al contrario, tanto osannato da Donald Trump. “Grazie all’automatizzazione dei processi, i gruppi più evoluti aumentano la produttività e possono permettersi di pagare salari più alti per i propri dipendenti. Oggi le grandi aziende decidono di spostarsi da un Paese all’altro, non più per abbassare il costo del lavoro, ma valutando essenzialmente due fattori: le competenze digitali delle nuove figure professionali e le condizioni fiscali favorevoli. Sul primo, l’Italia deve vincere la sua sfida competitiva. Sul secondo, l’Europa ci deve dare una mano perché non è possibile che esistano condizioni così disallineate, vedi il caso Embraco, tra due Paesi che fanno parte dello stesso sistema politico ed economico”.
Ce la faremo? “Dobbiamo farcela”, conclude l’ad di Engineering, “è una grande opportunità soprattutto per il Meridione, dove abbiamo diversi laboratori efficienti. Un posto di lavoro richiede solo l’investimento di un pc e la possibilità di contare su una rete valida e università adeguate. L’obiettivo, che non possiamo mancare, è migliorare la rete soprattutto nel Mezzogiorno e il percorso formativo. Ne va del futuro del Paese”.
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