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Sole, vento e acqua. Bello, ma è davvero possibile vivere di fonti rinnovabili? La produzione di energia pulita sui consumi finali comincia a contare qualcosa, a livello europeo e globale. I danni ambientali e sanitari dei fossili sono ormai sotto gli occhi di tutti. Ma c’è un elemento fondamentale, alquanto sottovalutato, per cui la rivoluzione delle rinnovabili potrebbe davvero concretizzarsi. Per la prima volta nella storia generare energia pulita costa tanto quanto produrne da fonti fossili. È la tesi di Valeria Termini, docente di Economia Politica all’Università Roma Tre e Senior Fellow all’Università Luiss di Roma. Nel suo Il Mondo Rinnovabile (Luiss University Press, Roma, 2018, pp. 176, prefazione di Romano Prodi), Termini sposa la tesi di una rivoluzione possibile, quella delle rinnovabili, ispirata dalla diffusa attitudine ambientalista che trae origine da alcuni dati di fatto sul cambiamento climatico in corso.
Secondo il WWF almeno 23mila morti premature nel 2013 sarebbero da ricollegare all’uso del carbone in Europa, con un costo di oltre 62 miliardi l’anno per la sanità pubblica dell’Unione Europea. Nei soli Stati Uniti i costi legati alla salute dovuti all’uso del carbone sarebbero pari a circa il 6% del Pil americano, tra i 350 e gli 800 miliardi di dollari. Con l’attuale livello di emissioni, al 2100 ben 2 miliardi di persone in più saranno esposte a piogge torrenziali, 1 miliardo di persone in più sarà a rischio siccità. E il carbone resta una fonte di energia ad alte emissioni di CO2, insieme a livelli significativi di particolato, fortemente dannoso per la salute.
Eppure la rivoluzione delle rinnovabili è ispirata anche dalla necessità di investitori e capitali di aggredire nuove economie di scala. Solare, eolico, idroelettrico e bio-combustibili rappresentano ormai un volàno per la crescita economica di aziende e stati, grazie alla riduzione sostanziale dei costi per la generazione di energia pulita, ormai tanto conveniente quanto quella prodotta con le fonti fossili. Il cambio di passo verso la transizione energetica, insomma, non è propriamente frutto di un ravvedimento operoso dell’umanità nei confronti della Terra, ma anche di una lucida valutazione costi/benefici.
Dal 2009 al 2015 i costi per eolico e solare sono diminuiti rispettivamente dell’80% e del 40% su base mondiale. In India, Emirati e Messico generare 1 MWh di energia con il fotovoltaico costa 30-45 dollari, mentre gli impianti a gas più efficienti non scendono sotto i 48 dollari, quelli a carbone sotto i 60 dollari, il nucleare sotto i 97 dollari. Il costo della produzione di energia da fonte eolica on-shore per il 2018 è stato stimato in 29 dollari al MWh, un prezzo ben inferiore al costo marginale indicativo medio del carbone, che è pari a 36 $/MWh. Mentre il costo del fotovoltaico su larga scala invece è ormai pressoché identico al costo marginale indicativo del carbone. E le previsioni riportano una tendenza ulteriormente al ribasso per il solare nei prossimi anni.
Le fonti rinnovabili stanno inoltre beneficiando in particolare l’Africa. Circa 600 milioni di africani (su 1 miliardo) vivono oggi senza energia. Un dato su tutti: l’intero continente africano consumava nel 2015 la metà circa dell’energia impiegata in un anno dalla sola Spagna. Le rinnovabili stanno invece regalando da un lato autonomia energetica dalle importazioni di fossili e dall’altro diffondendo l’energia capillarmente su un territorio spesso caratterizzato da notevoli distanze. L’energia rinnovabile invece si produce e si consuma in loco, trasformandosi in un volàno per la crescita del continente nero, che non potrà mai svilupparsi compiutamente senza un’elettrificazione di massa.
Eppure l’approvvigionamento energetico continua a rivelarsi fonte di sfruttamento per la popolazione africana. Cobalto e litio sono il nuovo “oro nero” che potrebbe rendere libera l’Africa, ma continua ad impoverirla. Miserevoli restano le condizioni lavorative di chi scava per trovare i materiali più preziosi nell’era delle batterie per le auto elettriche e degli smartphone. Il litio e il cobalto restano tanto preziosi per l’industria occidentale e orientale, quanto parassitari in rapporto alla rendita pressoché nulla garantita ai paesi africani che ne ospitano vasti giacimenti.
Una prospettiva rilevante da cui osservare l’evoluzione energetica in corso è anche quella geopolitica. Le fonti rinnovabili potrebbero porre fine anche allo sfruttamento di risorse naturali e fonti fossili a danno delle popolazioni dei paesi del Medio Oriente, dell’Africa centrale, dell’America Latina, dove l’uso politico del petrolio ha dato luogo a guerre decennali e corruzione, rallentando la crescita di istituzioni locali che garantissero servizi e diritti alle popolazioni. Già il Novecento era stato caratterizzato da conflitti tra paesi ricchi di risorse petrolifere e paesi importatori. Le rinnovabili potrebbero invece regalare, per loro natura, un approvvigionamento energetico a costo zero, largamente diffuso, in grado quindi di sovvertire rapporti geopolitici ormai cristallizzati da decenni.
Resta una domanda, però, da porsi per comprendere quanto sia matura la rivoluzione rinnovabile: la popolazione sarà mai pronta a pagare di più, per inquinare di meno? Nonostante la consapevolezza della politica, il cambiamento del clima visibile a occhio nudo, i conflitti per l’energia e le speranze che arrivano dalle fonti rinnovabili in termini geopolitici, le popolazioni non accolgono sempre con soddisfazione le frenate sulle fonti fossili e le accelerazioni sulle rinnovabili. Ne è la dimostrazione la rivolta in Francia contro la maggiorazione dei prezzi della benzina, studiata anche per disincentivare l’uso dell’auto privata. Una minoranza organizzata ha imposto un freno al Presidente della Repubblica francese, che intendeva incentivare la riduzione dell’inquinamento, per mezzo di un provvedimento politico sul prezzo del carburante. Troppo presto, forse.
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