Articolo apparso sul numero di gennaio 2019 di Forbes Italia.
C’è un pregiudizio diffuso che identifica la finanza con la speculazione. Intesa come ricerca pseudo-amorale del profitto, costi quel che costi. In realtà la speculazione non esiste. Esistono singoli investitori, grandi e piccoli, che comprano e vendono, attribuiscono un prezzo a degli strumenti finanziari, scommettono al rialzo o al ribasso. Insieme muovono i mercati. Lo fanno, certo, essenzialmente per ottenere un guadagno. Esiste, però, anche un approccio differente, che persegue il profitto senza rinunciare a interrogarsi sulle conseguenze sociali e ambientali delle attività in cui investe. È il mondo del socially responsible investing (sri). Vale oltre 23mila miliardi di dollari a livello globale, pari ad oltre un quarto delle masse in gestione, dice l’ultimo Global sustainable investment review, il più importante report sull’sri realizzato su scala internazionale. Secondo cui, in questo settore, l’Europa risulta più avanti rispetto agli Stati Uniti.
“Cresce a doppia cifra e rappresenta oltre il 50% degli investimenti complessivi improntati alla sostenibilità. In questo contesto, si segnala una buona performance dell’Italia, che negli ultimi due anni è passata dal 5 al 9% circa delle masse sri europee, raddoppiando il proprio peso nel Vecchio continente”, dichiara Francesco Bicciato, segretario generale del Forum per la finanza sostenibile, l’associazione che riunisce gli operatori del settore. Nel complesso, l’Europa cresce a doppia cifra. “A sua volta, l’Italia ha registrato in molte aree un passo più rapido rispetto agli altri paesi. In particolare nelle strategie basate sui criteri di esclusione, che estromettono certi settori dall’universo investibile – tipicamente armi, tabacco e pornografia – per un totale di 1.450 miliardi di euro, come riporta l’European Sri Study realizzato da Eurosif. O quelle che si si basano sull’attività di engagement, pari a 135 miliardi di euro”: il caso dei grandi investitori che intrattengono un dialogo con le imprese per indirizzare i manager verso decisioni orientate alla responsabilità sociale e ambientale. Negli ultimi due anni, l’impact investing, la strategia focalizzata su specifici progetti ad elevato impatto sociale, ha messo a segno un vero e proprio boom, passando da 3 a 52 miliardi di euro investiti. “Una fetta significativa è riconducibile a iniziative di housing sociale: ovunque stanno partendo nuovi progetti di sviluppo immobiliare, che cercano di dare risposta alle nuove esigenze abitative. La buona notizia”, spiega Bicciato, “è che in molti casi il ritorno dell’investimento è attraente e alimenta nuovi flussi”.
“L’impact investing, che finanzia progetti ed elevato impatto sociale, ha messo a segno un vero e proprio boom, passando da 3 a 52 miliardi di euro in soli due anni”
Il tema della redditività è cruciale, anche quando si parla di finanza responsabile. Se il socially responsible investing attira un interesse crescente da parte degli investitori in tutto il mondo, infatti, è anche perché l’integrazione tra analisi finanziari e criteri di responsabilità sociale e ambientale ha consegnato risultati interessanti in termini di performance. Consideriamo per esempio l’indice Msci world Sri, focalizzato sulle imprese più sensibili a temi della tutela ambientale, alla ricaduta sociale dei propri prodotti e servizi e alla trasparenza della governance aziendale: dal settembre 2007, data di lancio dell’indice, ha guadagnato il 5,3%% su base annualizzata, mezzo punto percentuale in più ogni anno rispetto all’Msci world. A conti fatti, equivale a oltre dieci punti percentuali di vantaggio in dieci anni. Nel caso dei mercati emergenti, il filtro dei parametri Esg (environment, social, governance) è stato ancora più efficace nel consegnare un extra-rendimento, realizzando una sovraperformance del 25% negli ultimi sette anni, rispetto all’Msci emerging markets.
Perché la finanza etica rende di più? Perché, attraverso l’integrazione di analisi finanziaria e fattori Esg, identifica le società meglio attrezzate a gestire rischi di natura extra-finanziaria: le meno esposte, quindi, a possibili sanzioni dei regolatori, problemi reputazionali e conflitti con i vari portatori di interesse (azionisti, lavoratori, comunità locali), che possono inficiare i risultati aziendali.
Un’ulteriore spinta alla crescita dell’investimento sostenibile arriva dalla regolamentazione europea. Il riferimento è alle diverse iniziative condotte su questo fronte in ambito Ue – dall’Action plan della Commissione alla risoluzione del Parlamento europeo sulla finanza sostenibile – che ora un gruppo di esperti (Technical expert group on sustainable finance, Teg) è chiamato a tradurre in regole più precise. Le nuove misure annunciate non solo promuovono una classificazione uniforme del mondo Sri – La Commissione europea ha di recente pubblicato, in consultazione, la bozza sulla tassonomia della finanza verde, che rappresenta il primo passo verso una codificazione condivisa a livello europeo -; non solo impongono a money manager di documentare i processi di gestione orientati alla sostenibilità. Ma arrivano ad incoraggiare e definire le regole per la creazione di nuovi indici di riferimento, low carbon e positive carbon impact, utili a indentificare, rispettivamente, le imprese che vantano un basso impatto ambientale e quelle che, grazie alle loro attività, riescono a ridurre le emissioni nette complessive di anidride carbonica.
Tra le iniziative annunciate dalla Commissione, c’è anche una modifica ai questionari Mifid, per garantire che le eventuali preferenze in materia di sostenibilità vengano registrate e tenute in considerazione nell’ambito dell’attività di consulenza. Intanto l’investimento sostenibile trova spazio soprattutto nei portafogli delle famiglie che dispongono di grandi patrimoni. Una ricerca condotta da Us Trust Bank of America, rileva come il 40% degli High net worth individual (Hnwi) americani abbia già interpretato una parte dei propri investimenti secondo le coordinate dell’investimento sri, in aumento degli ultimi due anni. La stessa ricerca mette in evidenza come tra i nati dopo il 1980 la percentuale degli Hnwi che già investono secondo criteri Esg raggiunge il 77%. Se il lato buono della finanza conquista anche i millennial, c’è da scommettere che non sarà un trend passeggero.
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