I vantaggi della grande operazione di emersione dei capitali all’estero, mediante le edizioni passate della voluntary disclosure italiana, sono stati fondamentalmente due: l’entrata nelle Casse dello Stato di oltre 5 miliardi di euro, fra imposte, interessi e sanzioni, e le migliaia di dati nelle mani dell’Agenzia delle Entrate in merito ai conti esteri, ai beneficiari effettivi, ai soggetti collegati e alle banche depositarie.
Una mappatura completa dei patrimoni detenuti all’estero dai contribuenti italiani che ha consentito al Fisco di incrociare i dati e dare il via ad una serie di verifiche sui soggetti coinvolti nelle varie operazioni e sulla natura dei rapporti che intercorrevano tra gli stessi.
Nelle ultime settimane, invero, oltre alla consueta verifica della corretta compilazione del Quadro RW e del versamento delle imposte sui redditi esteri, l’Agenzia delle Entrate sta ponendo una serie di quesiti, mediante l’invio di questionari, relativi al modus operandi delle banche e, in particolare, alla gestione del rapporto con i clienti.
Tant’è che le molteplici richieste stanno destando sospetto tra i banchieri esteri, insinuando il dubbio che nel mirino del Fisco non ci sia solo il contribuente ma anche la banca stessa, con l’obiettivo non solo di avere la lista completa dei rapporti bancari degli italiani all’estero, ma anche di rilevare la presenza di una stabile organizzazione della banca estera in Italia.
Molti rapporti d’affari, infatti, venivano gestiti direttamente presso il cliente, il quale, pur di non avere contatti con l’istituto estero, non si recava mai in banca, neppure per la sottoscrizione dei contratti.
Gli effetti sarebbero di non poco conto. Sotto il profilo impositivo, infatti, la stabile organizzazione è un autonomo centro di imputazione tributaria in Italia, per cui è tenuta al pagamento delle imposte dirette in Italia (IRES ed IRAP), in qualità di soggetto residente. Dunque, un’eventuale contestazione in tal senso potrebbe attrarre a tassazione i redditi prodotti dalla banca estera durante i periodi d’imposta ad oggi ancora accertabili e riconducibili all’attività svolta in Italia.
Inoltre, sarebbe applicabile anche la disciplina in materia di IVA italiana, con la conseguente integrazione del reato di omessa dichiarazione.
In questo pericoloso scenario, gli unici soggetti che non hanno nulla da temere – almeno per questa volta – sono i correntisti, in quanto le violazioni contestabili sono strettamente pertinenti alla condotta delle banche.
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