Tra quanto arriveranno le auto che si guidano da sole? Con tutta probabilità, non prima di dieci anni nei concessionari aperti a noi comuni mortali, e tra altri dieci forse le vedremo prodotte su scala industriale. Se la gente non si ribella. O se non falliscono i costruttori. Nel frattempo, però, chi sta lavorando per produrre veicoli autonomi si sta cimentando anche un’altra corsa, che dalle strade si sposterà nell’aria. Parliamo del mercato delle driverless car volanti: per ora esistenti soltanto in forma embrionale, ma che secondo molti esperti potrebbero rappresentare un mercato dal valore di decine o anche centinaia di miliardi di euro l’anno.
È uno scenario stile I pronipoti (la sitcom Hanna-Barbera ambientata in una futura era spaziale) quello dipinto dall’a.d. di Boeing, Dennis Muilenburg, che in un’intervista ha parlato di metropoli che potrebbero cambiare volto, con traiettorie di “traffico a tre dimensioni” e una rivoluzione dei trasporti che coinvolgerebbe non solo l’ambiente urbano ma anche il modo in cui viviamo, lavoriamo e occupiamo il nostro tempo libero.
A gennaio Boeing – la più grande costruttrice statunitense di aeromobili e la più grande azienda nel settore aerospaziale nel mondo – ha testato il prototipo di un veicolo senza pilota immaginato per raggiungere le aree rurali degli Stati Uniti, programmato su percorsi prestabiliti. Con una lunghezza di nove metri e con la capacità di trasporto di un peso di 300 chilogrammi, vuole essere la prima fase di un progetto che punta a conquistare le nostre città, soprattutto le più congestionate. Muilenberg dice che l’anno della svolta sarà il 2020. I problemi da superare sono ancora parecchi, e la società si sta confrontando con le autorità aeroportuali per evitare futuri disastri.
Di sicuro c’è che la popolazione urbana aumenta anno dopo anno, rendendo gli agglomerati umani sempre più densi e ingestibili. Nonostante la crisi finanziaria degli anni scorsi, le vendite di automobili passeranno, secondo alcune stime, dai 70 milioni di unità del 2010 ai 125 milioni entro il 2025. Il mercato immobiliare delle metropoli più prospere è sempre più caro, con la possibilità di costruire parcheggi o scavare nel sottosuolo che si fa per forza di cose esponenzialmente limitata. Per non parlare dell’impatto inquinante dei veicoli a diesel o benzina.
Per il momento, però, non sappiamo quante persone vogliano veramente saltare a bordo di taxi che volano – sì, saranno praticamente e concettualmente tutti dei taxi, anche quelli ad uso familiare – né quanti ostacoli di tipo logistico e legislativo debbano essere superati per avere il semaforo vedere dalle autorità statali. Oltre a Boeing, ci sono almeno tre startup – Volocopter, eHang, and Kitty Hawk – e due marchi già consolidati – Airbus e Uber – che stanno investendo cifre importanti in questa tecnologia, chiamata in gergo tecnico di Vertical Take-off and Landing (eVTOL). Le dimensioni dei prototipi per ora sono ridotte, il raggio d’azione è limitato, ma le potenzialità quasi infinite. La Silicon Valley è in fermento, e tra gli investitori si gioca a scommettere quale società verrà divorata per prima dai big player.
L’aspetto interessante è che la tabella di marcia per una diffusione su larga scala delle macchine volanti sarà molto più rapida di quella delle macchine driverless – il cui mercato non dovrebbe esplodere prima del 2030 – e questo per un semplice motivo: gli ostacoli sulla superficie terrestre sono di gran lunga più complessi di quelli presenti in cielo, e ancora di più se parliamo di città affollate con pedoni, biciclette, segnaletica stradale, cani a passeggio.
Ma di mezzo c’è anche la convergenza di una serie di progressi tecnologici: dall’Intelligenza artificiale ai nuovi materiali che permettono carrozzerie più leggere, dagli algoritmi alle nanotecnologie. Intervistato da Axios, Venkat Viswanathan, un professore della Carnegie Mellon University di Pittsburgh che da anni lavora allo sviluppo delle flying cars, spiega come un aiuto enorme sia arrivato dal recente sviluppo delle batterie agli ioni di litio – fondamentali anche per le macchine elettriche come quelle di Tesla – ma che tuttavia allo stato attuale non è sufficiente per lunghi tragitti, e dunque per produzioni di macchine volanti su larga scala.
C’entra – come spesso succede quando si deve determinare il successo di una nuova invenzione – il discorso dell’economicità: gli sviluppatori devono necessariamente cercare di produrre veicoli autonomi che riducano il costo del trasporto per chilometro percorso rispetto ai tradizionali veicoli a combustione interna. Attualmente le batterie delle auto elettriche vendute sul mercato possono durare per circa 1.000 cicli, in media, sufficienti per centinaia di migliaia di chilometri di viaggio. Ma per rendere economicamente conveniente questa nuova tipologia di veicoli bisognerà garantire molti più cicli. E assumere un pilota per ogni flying car rischia di far saltare tutti i conti, ed è fuori discussione. Oltre a sviluppare batterie più potenti, dunque, c’è da immaginare tutta la questione dell’impatto occupazionale di questo modello di trasporto.
Ma se le cose dovessero andare come si augurano gli investitori, è evidente che le città dovranno cambiare forma, con grattacieli che dovranno subire modifiche per ospitare – stile Blade Runner – queste macchine a metà tra un elicottero e un drone. Eppure il film di culto di Ridley Scott era ambientato nel 2019. Per ora siamo ancora lungi dal vedere una Los Angeles pullulante di questi “spinner”. Gli investimenti ci sono e anche l’ottimismo, ma le macchine volanti difficilmente risolveranno il problema della sovrappopolazione cittadina in tempi brevi.
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