Lavoro da casa - Smart worker al tavolo di casa
Strategia

Lo Smart working funziona anche per commercialisti e avvocati

Smart worker al tavolo di casa
(Getty Images)

Si stima che ogni individuo, nel corso della sua esistenza, passi mediamente 90mila ore a lavorare. Un’enorme quantità di tempo durante la quale ci si distacca temporaneamente dalla famiglia e da una serie di esigenze incompatibili con la presenza sul luogo di lavoro. La crescita dello smart working potrebbe cambiare a fondo questo equilibrio, garantendo una maggiore flessibilità sui luoghi e gli orari della routine lavorativa e, inoltre, un miglior bilanciamento fra la sfera privata e quella professionale.

Pochi dubiterebbero sul fatto che ridurre i trasferimenti casa-ufficio o potersi organizzare con più libertà siano fattori positivi per la soddisfazione dell’individuo. Meno scontato è, invece, stabilire se l’allontanamento dal luogo di lavoro tradizionale favorisca migliori risultati e le stesse possibilità di carriera.

Dal 2012 l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano indaga sugli sviluppi di questa innovazione, fornendo spesso segnali incoraggianti per i lavoratori e le imprese. Secondo i dati dell’istituto, i lavoratori agili in Italia sono 480mila, con una diffusione che si estende al 58% delle grandi imprese. Ora, una nuova ricerca dell’istituto ha valutato la diffusione dello smart working e i suoi effetti anche in un ambito importante del settore terziario, quello degli studi professionali (commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, multidisciplinari).

La diffusione del lavoro agile, in questo ambito, è già notevole. Nonostante l’impostazione tradizionale di questi uffici, è emerso che solo il 25% degli studi dei commercialisti esclude la possibilità di sfruttare lo smart working in futuro, percentuale che scende fino al 12% negli studi multidisciplinari. Già oggi, poi, il 29% degli studi dei commercialisti adotta il lavoro agile per i professionisti e un ulteriore 22% anche per i dipendenti. Chiude il quadro il 24% degli studi che si dice aperto a valutare l’attivazione dello smart working in futuro. Questa apertura da parte degli studi professionali non dovrebbe sorprendere. “Il titolare dello studio è già abituato un approccio analogo” afferma Marcella Caradonna, presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti (ODCEC) a Milano: parte del lavoro del titolare, infatti, viene abitualmente svolto fuori dall’ufficio. L’aggiornamento culturale sta gradualmente aprendo questa prassi anche alle altre figure impiegate negli studi, permettendo a queste ultime di compiere da casa, o comunque in mobilità, “le componenti più meccaniche del lavoro, come lo studio delle pratiche, la stesura di relazioni, le perizie”, spiega Caradonna.

L’impatto del lavoro agile sui risultati è ancor più interessante. L’Osservatorio, infatti, ha sottoposto un questionario a 196 titolari di studi professionali, con l’obiettivo di valutare le ricadute dello smart working nelle diverse componenti della prestazione lavorativa, dal grado di produttività a quello di responsabilizzazione. Nel complesso, le voci che hanno visto un miglioramento tramite lo smart working sono 11 su 12. Nel dettaglio, sono proprio l’incremento della produttività e dell’efficacia le caratteristiche riportate più di frequente: rispettivamente nel 33% e nel 34% degli studi professionali (con quote che salgono al 44% e 37% se si considerano solo gli studi dei commercialisti). Seguono, nell’ordine, i miglioramenti relativi al livello di autonomia (giudicato superiore dal 29% degli studi); la gestione delle urgenze (20%); l’efficacia del coordinamento (15%); l’utilizzo dell’IT (14%); la pianificazione del lavoro (13%); la soddisfazione (13%); la responsabilizzazione (9%); e, infine, la collaborazione fra colleghi (3%) e le distrazioni esterne (2%).

Il confronto di segno opposto, per ciascuna di queste voci, mostra un solo punto debole: lo smart working esporrebbe a maggiori distrazioni. Con questa modalità di lavoro, la possibilità di incorrere in distrazioni esterne risulta più elevata per il 15% degli studi professionali. “Le distrazioni possono essere legate all’ambiente circostante, è un dato che va letto più come il giudizio di una potenzialità”, spiega il professor Claudio Rorato, autore della ricerca dell’Osservatorio, “se ci si trova a casa, ad esempio, i figlio potrebbero essere fra queste distrazioni”. Anche se la possibilità di distrarsi aumenta, ciò non preclude che il saldo finale rimanga a favore di una maggiore produttività; infatti, solo l’1% degli studi ha rilevato un peggioramento di questa voce. Sarebbe legittimo supporre, d’altra parte, che un minor controllo da parte di superiori e colleghi potrebbe ridurre la responsabilizzazione e l’efficienza. Secondo il professor Rorato, però, le dinamiche che si vengono a creare, possono essere ben diverse. “La persona che attraverso il lavoro agile comprende come si possano soddisfare alcune esigenze di carattere personale”, afferma l’autore, “è motivata a mantenere questo status di beneficio; di conseguenza, il suo impegno e la sua serietà aumentano”.

Se lavorare in modo agile non colpisce negativamente le prestazioni, potrà dirsi lo stesso per le possibilità di ascesa professionale. Secondo Rorato, il mito che per fare carriera sia necessario restare in ufficio il maggior numero di ore possibili potrebbe essere messo in discussione. Dal momento che “è possibile ottenere indicatori su quanto una persona sia efficace e motivata anche a distanza”, i responsabili potrebbero “garantire possibilità di crescita professionale” in linea con l’impegno dimostrato.

Non sono tanto i timori che la produttività possa scendere a frenare un’ulteriore diffusione dello smart working, dicono Caradonna e Rorato, ma, piuttosto, le ultime resistenze culturali, gli effetti sulle “capacità di controllo, sulla sicurezza” e “il sospetto che i benefici siano scarsi, o inferiori ai rischi”. Secondo la presidente dell’ODCEC Milano, tuttavia, la tendenza è ormai tracciata: “Efficienza, produttività e benessere possono andare di pari passo? Sì, tenendo conto che, se c’è benessere, crescono qualità ed efficienza”.

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