La scomparsa a 85 anni di Silvio Novembre, maresciallo della Guardia di Finanza tra i principali collaboratori dell’avvocato Giorgio Ambrosoli nella liquidazione delle banche di Michele Sindona, deve essere l’occasione per riflettere sui valori della nostra società civile.
Silvio Novembre era infatti pervaso dagli ideali di correttezza, verità e spirito di servizio. A ciò abbinava una rara umanità, mista al desiderio continuo di imparare. Oltre a un’umiltà non comune. Nel necrologio apparso sul Corriere della Sera, l’economista d’impresa Marco Vitale, che lo ha conosciuto bene, ha scritto: “Piango la morte di un giusto”. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, lo ha definito “cittadino benemerito, esempio di servizio alle istituzioni, generoso ed instancabile, impegnato nella diffusione in città e nelle scuole del culto della legalità e della lotta alla corruzione”.
Quando Ambrosoli lavorava alacremente giorno e notte per venire a capo dei depositi fiduciari e delle operazioni truffaldine di Michele Sindona, a Novembre venivano proposti avanzamenti di carriera purché si facesse da parte: “Sono arrivati a offrirmi mezzo miliardo di lire”, disse. Arrivarono persino a proporgli delle cure speciali in America per la moglie Assunta, malata di tumore.
Per capire da dove venisse tutta l’energia di Novembre, è opportuno ricordare l’Italia povera del dopoguerra, quando gli italiani si sono spaccati la schiena per far ripartire il Paese. Il padre di Silvio faceva il muratore nel piacentino, nella “Bassa” cara a Gianni Brera. La tenacia, l’impegno dei migliori vengono spesso dal desiderio di riscatto, dalla volontà di lavorare bene e in modo serio. I superiori di Novembre si accorsero presto del suo valore e quindi venne chiamato a Milano nel nucleo di polizia giudiziaria. Divenne così bravo che rischiò di finire “in punizione” in un distaccamento sul Monte Bianco, decisione fortunatamente sventata dai magistrati della procura di Milano.
Il parallelo può sembrare ardito ma il desiderio di riscatto di Novembre è lo stesso che ha portato Sergio Marchionne a diventare il manager più credibile e lungimirante nel settore dell’automotive. Marchionne era abruzzese (nato a Chieti), la terra che perse più persone (minatori emigranti) nella tragedia di Marcinelle in Belgio (agosto 1956). Aveva il “chill in the belly”, il fuoco dentro, quella voglia di rivalsa e di affermazione che nasce dalla fatica e dall’emigrazione; per anni – una volta trasferitosi in Canada – Marchionne non aveva il coraggio di parlare in inglese con le ragazze. Questo fatto ha creato le condizioni per la successiva rivincita. Il manager-imprenditore al servizio del gruppo Fiat (poi Fca) invitava tutti a guardare dentro se stessi per fare la differenza e migliorare sempre ogni giorno: “C’è un mondo dove le persone non lasciano accadere le cose ma le fanno accadere, non lasciano i sogni fuori dalla porta ma si fanno coinvolgere, assumono rischi e lasciano il proprio segno…Coloro che scelgono di vivere in questo mondo credono che prendersi la responsabilità dia un significato più profondo al loro lavoro e alla loro vita”.
Voglio ricordare Silvio Novembre con una sua testimonianza: “Hanno cercato di comprarmi, lusingarmi, sistemarmi la vita, ma ho sempre detto di no. Altrimenti non potrei più farmi la barba davanti allo specchio, invece continuo a farla e a parlare tra me e me, a farmi l’esame e uscirne promosso”. Rigore morale, intransigenza quando serve, competenza, serietà, voglia di imparare, desiderio di riscatto. Ecco la ricetta per chiunque, in qualunque campo. Silvio Novembre ha molto da insegnarci. Gli sia lieve la terra.
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