articolo tratto dal numero di ottobre di Forbes Italia
Da studente a rettore della migliore università italiana. Ferruccio Resta non può che definirsi un “prodotto del Politecnico”. Siamo a Milano, Città Studi, sede storica dell’ateneo dove si formano ingegneri, architetti e designer. Ma non solo: con il nuovo anno accademico stanno partendo corsi di laurea fuori dai canoni tradizionali.
Resta ha appena varcato la soglia dei 50 anni e ha la carica che gli viene (anche) dal confrontarsi quotidianamente con gli studenti, un “cliente” che non invecchia mai, e da una convinzione: “Ci aspettano 15 anni di grandi opportunità”.
Bergamasco con la passione per il mare e la pesca, dovuta forse a una casa di famiglia in Corsica, il rettore sa che il primato è anche un impegno. Secondo QS World University Rankings, la più autorevole classifica mondiale, il Polimi per il quinto anno è stato individuato come il migliore ateneo d’Italia (e per la prima volta tra i primi 150 al mondo). Posizioni ancora più elevate per la reputazione, la ricerca e la qualità dei laureati. Infatti il 94% trova lavoro entro un anno dalla conclusione degli studi.
Professor Resta, che cosa significa essere alla guida della prima fabbrica italiana, tra le prime 20 al mondo, di ingegneri, architetti e designer?
Lavorare 12 ore al giorno per guidare un’azienda con circa 2.500 dipendenti, altrettanti ricercatori, una popolazione di oltre 42mila studenti e un giro d’affari di 400 milioni l’anno, senza contare il valore intangibile della formazione e della ricerca. Tutto questo con i vincoli che abbiamo operando nel settore pubblico e che i nostri competitor non hanno.
Come si fa a mantenere il livello di qualità che vi permette i riconoscimenti internazionali?
Le classifiche internazionali sono sempre da prendere con cautela ma restano un riferimento. I nostri punti di forza sono la qualità degli studenti e del corpo docente ma sappiamo che dobbiamo accrescere la nostra capacità di attrarre docenti qualificati dall’estero. In Italia siamo i primi anche per il livello di internazionalità, sia per quanto riguarda i docenti sia per gli studenti.
Su cos’altro c’è ancora da lavorare nei tre anni che restano del suo mandato?
Siamo deboli nei parametri strutturali: dal rapporto docenti/studenti al numero di corsi e docenti internazionali. C’è poi da sviluppare l’offerta formativa, che è robusta sulle materie di base, dalla matematica alla chimica, ma deve arricchirsi di nuovi contenuti richiesti dal mercato del lavoro. Non possiamo più formare solo sviluppatori di tecnologia ma utilizzatori consapevoli di tecnologie, aprendoci ad ambiti vicini alle scienze umane.
E come si fa questo?
Allargando lo spettro di conoscenze, come stiamo facendo ad esempio con il corso di etica per la tecnologia o come faremo con la nuova laurea magistrale in cyber risk strategy, sviluppata con la Bocconi, o con quella sul food engineering, che è un po’ eredità di Expo. Tutti avranno un advisory board con la presenza di aziende che contribuiranno alla definizione dei contenuti.
Qual è l’obiettivo di questa nuova offerta formativa?
Creare le nuove competenze per la classe dirigente del futuro prossimo. Nei momenti di grande cambiamento, come quello che stiamo vivendo, l’università ha la responsabilità di fornire gli strumenti necessari per affrontare le sfide che l’evoluzione tecnologica e sociale pongono.
Stiamo parlando della trasformazione digitale, che riguarda anche l’università stessa…
Certamente. Il digitale è uno strumento importante che va accolto con equilibrio. Io non credo all’università tutta online ma abbiamo avviato un progetto di innovazione didattica con un investimento di 3 milioni che prevede l’offerta di corsi in nuovi formati. E i risultati si vedono: il master “digitale” del Mip, Flexa, è entrato nella top ten mondiale ed è tra i primi quattro in Europa.
Nuovi contenuti, nuovi formati ma cos’altro determina il ruolo che il Polimi si è ritagliato nella vita economica e culturale di Milano?
L’apertura verso il territorio, senza se e senza ma, per diventare un punto di riferimento per l’innovazione più di quanto non lo siamo già. E qui ci sono il progetto 5G con Vodafone, il lavoro di integrazione sociale con le periferie, gli importanti investimenti nelle nostre sedi. Questo è il Politecnico nella città e per la città.
Quali sono i lavori in corso?
Il nuovo campus firmato da Renzo Piano è un cantiere sul quale negli ultimi tre anni sono stati investiti 85 milioni e che chiuderà nella primavera 2020. Entro il 2019 poi apriremo il cantiere per un grande laboratorio di ingegneria chimica. E poi c’è il progetto del Bovisa District: 180mila metri quadrati dedicati all’innovazione, alle startup, con il Polihub, ma anche alle imprese consolidate che vogliono innovare, con il Polifactory. Anche qui respiro internazionale, grazie alla partnership con l’incubatore cinese Tus Star, il più grande del mondo. Abbiamo poi completato il lavoro di sostegno alle startup con il fondo Poli360, che ha già fatto i primi investimenti.
Professore, che cosa studiano i suoi figli?
Uno è ancora alle elementari, il secondo frequenta il liceo scientifico, il più grande fa il primo anno di ingegneria, qui al Politecnico.
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