Cultura

La materia prima più a rischio di esaurimento? La sabbia

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Siamo stati tutti distesi, almeno una volta nella vita, in una spiaggia che si estendeva per chilometri e chilometri fin a perdersi all’orizzonte. Per questo motivo, ci risulta difficile pensare alla sabbia come a una risorsa fondamentale per la civiltà umana che potrebbe presto esaurirsi, oppure causare catastrofi demografiche e turbamenti geopolitici. E lo è ancora di più in un mondo che ci parla di rischio desertificazione e di conflitti in nome di altri materiali, come il petrolio, il gas metano, i diamanti o l’acqua potabile. Eppure, ci sono due fattori che, intrecciandosi tra loro, stanno contribuendo a rendere la sabbia un bene sempre a rischio esaurimento, scrive il sito Axios: la crescita demografica e delle metropoli in Africa e in Asia. Con la sabbia vengono costruite strade, edifici, infrastrutture pubbliche, vetri per le finestre e le automobili. È l’espansione delle città, più d’ogni altra cosa, a far aumentare la domanda di questa risorsa, che però viene estratta con modalità poco trasparenti che riguardano settori dell’economia totalmente informali, che comprendono il ricorso l’intermediazione delle mafie locali e il ricorso al lavoro di veri e propri schiavi.

Per capire come mai la sabbia si sta esaurendo, va chiarito subito che quella del deserto è inservibile per l’edificazione umana, in quanto troppo fine e liscia. Nulla da fare dunque per l’ipotesi di sfruttare l’immensità della Penisola arabica. La sabbia più richiesta è invece quella spigolosa che si trova nel greto di alcuni fiumi, laghi, spiagge e paludi alluvionali, e costituisce meno dell’1% di tutta la terra presente sul nostro pianeta. Di questo tipo particolare di sabbia, cruciale per la nostra sopravvivenza della nostra sviluppata civiltà, ne usiamo tantissima: 55 miliardi di tonnellate l’anno, rendendola la terza risorsa più sfruttata al mondo dopo l’aria e l’acqua. Senza di essa non esisterebbe l’asfalto delle nostre strade, o il cemento che regge milioni di edifici. Così come non potrebbero esistere le dighe, i bicchieri del vino o i cellulari. La sabbia è lo scheletro della vita urbanizzata. Il guaio è che la domanda supera di gran lunga l’offerta. La sabbia va comunque estratta dal sottosuolo e poi trasportata dove serve, spesso molto lontano rispetto al luogo di estrazione: in Florida, ad esempio, quella locale non va bene, e va importata dal Messico. Gli effetti dell’estrazione illimitata di sabbia sull’ambiente possono essere molto gravi. Alcuni ricercatori hanno scoperto che l’erosione dei corsi fluviali in India ha moltiplicato i danni degli allagamenti nello Stato del Kerala. Dopo che diversi ponti erano diventati instabili e svariati chilometri di banchina fluviale erano collassati per l’estrazione sabbiosa, nel 2000 la Cina ha vietato la pratica lungo lo Yangtze.

La rivista Nature ha scritto che il governo vietnamita ha costretto circa 500mila persone a trasferirsi a causa delle sponde del fiume Mekong che sono franate. nei pressi del delta. Dal 2012 al 2016, la Cina ha usato più sabbia di quanta ne sia stata usata dagli Stati Uniti nel corso del Novecento, e un quinto delle importazioni mondiali di sabbia toccano al gigante asiatico. Questo pone grossi problemi anche in termini faunistici: lo sfruttamento della sabbia nel lago Poyang – il più grande bacino d’acqua dolce del Paese – ha colpito le tratte migratorie degli uccelli locali, devastato aree adibite alla pesca da secoli e reso il lago più propenso alla siccità. Sul fiume Gange le sponde erose hanno distrutto l’habitat del gaviale, un rettile simile al coccodrillo che è già a rischio critico di estinzione. È una storia che riguarda anche gli Stati Uniti: tra le cause delle alluvioni provocate dall’uragano Harvey, due anni fa, è stata citata anche l’attività estrattiva nei pressi del fiume San Jacinto, in Texas. A detta del giornalista Vince Beiser del New York Times, bisogna sperare che una maggiore regolamentazione possa alleviare gli effetti più devastanti dell’estrazione, considerando realisticamente la volontà e i limiti dei governi locali nell’applicarla. Il problema principale è che in alcuni paesi le attività di estrazione illegali sono la norma, avvengono alla luce del sole e alimentano un’economia in nero che dà lavoro a migliaia di persone. In India si parla non a caso di “mafia della sabbia” per indicare quei cartelli criminali che sono arrivati a uccidere giornalisti e poliziotti che hanno provato a ostacolare il loro business.

Nel frattempo, l’ingegneria sta testando materiali alternativi come la plastica riciclata, il bambù, il legno e la paglia per rimpiazzare la sabbia nel processo che porta alla creazione del cemento. Oppure provando a migliorare la tecnologia che recupera e ricicla la sabbia dai materiali di demolizione (che costituisce circa la metà del totale). Paradossalmente, la sabbia serve anche per costruire i pannelli solari e le turbine eoliche, il cui uso dovrebbe ridurre i consumi energetici e quindi l’inquinamento che porta le temperature medie a crescere, gli oceani a innalzarsi e le spiagge ad essere consumate. Secondo Thilo Juchem, presidente di European Aggregates, queste soluzioni – spiega ad Axios – potranno nella migliore delle ipotesi aiutarci a usare le materie prime con più intelligenza ed efficienza, riducendo la pressione sulla domanda, ma soltanto marginalmente. Non bisogna farsi illusioni, dunque, e come sempre la soluzione più rapida per frenare il liberoscambismo selvaggio è soltanto una: il sottosviluppo, o una brusca frenata alla civiltà industriale.

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