di Paolo Mossetti
Domino’s Pizza, il colosso statunitense della consegna a domicilio, sta lanciando una clamorosa espansione in Italia, con l’apertura di oltre 880 sedi nella Penisola entro il 2030. E dai social è arrivato, come prevedibile, una certa dose di scetticismo sulle possibilità di riuscita dell’operazione.
La notizia è trapelata inizialmente a metà novembre. Ci ha pensato lo stesso Alessandro Lazzaroni, ad di Domino’s in Italia, che in un incontro con imprenditori interessati a investire in franchising ha rivelato che il marchio prevede di aprire almeno 880 nuove location in tutto il Nord e centro Italia nel prossimo decennio, fino a sfiorare la capitale.
Il nucleo da cui partirà l’ingrandimento italiano è da localizzare presumibilmente in prossimità della fabbrica di Buccinasco (Milano) dove Domino’s concentra già la produzione della sua pasta della pizza fresca, e che funge anche da polo logistico. Per ora non è previsto alcun piano per il Sud Italia, anche a causa di vari studi che dipingono quello meridionale come un mercato più difficile da aggredire.
L’intenzione è quella di raggiungere il 2% della quota di mercato delle pizzerie in Italia nei prossimi dieci anni. I nuovi avamposti della società si andranno a sommare alle “appena” 28 pizzerie già presenti in Italia, tutte al Nord, tra Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Nel mondo la multinazionale statunitense conta 16mila ristoranti in 85 Paesi. La prima nuova sede di Domino’s in Italia dovrebbe materializzarsi a Milano, nel corso dell’anno.
Fuori dai confini italiani, a dire il vero, le cose per Domino’s non vanno sempre a gonfie vele: nell’ottobre del 2019 società ha annunciato la chiusura di oltre 100 punti vendita in Svizzera, Islanda, Svezia e Norvegia, perché non producevano profitti sufficienti.
La catena stima un investimento iniziale di circa 250mila euro per punto vendita, con almeno 14 impiegati ciascuno, di cui sei corrieri (assunti con regolare contratto). La società punta ovviamente a diventare un leader nel settore delle consegne a domicilio nel Paese, con un obiettivo nel breve periodo del 50% di punti vendita gestiti dalla casa madre e il restante 50% da affiliati in franchising.
Il volume d’affari generato dal comparto pizza in Italia sembrerebbe avere discreti margini di crescita: nel 2018 ha fatto registrare quota 24 miliardi di euro, con un +2,6% rispetto all’anno precedente. “Gli italiani amano mangiare bene, ma non sono incatenati alle tradizioni. Piuttosto, sono curiosi di provare cose nuove”, dichiarò Lazzaroni nel 2015, quando aprì la prima sede milanese di Domino’s.
Giorni fa, quando è stato raggiunto per un commento, un portavoce di Domino’s ha dichiarato: “Domino’s è amato nei Paesi di tutto il mondo, dal Giappone all’Italia al Brasile e siamo orgogliosi del potenziale di crescita che il nostro franchisee in Italia sta anticipando”, ha detto il rappresentante a Fox News.
Sembra evidente che la chiave di volta per battere le pizzerie tradizionali e penetrare nel mercato non sarà tanto il sapore, quanto ciò che Domino’s sa fare meglio: preparare pizze con efficienza industriale e consegnarle a casa dell’utente in pochi minuti.
Com’è cambiato il contesto rispetto all’apertura della sezione italiana di Domino’s, cinque anni fa? Che il mercato delle consegne a domicilio si è letteralmente ingigantito, passando da innumerevoli attori come Uber Eats, Just Eat o Deliveroo. L’ubiquità delle app ci fa dimenticare quanto, fino all’altrieri, fosse poco diffusa questa pratica: anche nel settore delle pizze, spesso permeato dall’informalità e dall’economia in nero.
L’Italia ha sempre avuto migliaia di ristoranti takeaway che vendevano pizze o fette di pizza per nulla gourmet, e a prezzi modici. Ed è sempre stato possibile chiamare la pizzeria di quartiere per un’ordinazione (purché la si andasse a ritirare) ma ben pochi te la consegnavano a casa. Un lustro fa, erano relativamente scarse le pizzerie che ti permettevano di ordinare online una pizza, pagare con la carta di credito e tracciare la spedizione in tempo reale. Ora il settore è stato travolto dalla moda del food delivery, e bisogna capire se Domino’s potrà approfittare della mutata attitudine dei consumatori, oppure subire il confronto con altri prodotti di qualità.
La mossa della società sembra in ogni caso la più sfrontata di questo tipo dai tempi in cui McDonald’s aprì la sua prima sede in Italia, a Bolzano, nel 1985. Tra le città che Domino’s sta prendendo di mira come potenzialmente redditizie per l’invasione ci sarebbero Varese, Como, Lecco, Cremona, Mantova, Lodi, Pavia, Cologno Monzese, Cinisello Balsamo, Paderno Dugnano, Rozzano, Vigevano, Legnano, Busto Arsizio, Gallarate, Desio, Lissone, Seregno e Cantù.
E proprio come la fanfara che accompagnò l’apertura dei primi Starbucks italiani nel 2018, alcuni utenti di Twitter sono piuttosto scettici sul piano di conquista della multinazionale americana. “Domino’s in Italia? È come vendere ghiaccio agli eschimesi”, ha scritto un utente. “L’autentica pizza italiana con pasta / ingredienti freschi è (letteralmente) il vertice della catena alimentare. Perché mai dovresti .ordinare una pizza di Domino’s Pizza rispetto all’originale? Dovrebbero vietarlo per legge”. Un altro commentatore ha scritto che la notizia “segna davvero la fine della civiltà”, mentre secondo un altro tutti i negozi italiani della catena di pizza finiranno col chiudere sicuramente entro il 2021.
Considerando che le stesse battute si ascoltavano anche a proposito di Starbucks, quando ha fatto la sua comparsa in piazza Duomo a Milano nel 2018 (e invece è ancora lì) c’è da andarci cauti. Molto spesso, nella scelta dei prodotti culinari, in cima alle preferenze degli utenti ci sono priorità che con la tradizione non hanno nulla a che fare.
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