570 milioni di dollari buttati via. 130 solo in California e Texas. La strategia di Michael Bloomberg per il Super Tuesday, cinica da far impallidire Donald Trump, è stata un fiasco epocale. Ammesso che tentare di comprarsi i due Stati più ricchi di delegati investendo unicamente in spot tv e web advertising, azzerando comizi e vicinanza agli elettori negli Stati minori, fosse davvero una strategia. La lezione è netta: per vincere le primarie USA e correre per diventare Presidente, essere un magnate non basta.
Eppure alzi la mano questa mattina chi non aveva predetto un successo dell’ex sindaco di New York o chi ancora, forse per non essere troppo duro con un perdente, preferisce scrivere che Bloomberg ha solo fallito il suo primo tentativo. Ma a quale prezzo?
Si sa, l’America non ama i looser, i perdenti. Oggi i titoli principali sono per Joe Biden e Bernie Sanders, e già lo sconfitto Bloomberg interessa meno, perché il capovolgimento di paradigma (cioè la Bloomberg Tower al posto della Trump Tower, Lexington Avenue al posto della Fifth Avenue) funzionava solo nella testa degli spin doctor liberal, mentre non ha funzionato nella realtà delle urne.
Qualche maligno potrebbe dire che in realtà si voleva ribaltare un altro paradigma, e cioè mettere Merrill Lynch al posto di Goldman Sachs, e forse non avrebbe torto, ma agli elettori democratici la cosa non interessava molto. Minoranze operaie per Biden, bianchi e istruiti per Sanders, la generalizzazione è tremendamente rozza ma rende l’idea; a Bloomberg rimane solo un pugno di mosche e un segno meno a biro rossa nel bilancio di famiglia.
Scoprire quindi che Trump (e Berlusconi, peraltro noto estimatore di Hillary Clinton) non hanno avuto successo in politica grazie ai soldi può essere una cosa dura da accettare per alcuni, ma è un fatto. La politica è alchimia, momento, immaginario. Essere poveri forse non aiuta, ma essere miliardari di certo non regala quella la differenza che serve ad affermarsi.
La Russia, mutatis mutandis, è forse una plutocrazia ma Vladimir Putin è appunto il carismatico manovratore politico di conglomerati economici che hanno avuto l’astuzia di non candidarsi in prima persona. Questa ricetta è valsa a Putin la leadership assoluta in Patria e la faccia (potere della satira ai tempi della cyber war) stampata sui finti biglietti da cento dollari all’estero.
Il paradosso di Bloomberg è che ha vinto dove non ha speso un dollaro! A West Samoa, nel Pacifico del Sud, territorio americano composto da cinque isole e due atolli, ha ottenuto sei delegati.
Bloomberg ci dimostra, a sue spese, come il business last minute non si costruisce last minute. E se aveva in mente un’America sul modello della sua New York City, dove senza uno stipendio mensile clamoroso nessuno può sopravvivere, ora gli sarà chiaro che gli elettori democratici ne hanno in mente una completamente diversa.
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