Il quadro progressivamente meno funesto offerto dal bollettino giornaliero della Protezione Civile e l’imminente scadenza del decreto “Chiudi Italia” fissata per il 13 aprile hanno acceso il dibattito sull’avvio dell’agognata “Fase 2”, ovvero tempi e modi per allentare il lockdown. Dal vertice di ieri tra il Governo e il Comitato Tecnico Scientifico è emersa una linea di “gradualità e prudenza”, con l’ipotesi di una “Fase 2” in due step: il primo riguarderebbe piccole aperture per le attività produttive, il secondo la rimodulazione delle misure per spostamenti e uscite.
Ma cosa dicono oggi i dati? L’andamento dell’epidemia in Italia permette di programmare un allentamento delle misure? Con quali rischi?
Ed è possibile prevedere il giorno del contagio zero? Quali risultati hanno ottenuto le misure di distanziamento sociale?
La Fondazione GIMBE ha provato a rispondere basandosi sui dati e su un modello predittivo. «La Fondazione – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – ha deciso di rendere pubblici i risultati delle proprie analisi indipendenti per offrire alcune risposte, utili ad informare le decisioni politiche ed aumentare la consapevolezza della popolazione in un momento estremamente delicato della gestione dell’epidemia nel nostro Paese».
E’ possibile prevedere il giorno del “contagio zero”? Nell’impossibilità di prevedere il giorno in cui non ci sarà alcun nuovo caso, la Fondazione GIMBE pubblica il proprio modello predittivo che ha ormai raggiunto un’adeguata stabilità (figura 1).
Il modello è stato elaborato con l’analisi della regressione utilizzando 2 variabili: l’incremento percentuale dei nuovi casi e il tempo espresso in giorni. Il modello prevede che il 16 aprile l’aumento dei casi scenderà al 2%, il 27 aprile all’1%, il 7 maggio allo 0,5% e il 2 giugno allo 0,1%, soglia utilizzata ad Hubei per allentare le misure. «Il modello – spiega Cartabellotta – viene aggiornato quotidianamente e deve sempre essere maneggiato con cautela perché l’andamento dei contagi potrebbe essere influenzato da variabili non considerate, spesso differenti nelle varie Regioni: insorgenza di nuovi focolai, numero di tamponi effettuati, aderenza alle misure di distanziamento sociale, sovraccarico degli ospedali».
Quali risultati hanno ottenuto le misure di distanziamento sociale?
- Nuovi casi: nell’ultima settimana l’incremento medio giornaliero è stato del 3,9%, con trend in progressiva riduzione dal 4,5% al 2,3% (figura 2).
- Rispetto alle categorie di casi riportati dalla Protezione Civile:
- Pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva: il crescente decongestionamento degli ospedali è il dato che infonde maggiore ottimismo (figura 3).
- Isolamento domiciliare: il numero è in continuo aumento grazie ad una più efficace identificazione dei contatti e di casi sempre meno gravi.
- Guariti: il numero aumenta, ma risulta sovrastimato perché vengono conteggiati in questa categoria i casi della Regione Lombardia dimessi dall’ospedale, senza informazioni sul loro status di guarigione clinica o virologica (ieri 59,4% dei “guariti”).
- Deceduti: la curva continua a salire con una minima flessione negli ultimi 2-3 giorni.
- Pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva: il crescente decongestionamento degli ospedali è il dato che infonde maggiore ottimismo (figura 3).
I risultati italiani sono in linea con quelli della Cina? Il confronto è stato effettuato con la provincia di Hubei che conta 58,5 milioni di abitanti ed ha avuto una modalità di espansione iniziale dell’epidemia simile a quella italiana. Le curve di crescita dei contagi (figura 4) dimostrano che i risultati delle misure attuate in Italia sono ben lontani da quelli ottenuti in Cina. «Questa differenza – spiega Cartabellotta – è dovuta almeno a tre motivazioni: da noi misure non tempestive, meno rigorose e più frammentate e minore aderenza della popolazione».
«Il ruolo dei dati nelle decisioni politiche – continua Cartabellotta – dipenderà da quali indicatori sceglierà il Governo per stabilire criteri, tempi e modalità per l’avvio graduale della “Fase 2”, nella consapevolezza che, a differenza della Cina, non siamo in condizioni di applicare una sistematica tracciatura dei contatti tramite tecnologie avanzate e che i test sierologici non permettono ancora di fornire alcun “patentino di immunità”».
In sintesi, le analisi indipendenti della Fondazione GIMBE suggeriscono che:
- La curva del contagio è rallentata, ma l’aumento dei nuovi casi è ancora rilevante.
- Le misure di distanziamento sociale hanno alleggerito il carico sugli ospedali, ma il loro effetto sul numero totale dei casi è ancora modesto
- L’allentamento delle misure dovrà essere graduale e differenziato per tipologia di intervento e, ove possibile, “personalizzato” nelle varie Regioni monitorando strettamente l’insorgenza di nuovi focolai.
- Se nelle prossime settimane sarà confermato il rallentamento dei nuovi casi, con una certa dose di spavalderia la “Fase 2” potrebbe essere avviata tra fine aprile e inizio maggio, accettando il rischio di una nuova impennata dei contagi.
- Se al contrario la linea vuole essere quella della gradualità e della prudenza, qualsiasi riapertura prima di fine maggio non si basa sulle dinamiche del contagio in Italia.
«Il Governo – conclude Cartabellotta – è chiamato a prendere una delle decisioni più difficili della storia della Repubblica, con effetti determinanti sulla nostra salute, sulle nostre libertà individuali e sull’economia del Paese. Guardando ai numeri è fondamentale conoscere quale indicatore guiderà la politica per l’attuazione della “Fase 2”: sarà, auspicabilmente, la riduzione dei contagi al di sotto di una soglia più bassa possibile? Oppure, ci si limiterà a contenere il verosimile aumento dei ricoveri e dei decessi, per il timore che la popolazione e l’economia non sono in grado di reggere un rigoroso prolungamento del lockdown?»
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