“La privacy è il diritto a stare soli”. Ha detto un professore americano racchiudendo in una sola frase interi tomi di diritto.
L’ultima spallata al concetto di privacy, reso già fragilissimo dai social media e da Google, arriva dalla Cina, provincia di Hebei, città di Qianan dove il governo ha deciso di sorvegliare i cittadini sottoposti a quarantena da Covid-19 con delle videocamere poste nelle case (come racconta la Cnn), avete letto bene, accese dentro il salottino buono di famiglie cinesi che risparmiano per comprarsi l’iPhone e assaggiano con le bacchette di bambù spicchi della civiltà occidentale.
Il Grande Fratello arriva in salotto e si siede tra noi come una vecchia zia, senza nemmeno farsi annunciare.
Alcune telecamere montate davanti l’uscio di casa e senza nessun preavviso le hanno trovate invece alcuni residenti di origine irlandese tornati da un viaggio nel sud del Paese. E si sono chiesti se questa invasione della vita privata può essere tollerata da cittadini pur se sottoposti a quarantena.
Occhi sempre accesi, che grazie all’intelligenza artificiale, sanno distinguere persona da persona riportando dati e comportamenti al sistema centrale, alimentando quel “codice sanitario” istituito dal Governo dopo il boom dei contagiati di Wuhan.
Nella città orientale di Hangzhou, come riporta un sito locale, China Unicom, uno degli operatori di telecomunicazioni controllato dallo Stato e quotato alla Borsa di Hong Kong, ha installato 238 telecamere per monitorare i residenti in quarantena nelle loro case, fin dall’8 febbraio.
Oltre 20 milioni di telecamere sono state accese in tutta la Cina a partire dal 2017, secondo i dati diffusi dall’emittente pubblica CCTV. Ma altre fonti fanno pensare ad numero molto più alto. Secondo un rapporto di IHS Markit Technology, che oggi fa parte di Informa Tech, la Cina aveva installato 349 milioni di telecamere di sorveglianza fin dal 2018, quasi cinque volte il numero di telecamere operanti negli Stati Uniti.
Per distrarre l’attenzione dal concetto di una privacy ripetutamente violata, almeno secondo i codici delle democrazie occidentali, si espongono i risultati in termini di efficienza. Nell’area della capitale del sud, Nanchino, provincia orientale di Jiangsu, funzionari del Governo hanno dichiarato che mettere fuori dalle case delle famiglie in quarantena delle telecamere per monitorarle 24 ore al giorno ha contribuito a “liberare personale sanitario che nel frattempo si è dedicato ad altre attività urgenti con un notevole risparmio di denaro” visto che il costo di un impianto di sorveglianza costruito a Shenzhen costa poche centinaia di euro e resta acceso per anni.
E questo è un altro punto critico che riguarda anche l’arrivo della tanto chiacchierata “Immuni”, l’app per il “contact tracing” degli italiani. I dati sanitari delle persone, anche se individuate da codici che garantiscono l’anonimato, quanto tempo restano in memoria? Come verranno cancellati?
Come verranno protetti da eventuali furti da parte di cyber-criminali? Nelle cronache degli ultimi anni compaiono reati legati a dati sensibili sulla salute sottratti o venduti illegalmente, anche da cliniche mediche, a compagnie di assicurazione che ne fanno un uso prezioso quando arriva un cliente per una polizza vita.
La compagnia, acquisiti questi dati sensibili, potrebbe modellare il premio in base allo stato di salute dell’assicurato. Il che, oltre a non essere etico, non è neppure legale.
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