Il mercato dell’arte e del collezionismo, prima del coronavirus, era florido e in costante espansione. Il più autorevole report (Art Basel/UBS Art Market Report) fotografava nel 2019 una solida leadership del mercato anglosassone (con Usa padroni assoluti e Uk a seguire) e Cina sul terzo gradino.
Geograficamente, si capisce bene come tanto l’origine quanto le successive aree di diffusione del COVID-19 abbiano inferto un colpo significativo alla galassia delle belle arti, colpendone al cuore la capitale mondiale: New York.
Vediamo gli effetti negativi su chi ha investito in arte, in ogni parte del mondo, ma anche i fattori positivi che si annunciano imminenti.
Come per il mercato azionario, il bisogno di fare cassa sta portando alla vendita di molte opere. Con conseguente calo dei prezzi. Due le strade maestre. Una rappresentata dalle transazioni tra privati (dove, ovviamente, il prezzo lo fa il compratore) stimate in clamoroso aumento. L’altra rappresentata dalle dismissioni (specie in America) a fini fiscali, secondo il doppio canale delle donazioni e delle devoluzioni. Le prime sono opere d’arte regalate per avere diritto all’esenzione fiscale, le seconde vendute per una liquidità che finisce in detrazione (CARES è il nome del provvedimento federale che permette di detrarre le elargizioni verso il settore non-profit, del quale i musei sono i principali esponenti).
La crisi è poi acuita dai nuovi criteri di accesso al credito. Il ruolo delle terze parti, come banche o finanziarie, in uno scenario recessivo (e con la disoccupazione che potrebbe toccare quota 15% negli Stati Uniti secondo Goldman Sachs – per l’Italia una cifra quasi abituale – ma Oltreoceano considerata “folle”) difficilmente sosterrà business in campo collezionismo, preferendogli asset meno nevrotici e più basilari per la vita quotidiana.
E ancora: con musei, case d’Aste e fiere chiuse, difficilmente si avranno nuovi compratori, impossibilitati a vedere coi loro occhi. A discutere viso a viso con gli specialisti, a rendersi conto della concorrenza.
Dai quartier generali (chiusi fino a nuovo ordine) delle Auction Houses trapela che il valore delle opere è rimasto “astrattamente” stabile, ma tutti ammettono che le prossime aste – salvo quelle che avevano già i cataloghi pronti e sono state stoppate dal COVID-19 – avranno pochi pezzi da offrire e cifre al ribasso. I collezionisti miliardari non se ne curano, chi invece opera per lavoro ci perderà o ci ha già perso, come i piccoli collezionisti, che hanno scelto di vendere nei primi due mesi di pandemia.
In netta controtendenza c’è invece il mondo dell’orologeria. Per diverse ragioni.
Prima di tutto la Watch Community può contare su tre capitali nel mondo, ciascuna pronta ad andare in soccorso dell’altra: a vicariarne il ruolo. Ginevra, Hong Kong e New York sono diversissime tra loro, ma complementari. Questo non succede per gli altri settori: quadri, sculture, gioielli e design hanno tutti una sola capitale riconosciuta dove vedere, vendere e comprare: New York. Che nel frattempo è però diventata la capitale del virus.
Gli orologi, a differenza di altre commodities, si comprano principalmente per amore, per passione. Cosa che non avviene per gli asset finanziari ma anche per altri investimenti delle fine art, come gli archivi di figure celebri. Questo vuol dire che la percezione di rischio, e di perdita, in caso di vendita in negativo, è bilanciata dal fattore psicologico.
“Il lockdown”, ci diceva ieri sera al telefono da New York Paul Boutros (Head of Americas per Phillips) “ha fatto aumentare, se possibile, l’interesse dei collezionisti che per fuggire allo stress della quarantena, si sono immersi nello studio di referenze e modelli iconici. Mai come in questo periodo abbiamo ricevuto richieste di reperire sul mercato pezzi di pregio.”
Certo, la passione dei collezionisti non è un buon motivo per dormire sugli allori. Phillips, ad esempio, si è inventata la sua prima cross-category online auction. “Abbiamo qui due cose d’avanguardia assoluta” continua Boutros “la prima è appunto un’asta che offre orologi e gioielli, opere di design e arte contemporanea tutto in un unico evento. E tutto online: metodologia sicura che si sta affermando sempre più tra i compratori. Certamente questa è una risposta proattiva al coronavirus che il nostro team di Hong Kong ha voluto lanciare come segnale di rinascita.”
Ma se il Governo Federale svizzero dovesse confermare le previsioni, a fine giungo a Ginevra potrebbe tenersi la prima asta aperta al pubblico dall’inizio dello shutdown, cosa al momento impossibile in quanto sarebbe un evento con oltre mille partecipanti. Sarà forse l’avvio di una nuova stagione di ottimismo?
A noi sembra un momento ormai lontano nel tempo, ma solo sei mesi fa incontravamo Paul Boutros nel suo ufficio di Park Avenue. Davanti a noi, oltre a due ottimi caffè, due Rolex strepitosi e tangibili, non virtuali. Erano il GMT di Marlon Brando in Apocalypse Now e il Day-Date in oro 18 carati di Jack Nicklaus. Ma non sapevamo che davanti a noi c’era anche, molto meno tangibile, il cigno nero coronavirus e tutte le sue sfide ancora da vincere.
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