Articolo apparso su sul numero di Forbes di giugno 2020. Abbonati
Un ex pilota automobilistico leggendario come Mario Andretti diceva: “Se hai tutto sotto controllo, significa che non stai andando abbastanza veloce”. Un inno al coraggio di osare e al fallimento come tappa fondamentale per il successo. Ma se è vero che andare spediti è importante, lo è anche non sbattere la testa troppe volte; o meglio, imparare dai propri errori. E di accelerazioni, è il caso di dirlo, ne sa qualcosa Plug and Play, l’incubatore più grande al mondo e investitore della Silicon Valley, dove il quartier generale si estende per quasi 17mila metri quadrati. È il co-pilota perfetto che ha l’obiettivo, attraverso programmi che includono servizi professionali e opportunità di finanziamento, di promuovere l’innovazione, creare un ecosistema lungimirante e supportare giovani imprese che sviluppano le tecnologie di domani. Fondato da Saeed Amidi, oggi è presente in 16 Paesi in tutto il mondo.
La sua attività è duplice: di acceleratore di startup, connettendole con le grandi aziende, e di investitore. Solo nel 2019 sono state supportate il 30% di startup in più rispetto al 2018, per un totale di 1.450, suddivise in 549 in Usa, 277 in Europa e 624 in Asia. Sempre l’anno scorso ha chiuso partnership con il 20% di aziende in più per un totale di 407. Anche nel lato investimenti sono stati registrati numeri in crescita: 250 nel 2019 con un taglio medio di 114mila dollari ciascuno e circa 30 milioni di dollari l’anno in media negli ultimi tre anni. I finanziamenti si concentrano prevalentemente negli Stati Uniti, per il 61%, ma è in aumento la quota internazionale (+11%) destinata oltre il confine americano, ora al 39%. Una indubbia eccellenza e una garanzia di successo dal momento che Plug and Play, che vuol dire essenzialmente “pronto all’uso”, è stato uno dei primi investitori in colossi come Google, PayPal e Dropbox. E, solo nel 2019, dal suo portafoglio sono nati quattro unicorni, ossia quelle aziende non ancora quotate che hanno raggiunto la valutazione di un miliardo di dollari.
In Italia Plug and Play ha appena festeggiato il primo anno, duplicato i partner corporate, il team e annunciato una nuova sede in via Meravigli 7, nel centro di Milano. A guidare l’incubatore nel nostro Paese il managing partner Andrea Zorzetto, che spiega a Forbes Italia che “l’obiettivo è diventare la piattaforma di riferimento per le aziende che vogliono trovare startup da tutto il mondo, creando un circolo virtuoso. E soprattutto investire di più in seed italiani, dove c’è per noi una grande opportunità”. In pratica, da una parte indirizzare nel nostro Paese startup straniere e dall’altra esportare le eccellenze del made in Italy in modo che possano trovare nuovi finanziamenti ed espandersi all’estero.
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Tra Andrea e Plug and Play l’amore è scoppiato in maniera fulminea. Per sei anni Zorzetto ha viaggiato in giro per il mondo tra Europa, Usa e Cina, studiando e lavorando come policy advisory per il governo britannico. Ma essendo un convinto europeista, di fronte alla Brexit, si licenziò e volò a Parigi dove frequentò un master in pubblic policy con una specializzazione in nuove tecnologie. Fu proprio in quel periodo che prese forma il desiderio andare a lavorare in Silicon Valley per toccare con mano l’epicentro di tutta l’innovazione mondiale. “Ma non essendo un programmatore, non ero molto richiesto e quindi non mi rispose nessuno”. L’occasione si presentò attraverso Whatsapp: “Tramite il gruppo dei global shapers di San Francisco, venni a sapere che Plug and Play stava cercando persone per la sede di Berlino. Chiamai Amidi, gli dissi che ero italiano e lui mi rispose che da tempo voleva aprire nel nostro Paese. Mi disse: ‘Ne riparliamo tra un anno’. Ma io volevo andare subito a lavorare per loro, quindi ho insistito. E alla fine accettò: ‘Ok. Allora vieni in Silicon Valley’. E così andai quell’estate per uno stage di due mesi”. Durata della chiamata: 5 minuti.
Per affermarsi in Italia Plug and Play ha impiegato un po’ di più, ma neanche troppo. In soli 12 mesi i risultati raggiunti e le cose fatte sono state tante. Oltre al centro strategico food-tech con partner come Esselunga, Lavazza e TetraPack, è stato lanciato il programma fintech che ha come partner UniCredit, Ubi Banca e Nexi. “Ma stiamo guardando anche al mondo della sostenibilità”, aggiunge Zorzetto. “Inoltre in questa situazione d’emergenza anche nell’healthcare, nella diagnostica e nell’e-commerce si possono trovare occasioni”. Tenendo sempre a mente che startup vuol dire crescita, non necessariamente solo tecnologia. L’importante è avere un business model scalabile, come si dice in gergo. “È quello che consigliamo sempre: la prima cosa che guarda un venture capital prima di investire soldi è il potenziale della startup di scalare e aggredire un mercato internazionale”.
E questo potrebbe essere un problema soprattutto in Italia, dove la fiducia nel talento delle nuove generazioni, che spesso trovano fortuna all’estero, è tendenzialmente bassa e dove la mentalità è spesso provinciale: “È necessario cambiare l’approccio, troppo legato al piccolo e al bello; un atteggiamento che funziona quando si parla di alcuni settori come il food e la moda, ma che rischia di penalizzare la crescita in altri ambiti. Bisogna avere il coraggio di puntare nella ricerca e nell’istruzione, per esempio, come ha fatto il Mit che ha investito un miliardo di dollari per un centro di ricerca avanzato per l’intelligenza artificiale”. Altro pianeta.
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