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Così il Recovery Fund cambia le regole del gioco in Europa

La sala plenaria del Consiglio Europeo a Bruxelles (Shutterstock)

 

“Una vittoria per l’Europa e per l’Italia”. Così il presidente del consiglio Giuseppe Conte, all’alba di questa mattina, ha annunciato che i 27 Paesi membri hanno trovato il tanto agognato e sudato accordo sul Recovery fund e sul budget europeo in risposta, in primis, alla crisi scatenata dal Covid-19 e, in secundis, alle sfide per le generazioni future (Next Generation Ue).

Parlando in termini di cifre, come evidenzia Sebastien Galy, senior macro strategist di Nordea AM, è la manovra economica più sostanziosa mai messa in campo dall’Unione Europea. Si parla infatti di un “budget di 1.8 trilioni di euro, di cui 750 miliardi di euro di aiuti in gran parte destinati ai Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia di Covid-19″.

Ci sono volute 96 ore di dibattito continuo, quattro giorni di botta e risposta, segnati da scontri verbali e pugni sui tavoli (anche per la pressione dei paesi frugali), ma alla fine – per usare le parole del presidente del consiglio europeo Charles Michel – “la magia dell’Europa funziona” e il Recovery fund, o Next Generation Eu, ha preso ufficialmente vita, segnando “uno dei momenti più importanti – evidenzia Galy – nella storia dell’Unione Europea, sia per le dimensioni del pacchetto, sia per il fatto che sarà finanziato da obbligazioni dell’Ue”.

È vero, dalla proposta iniziale sono cambiate tante cose in termini sia economici (anche se la dotazione complessiva del fondo rimane di 750 miliardi di euro), sia in termini prettamente “legali” in quanto si sono aggiunte diverse clausole, tra cui quella della cosiddetto “freno di emergenza”, tanto voluta dai paesi frugali e in particolare dal primo ministro olandese Mark Rutte, ma la “pace” si sa, spesso, è fatta di rinunce reciproche.  E certe volte, nasce non solamente in risposta alle avversità, ma anche quando qualcuno decide di abbandonarti. Tant’è – che come evidenzia Amundi – “si potrebbe persino sostenere che l’uscita del Regno Unito dall’Ue non solo ha dato l’opportunità di chiarire il progetto europeo, ma ha conferito anche ai paesi dell’eurozona un ruolo guida”. In particolare, evidenzia lo studio della società di asset management – ritiene “che la proposta della commissione europea sul Recovery Fund (e persino la proposta franco-tedesca) non sarebbe mai stata fatta se il Regno Unito fosse stato ancora membro dell’Ue”.

Recovery fund: come funziona e come sarà composto

Entrando nel merito di come prenderà vita il recovery fund, Sebastien Galy evidenzia che “gran parte del pacchetto sarà probabilmente finanziato con il debito dell’UE a grande vantaggio delle banche europee in qualità di principali emittenti e una parte significativa sarà probabilmente costituita da Green Bond dato che le iniziative per affrontare il riscaldamento globale proseguono”.

In termini di cifre, i 750 miliardi di euro saranno così suddivisi: 390 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto (nella proposta precedente si attestavano a 500 miliardi di euro) e 360 miliardi in prestiti (inizialmente previsti nella somma di 250 miliardi di euro. Si tratta comunque di prestiti con tripla A, maturity a trent’anni e tasso d’interesse zero). Questa nuova distribuzione è stata soprattutto condizionata dalla volontà di cinque Paesi (Olanda, Danimarca, Austria, Svezia e Finlandia) che non vedevano di buon occhio l’eccessivo sbilanciamento tra sovvenzioni e prestiti. Ma non solo.

Quattro di essi, infatti, sono riusciti ad ottenere un forte aumento dei cosiddetti “rebates” (circa 26 miliardi di euro), gli sconti ai contributi che versano come tutti al bilancio dell’Unione Europea nel prossimo quadro finanziario 2021-2027. “Quanto alla governance (che resta il punto più delicato per valutare la velocità degli esborsi) – afferma Luigi De Bellis, co-responsabile Ufficio Studi di Equita, i piani dei singoli Paesi verranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, in base alle proposte presentate dalla Commissione”. Qui entra in gioco il cosiddetto freno d’emergenza voluto dal primo ministro olandese Rutte. Se un Paese membro, successivamente alla valutazione del comitato economico e finanziario, nota la presenza di qualche scostamento o di un problema, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio Europeo prima che venga presa qualsiasi decisione.

Questo, insieme ad altri punti che hanno rallentato l’accordo, sono frutto – come afferma Amundi – di alcuni problemi evidenti dell’Unione Europea. Tra questi – evidenzia la società – vi sono soprattutto “la complessità delle istituzioni europee e il processo decisionale (unanime), perché riducono le possibilità di progresso in tempi normali. Di conseguenza, sono necessarie condizioni rigorose per costringere gli europei a raggiungere un accordo”.  Inoltre, aggiunge Amundi, nonostante il recovery fund, “l’eurozona è ancora, sotto molti aspetti, un’unione monetaria incompleta. L’aspetto più noto di questa incompletezza è la mancanza di un bilancio federale per stabilizzare l’unione in caso di shock asimmetrici. Proprio l’incompletezza, tra l’altro, è anche sul fronte dei meccanismi di mercato”.

Quando sarà attivo il Next Generation Eu e quanto spetterà all’Italia

Partendo dal presupposto che il bilancio europeo 2021-2027 resta fissato – come evidenzia Equita – a 1.074 miliardi di impegni, il recovery fund entrerà ufficialmente in funzione a partire dalla primavera del 2021 (tra poco meno di un anno) e la sua dotazione andrà spesa molto velocemente: entro il 2023. Ciò significa che tutti i Paesi membri dovranno farsi trovare immediatamente pronti per non vedere sfuggire questa importante opportunità economica.

Come dichiarato dallo stesso premier Conte in conferenza, l’Italia dovrebbe portare a casa la fetta più grossa del recovery fund (o Next Generation Eu): il 28% del totale. Si parla con esattezza di 209 miliardi di euro (come conferma anche Equita), così suddivisi: 82 a fondo perduto e 127 in prestiti. In sintesi, 36 miliardi di euro in più rispetto alla precedente proposta. Proprio per questo, il presidente del consiglio non utilizza mezzi termini: “Abbiamo una grande responsabilità, dobbiamo far ripartire l’Italia con forza”.

È importante sottolineare, però, che l’accordo ha visto – soprattutto per la delusione della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen – cancellare la dotazione previsto per il fondo europeo per la sanità e un allentamento dell’attenzione verso la sostenibilità (visto che per ottenere i fondi del recovery fund non sarà necessario sottoscrivere l’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 a livello nazionale, ma basterà l’impegno a raggiungere quel target a livello Ue).

I risvolti sui mercati finanziari

In ultimo punto, volendo soffermarsi sui risvolti di questo accordo sui mercati finanziari, Luigi De Bellis di Equita evidenzia che “oltre ad essere un passo importante verso una maggior integrazione dell’Europa, elimina un tail-risk e fornisce uno stimolo economico importante in una fase di crisi”. Ma non è tutto. Nel breve, infatti, “l’accordo potrebbe sostenere un ulteriore restringimento dello spread e una riduzione del premio per il rischio, anche se in gran parte il mercato ha anticipato l’accordo (dalla proposta franco-tedesca di metà maggio il Ftse Mib ha infatti fatto segnare una crescita del 24%)”.

Inoltre, come sottolinea Paul O’Connor, responsabile del team Multi-Asset di Janus Henderson Investors, anche se “il recovery Fund dovrebbe dare un impulso del 6-7%, che richiederà mesi e anni prima di concretizzarsi ed avere piena efficacia, tuttavia rappresenta il più grande passo in avanti della zona euro verso l’integrazione fiscale”. A questo aspetto va aggiunto anche che “il sentiment positivo – conclude O’Connor – emerso nelle ultime settimane sugli asset dell’Eurozona ha portato l’euro al rialzo vicino al massimo su base annua e ha spinto lo spread BTP/Bund verso il basso fino ai livelli pre-coronavirus. Da qui si intravede margine per un’ulteriore sovraperformance degli asset della zona euro.”

Soffermandosi, invece, “sulla struttura del debito europeo con un debito comune con un buon rating – dichiara Amundi –  limiterà il rischio di crisi locali. Insieme al rafforzamento dell’architettura finanziaria e politica, questo dovrebbe consentire all’Ue di diventare un polo di stabilità, soprattutto di fronte agli Stati Uniti, la cui crisi sta esacerbando fragilità (disuguaglianze) e squilibri”.

Infine, anche se la notizia dell’accordo non ha sorpreso più di tanto i mercati finanziari, tuttavia al momento tutti i principali indici europei stanno facendo registrare performance positive. Infatti, da Milano a Madrid, passando per Parigi e Francoforte, il risultato è sempre lo stesso: ed è un rialzo di poco oltre l’1%.

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