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La corsa al nucleare spinge l’uranio ai massimi. E l’Ue e gli Usa continuano a comprarlo dalla Russia

È stato annunciato come l’anno del rilancio e della crescita. E, in effetti, il 2024, a distanza di poco meno di tre mesi, non sta tradendo le attese. Lo dimostra sia il mercato azionario, che continua ad aggiornare i propri massimi storici, sia il settore delle criptovalute, con il Bitcoin che ha frantumato il suo storico record del 2021, e sia guardando alle materie prime, soprattutto in riferimento a due asset. Da una parte l’oro, che ha superato i 2.110 dollari l’oncia, e dall’altra l’uranio, che ha raggiunto i massimi degli ultimi 16 anni in scia alla ‘riscoperta’ di molti paesi dell’energia nucleare e all’acuirsi dei conflitti geopolitici.

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L’uranio e l’ombra sull’Iran

A livello geopolitico, la guerra a Gaza ha ulteriormente spinto l’Iran ad aumentare le sue scorte di uranio arricchito, già da mesi ampiamente oltre i limiti imposti dall’Ue. A fine febbraio, secondo quanto riportato dall’Ansa, la stima era di 27 volte oltre la cifra limite. Inoltre, secondo un ultimo dossier diffuso dal The Guardian, l’Iran avrebbe arricchito l’uranio a un livello molto vicino al 90% (quindi più che armabile), ampliando così i timori di una guerra allargata tra Iran e Israele. E i loro rispettivi partner mondiali ovviamente.

Lo stesso Rafael Grossi, direttore dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica), ha addirittura ammesso che l’agenzia ha perso “la continuità delle conoscenze sulla produzione e sullo stock di centrifughe, rotori, acqua pesante e concentrato di minerale di uranio in Iran”.

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Gongola la Russia

A godere degli aumenti dei prezzi e della domanda di uranio è sicuramente la Russia. In primis perché il settore nucleare è stato volontariamente escluso dalle sanzioni imposte dall’Ue e dagli Usa per l’aggressione in Ucraina. E poi perché, secondo i dati della World Nuclear Association (che arrivano fino al 2022), la Russia è il sesto paese al mondo per produzione di uranio. E non è finita qui.

Al primo posto di questa particolare classifica troviamo il Kazakistan, paese politicamente ed economicamente vicino alla Russia e alla Cina. Nel 2022, infatti, ha prodotto il 43% dell’offerta mondiale di uranio. Seguono il Canada (15%), la Namibia (11%), l’Australia, l’Uzbekistan, altro paese molto vicino al Cremlino, e il Niger (subito dietro alla Russia). Guardando proprio al ruolo della Namibia e dello stesso Niger, non sorprende quindi che il 27 e il 28 luglio del 2023 sia andato in scena il vertice Russia-Africa.

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Gli Usa e l’Ue continuano a comprare l’uranio dalla Russia

Secondo la US Energy Information Administration, nel 2022 le centrali nucleari statunitensi hanno importato circa il 27% del loro uranio dal Canada, il 25% dal Kazakistan e il 12% dalla stessa Russia. Questo perché l’uranio prodotto a livello nazionale ha avuto un’incidenza solamente del 5%.

Ma sta cambiando qualcosa? Sostanzialmente no. Perché anche se lo scorso dicembre la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il divieto sulle importazioni di uranio russo, tuttavia, come evidenzia Reuters, deve ancora passare al Senato ed essere firmato dal presidente Joe Biden prima di diventare legge. E non bisogna dimenticarsi che a novembre ci sono le nuove elezioni.

Inoltre, la misura prevede deroghe in caso di problemi di approvvigionamento per i reattori nazionali. Ciò significa che eventualmente non ci sarebbe uno stop definitivo alle importazioni di uranio. Le quali, invece, verrebbero gradualmente ridotte a 459 tonnellate nel 2027 da circa 476,5 tonnellate nel 2024. Un disegno che, come suggerisce il The Times of Central Asiapotrebbe avvantaggiare il Kazakhistan. Non cambiando di fatto nulla.
Anche guardando all’Europa, il risultato non cambia. Secondo quanto descritto dall’Agenzia per l’approvvigionamento dell’Euratom, l’Ue ha importato il 97% del suo uranio naturale lo scorso anno da fornitori esteri, con il Kazakistan che è stato il principale fornitore, fornendo il 26,82% del fabbisogno totale del blocco, e la Russia che rappresenta ancora quasi il 17% del fabbisogno totale.

Inoltre, come riportato anche da Reuters, l’Ue ha aumentato nuovamente dalla Russia le importazioni di combustibile nucleare e servizi per i reattori di progettazione russa nel 2023 rispetto al 2021. Aggiungendo che Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria e Slovacchia hanno acquistato il 30% in più di servizi di conversione dalla Russia e il 22% in più di arricchimento.

Cosa dicono gli analisti sul rally dell’uranio

Dopo aver raggiunto i massimi degli ultimi 16 anni (con le quotazioni che hanno toccato i 106 dollari per libbra), l’uranio potrebbe andare incontro a un ulteriore rally. Sia per quanto deciso durante la COP28, dove ben 22 paesi hanno annunciato il loro impegno a triplicare la capacità energetica nucleare entro il 2050, sia per deficit nell’offerta.

Infatti, come evidenziato da Vontobel, Kazatomprom, il principale produttore mondiale di uranio, ha avvertito che potrebbe non raggiungere i suoi obiettivi di produzione nei prossimi due anni, aumentando i rischi legati all’offerta mentre la domanda di combustibile nucleare torna a crescere.

La società, quotata a Londra e controllata dal governo del Kazakistan tramite il suo fondo sovrano, ha infatti dichiarato che la carenza di acido solforico e i ritardi nella costruzione dei nuovi giacimenti stanno causando problemi di produzione che potrebbero persistere fino al 2025. “l trend rialzista dell’uranio, quindi, non è solo il risultato della crescente domanda di energia nucleare, ma è soprattutto guidato da un crescente deficit nell’offerta”, ha aggiunto Vontobel.

Secondo gli analisti di Citibank, i prezzi dell’uranio raggiungeranno una media di 110 dollari per libbra nel 2025, rispetto ai circa 105 dollari attuali. Attribuendo questa prospettiva rialzista alla chiusura delle miniere a causa di anni di sovrapproduzione e prezzi bassi. Una visione rialzista è condivisa anche da Jefferies, che prevede che, con le dinamiche a breve termine favorevoli, i prezzi possano superare i massimi storici di 136 dollari per libbra raggiunti nel giugno 2007. Secondo Guy Keller, gestore di portafoglio presso la società di investimento Tribeca, l’insufficienza dell’offerta, che persiste da un decennio continuerà “poiché siamo nel bel mezzo del più grande programma di costruzione di reattori degli ultimi decenni”.

Uranio, continuerà il rialzo dei prezzi?

Dello stesso avviso anche Walid Koudmani, chief market analyst di XTB. “Il rialzo dei prezzi dell’uranio può essere attribuito a diversi fattori, e nonostante le limitazioni imposte dall’Ue, le dinamiche della domanda e dell’offerta sembrano essere i fattori principali. La minore produzione da parte di grandi produttori come Cameco ha portato a un calo del lato dell’offerta, mentre aumenta la domanda da parte di paesi come Cina, India e Giappone, che espandono le loro capacità di energia nucleare. Inoltre, i rischi geopolitici, come l’instabilità politica nei paesi produttori di uranio come il Niger, aumentano ulteriormente le preoccupazioni sui futuri livelli di produzione”.

Inoltre, esiste una certa correlazione tra i prezzi dell’uranio e di altre materie prime, in particolare quelle utilizzate nelle tecnologie energetiche pulite. Per esempio, insiste Koudmani, “materiali come il litio, il cobalto e il nichel, utilizzati nelle batterie e nei pannelli solari, possono essere influenzati da fattori simili che fanno salire i prezzi dell’uranio, come la crescente domanda di soluzioni energetiche pulite”.

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