Daniel Ek, fondatore e ceo Spotify
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Dalla depressione alla creazione di Spotify, come Daniel Ek è diventato miliardario unendo musica e tecnologia

 

Daniel Ek, fondatore e ceo Spotify
Daniel Ek, ceo e co-fondatore di Spotify. (Drew Angerer/Getty Images)

C’è stato un momento in cui la vita di Daniel Ek si è come messa in pausa. Ferma. La depressione non sai quando arriva e quando se ne va, sai solo quando ci sei in mezzo con tutte le difficoltà che possono essere soltanto immaginabili per chi, per fortuna, non ci ha mai avuto a che fare. Il fondatore di Spotify, patrimonio stimato in circa 5,2 miliardi di dollari da Forbes, ha una vita che in qualche modo potrebbe essere paragonata a un brano jazz: note che sembrano casuali e che invece si incastrano alla perfezione, acuti improvvisi e momenti quasi ovattati, se non fermi. Come quando si mette in pausa un brano su Spotify.

Daniel Ek è sempre stato in mezzo un po’ alla musica e un po’ alla tecnologia. Figlio di una madre rimasta single che lavora come insegnante in un asilo nido e nipote di nonni musicisti, il patrigno che subentra nella vita di Daniel al posto del padre che ha lasciato la famiglia lavora nel settore dell’IT. Così fin da bambino ecco che a qualche strumento musicale si alternano anche pc come regali per i momenti di festa. Torneranno utili, gli strumenti e i pc, in momenti diversi nella vita di un bambino che però fin da subito sembra dimostrare di avere qualcosa di diverso dai coetanei.

Quello che Daniel combinava a 14 anni – siamo alla fine degli anni ’90 – è meglio farlo raccontare direttamente a lui, riprendendo le parole rilasciate nel corso di un’intervista al sito startups.com: “Quando avevo 14 anni ero un programmatore piuttosto abile, o almeno così pensavo perché avevo imparato da solo la programmazione Html. La gente mi ha chiesto se potessi aiutarla a creare le home page delle loro attività commerciali. Questa era la parola d’ordine del giorno. Tutti avevano bisogno di una home page. Inizialmente chiedevo 100 dollari, poi 200 e la cosa è andata avanti fino a quando non ho iniziato a chiedere 5.000 dollari per ogni home page. A quel punto avevo molte persone che bussavano alla mia porta chiedendomi di creare una home page”. Visto che però pensare di fare tutto da soli non era possibile, ecco i primi ‘dipendenti’: “Ho coinvolto i miei compagni di scuola: ho dato loro in cambio di quello che facevano per me iPod, telefoni cellulari, videogiochi e cose del genere”.

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A 16 anni fa domanda per entrare in Google, ma la risposta è negativa perché, gli viene detto, deve essere minimo laureato. Finito il liceo Daniel si iscrive allora al Royal Institute of Technology svedese per studiare ingegneria. Dopo otto settimane, rendendosi conto che l’intero primo anno si sarebbe concentrato esclusivamente sulla matematica teorica, abbandona l’università. Meglio continuare a seguire i propri istinti visto che funzionano bene: Daniel infatti si ritrova a lavorare per una società di digital marketing chiamata Tradedoubler che gli chiede di realizzare un programma che fornisca loro informazioni sui siti per cui a loro volta lavorano. Il programma funziona talmente bene che Tradeboulder ne compra i diritti da Ek per qualcosa come 1 milione di dollari, a cui se ne aggiungono altri dalla vendita di brevetti simili ad altre società da parte di Daniel che a poco più di 20 anni si ritrova a essere multimilionario.

Da qui la strada dovrebbe essere in discesa. Invece è l’inizio della salita più aspra. Una bella casa in pieno centro a Stoccolma, una Ferrari, la ricerca della compagnia di belle donne, tutte cose che Daniel credeva di poter ottenere con grande facilità e che lo avrebbero reso felice. Quello che invece scopre su se stesso lascia il giovane Ek spiazzato: “Ero profondamente incerto su chi fossi e chi volessi essere. Pensavo davvero di voler essere un ragazzo molto più figo di quello che ero. Quello che poi è successo è che mi sono davvero depresso. Pensavo che sarebbe andato tutto molto meglio con i soldi, ma più che farti entrare in un certo giro non fanno”.

Vende la Ferrari e si ritira in mezzo ai boschi in una casa modesta, dove passa il suo tempo a suonare (maneggia con disinvoltura chitarra, basso, batteria, piano e armonica) indeciso se tentare la strada della musica per guadagnarsi da vivere. La rinnovata frequentazione con il presidente di Tradeboulder Martin Lorentzon, però, gli regala nuova linfa e nuova voglia di ricominciare. L’idea è unire musica e tecnologia. Sono i primi anni 2000 e in tutto il mondo spopolano siti web per ascoltare musica illegalmente: “Mi ha disturbato il fatto che l’industria musicale fosse andata in malora, anche se la gente ascoltava più musica che mai e da una maggiore diversità di artisti” ricorda Ek. Dopo due anni di lavoro ininterrotto, tra creazione della piattaforma, sviluppo della pubblicità e accordi con etichette discografiche, nell’ottobre 2008 Spotify è messo online dalla coppia Ek-Lorentzon in contemporanea in Scandinavia, Francia, Regno Unito e Spagna.

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Questo è uno dei pochi casi in cui dire “il resto è storia” sembra essere appropriato. Oggi Spotify conta infatti circa 320 milioni di utenti in tutto il mondo e la canzone con più riproduzioni del 2020, secondo i dati da poco comunicati dalla piattaforma, è stata ascoltata 1,6 miliardi di volte. Oggi Spotify è la musica nel mondo. E Daniel Ek non sembra più avere intenzione di mettere in pausa la playlist della propria esistenza.

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