L’uomo che fa tremare Emmanuel Macron e le sue pretese di grandeur è il figlio di un piccolo imprenditore del Québec, la regione del Canada in cui si parla un francese talvolta bizzarro, prodotto di una grammatica e di una pronuncia che risalgono ai secoli in cui il Grande Nord era battuto da cacciatori di pellicce e pescatori di salmoni arrivati dalla Bretagna. È la lingua che parla Alain Bouchard di Laval, 71 anni, quattro figli e – scrivono i giornali d’Oltreoceano – una timidezza che nasce da un limite: ancora oggi Bouchard non si sente a proprio agio con l’inglese ed evita le interviste nella lingua di Shakespeare.
Questo gap non gli ha impedito di diventare, già un paio d’anni fa, “mister 5 miliardi”. Di dollari, of course, grazie al controllo di un impero della grande distribuzione che si estende dagli Stati Uniti a Hong Kong, passando dall’Irlanda, dalla Scandinavia e dalla Polonia: 130mila dipendenti in 27 Paesi. Niente male per l’ex garzone di bottega costretto presto a rimboccarsi le maniche, dopo il fallimento dell’impresa di papà. Aveva solo nove anni, ma anche un paio di idee cresciute con lui alla periferia di Montréal.
La prima: non sono fatto per campare sotto un padrone. Una lezione imparata osservando le umiliazioni del padre, camionista per necessità. La seconda, un’intuizione che si rivela preziosa: sviluppare il business dei dépanneur, ovvero le stazioni di servizio che sorgono nell’immensa natura canadese, dove, quando ti fermi per fare il pieno, è saggio fare provviste o mangiare un boccone, perché non sai qual che ti aspetta.
Il re dei minimarket
A 24 anni Alain Bouchard approda come garzone di bottega in una stazione di servizio. E, fresco di due serali di marketing, capisce di essere approdato in una miniera d’oro. Cerca di coinvolgere il titolare del suo chiosco nell’acquisizione di 50 negozi, ma il padrone di Provi-soir si tira indietro. E allora fa da solo: prima un chiosco, poi un un altro, acquistato con i proventi del secondo lavoro, l’agente immobiliare.
A quel punto lo aiuta la fortuna di vivere in una terra di opportunità, a un passo dal sogno americano. Trova i soldi per inaugurare una piccola catena da 11 esercizi, cresciuti al fianco dei distributori di benzina aperti 24 ore su 24 che vendono i prodotti essenziali: dal pane alle sigarette, fino al quotidiano della sera che ti sei dimenticato di comprare perché sei “Couche-Tard”, come Alain Bouchard battezza la mini-catena (un termine francese simile al nostro “nottambulo”). Certo, vista con gli occhi di oggi, sembra una banalità. Ma anche in Italia, all’epoca, non era così facile procurarsi un pacchetto di sigarette, o tanto meno un quotidiano (oggi è peggio, per la verità). A quel tempo non c’erano internet e lo streaming. Tanto meno nell’Ontario, nella penisola di Labrador o nel Saskatshewan, più ricco di caribù che di caffè.
L’ascesa di Alain Bouchard
È questa l’idea di business da cui, mattoncino dopo mattoncino, è cresciuta, con un’ossessiva attenzione al cliente e forti incentivi ai dipendenti, l’impresa di monsieur Bouchard. Uno per cui – terza regola – chi lavora in settori come la grande distribuzione deve comportarsi come un ciclista: quando smetti di pedalare, rischi di cadere. Di qui una lunga serie di acquisizioni. Perché, come si legge nella sua autobiografia, “in un’impresa non esiste il surplace: o si va avanti, o si torna indietro. È sempre necessario cambiare, trasformarsi, innovare”.
Si spiega così la sua marcia, spesso trionfale: nel 1999 compra Silcorp, una catena di 98 punti vendita in Ontario. Nel 2003 sbarca a New York con l’acquisto di Circle K, raddoppiando così il fatturato. Nel 2012 attraversa l’oceano per comprare la catena di distributori di Statoil, la compagnia petrolifera di Stato norvegese (oggi Equinor). Intanto guarda all’Asia, partendo da Circle Hong Kong, e si concede una catena di fast food in patria. Entra anche in un mercato assai promettente: quello della cannabis, legale da quelle parti, attraverso l’etichetta Fire & Flowers.
Bouchard contro Macron
Ecco l’uomo che non fa dormire sonni tranquilli a Macron. Perché a fine dicembre Alain Bouchard si è messo in testa di risvegliare Carrefour. Una preda all’apparenza troppo grossa, ma guai a sottovalutare l’ex garzone che ha costruito un gruppo con 9.200 punti vendita, di cui 8mila stazioni di servizio. Più piccolo, certo, rispetto al gigante francese, per giro d’affari (48,6 miliardi di euro contro 80,7) e per dimensioni (130 mila dipendenti contro 320mila), ma capace di guadagnare assai di più: 2 miliardi contro 1,3. Tanto da vantare una capitalizzazione di 30 miliardi di euro, contro soli 12,7 di Carrefour, che pure è salita del 14% quando, mercoledì, si è diffusa la voce dell’interesse canadese “per un’acquisizione amichevole”, sulla base di 20 euro per azione (circa 16 miliardi totali).
La proposta non dispiace agli azionisti francesi. A partire da Bernard Arnault, impiombato nella società a un valore di carico di 50 euro. La conferma arriva dall’atteggiamento di Les Echos, il quotidiano finanziario del patron di Lvmh che si è scatenato in una campagna contro il veto alla vendita alzato dal presidente. Le ragioni? Macron, alla vigilia di un anno elettorale, non vede di buon occhio la cessione del gruppo privato con il maggior numero di dipendenti in Francia. E poi, ha aggiunto sfiorando il ridicolo, “ne va della sovranità alimentare del Paese”. Quasi che Bouchard voglia sostituire sugli scaffali il Bordeaux con lo sciroppo d’acero.
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