Articolo tratto dal numero di agosto 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
Mancano poco più di quattro mesi al D-day. Il 31 dicembre prossimo, infatti, scadrà l’accordo di consultazione di Mediobanca che raggruppa il 10,73% del capitale e che si confronta con oltre il 19% in mano alla lussemburghese Delfin di Leonardo Del Vecchio. La scadenza dell’accordo, pallida ombra di quello che fu una volta il patto di sindacato della più importante banca d’affari italiana dove sedevano i nomi più prestigiosi del capitalismo tricolore con una spruzzata di banking internazionale, è un giro di boa importante anche per il suo timoniere Alberto Nagel. Cinquantasei anni da poco compiuti, il banchiere di origini milanesi è stato riconfermato dall’assemblea dei soci dell’ottobre del 2020 quando Del Vecchio, già allora primo azionista, non presentò una sua lista e votò quella di Assogestioni, e resterà in carica fino all’approvazione del bilancio 2023. C’è dunque tempo perché Nagel e Del Vecchio si chiariscano reciprocamente. Anche perché il manager ha saputo creare valore per i soci, distribuendo loro durante la sua gestione dividendi cumulati per oltre 2,2 miliardi di euro.
Nagel compie quest’anno i 30 anni trascorsi all’interno di Mediobanca, realtà nella quale è entrato nel 1991 dopo aver conseguito la laurea in Economia aziendale presso l’Università Bocconi e dove ha ricoperto incarichi di responsabilità crescente fino a diventare direttore centrale nel febbraio del 1998, vicedirettore generale nell’aprile del 2002, direttore generale nell’aprile del 2003 e consigliere delegato nel luglio del 2007. Erede scelto da Vincenzo Maranghi (a sua volta erede del fondatore Enrico Cuccia) con l’obiettivo di salvaguardare l’alta direzione della banca, ha rappresentato negli anni il fil rouge tra la vecchia e nuova Mediobanca: ha infatti saputo interpretarne i valori di devozione al lavoro, rigore professionale, capacità e competenza sui mercati finanziari, dando al contempo al gruppo i giusti impulsi di crescita ed evoluzione, interpretando e, in molti casi, anticipando i grandi trend strutturali, grazie alla creazione di un gruppo diversificato e fortemente specializzato.
Tra le grandi intuizioni di Nagel, la creazione nel 2008 di un canale di raccolta retail (CheBanca!), funzionale a finanziare le attività di gruppo, seguita nel 2013 con la creazione della divisione Wealth management, finalizzata a generare commissioni ricorrenti per il gruppo. Altra grande intuizione, sempre all’interno della divisione Wealth managament, è stata la scelta di posizionare la divisione Private banking a servizio delle grandi famiglie imprenditoriali italiane, creando un modello di Private investment bank oggi unico in Italia che garantisce un servizio integrato tra banca d’affari, investment banking e private.
I risultati di questi quattordici anni di gestione sono dalla parte di Nagel che ha ereditato la Mediobanca ‘salotto buono’ e ne ha fatto una cosa per certi versi simile e per altri molto diversa. Dal 2003, infatti, il gruppo Mediobanca ha conosciuto una significativa evoluzione del suo azionariato, che ha accompagnato la trasformazione del modello di business, da holding di partecipazione a gruppo finanziario specializzato. La rilevanza degli investitori istituzionali (oggi pari al 50%) è andata crescendo, parallelamente alla riduzione del ruolo storico dell’accordo fra soci per la partecipazione al capitale dell’istituto. Oggi l’azionariato di Mediobanca è così costituito da circa 43mila azionisti, con una quota rilevante e crescente di investitori istituzionali (attualmente pari al 50% del capitale). Gli investitori americani rappresentano il 39% degli investitori istituzionali, il 18% pesano gli investitori britannici e il 7% gli investitori francesi.
A marzo scorso nel solco del piano strategico 2019-2023, i nove mesi di bilancio hanno visto la conferma di una robusta attività commerciale in tutti i segmenti, trainata dagli investimenti in persone, tecnologia e distribuzione che hanno permesso di superare brillantemente gli effetti del lockdown, accelerando il percorso di crescita. Ricavi, utile e solidità patrimoniale hanno così mostrano apprezzabili aumenti, confermati anche nell’ultimo trimestre. Spiccano i 3,6 miliardi di euro di raccolta netta nelle divisioni affluent/private, i 4,6 miliardi di erogato nel credito al consumo e gli 1,7 miliardi. L’attività del corporate e investment banking (cib) ha confermato livelli elevati con un aumento dei ricavi pari a 1,9 miliardi, in crescita del 3% anno su anno. Il miglioramento è ancora più accentuato al netto dell’apporto delle società consolidate a patrimonio netto (-32% a 169 milioni) che sconta componenti non ricorrenti: così le commissioni hanno registrato un forte aumento a 571 milioni (+17%) trainate dal cib (249 milioni, +43%), che ha visto un crescente contributo di m&a, capital markets e lending, e dal solido andamento del wealth management (247 milioni, +5%). Forte l’aumento anche dei ricavi da trading (152 milioni, +71%), spinti nel terzo trimestre dall’andamento positivo dei mercati.
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