Negli ultimi mesi la fisionomia dell’azionariato di Mediobanca ha subìto variazioni non secondarie. Vincent Bolloré ha ridotto la sua partecipazione, la Delfin di Leonardo Del Vecchio (fondatore di Luxottica) ha a sua volta aumentato la quota mentre il 23 ottobre 2020 Monge & C. Spa, azienda piemontese attiva nel Pet food e semi-sconosciuta al salotto buono della finanza, è entrata – tramite la società fiduciaria e di servizi, Servizio Italia – nel capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia con l’1,003%, investendo circa 57,8 milioni di euro. La comunicazione di Consob è arrivata solo a inizio novembre suscitando la curiosità del mercato intorno a questa realtà piemontese nata nel 1963 a Monasterolo di Savigliano, in provincia di Cuneo.
Il basso profilo della famiglia Monge
Poco si sa per volontà della stessa famiglia capitanata da Baldassarre Monge, fondatore della prima azienda in Italia a produrre wet food, arrivata oggi alla terza generazione con i tre figli Domenico, Sandra e Franca che gestiscono l’azienda insieme ai nipoti, tutti impegnati e coinvolti in prima persona. “La nostra è una bella avventura ma preferiamo avere un low profile”, ha spiegato di recente il d.g. Luciano Fassa, in azienda da 20 anni dopo esperienze in Procter&Gamble e Danone.
L’azienda è nata negli anni Sessanta quando parlare di cibo per animali era un azzardo. La società è partita tra tante difficoltà quando nelle ciotole degli animali di casa arrivavano esclusivamente gli avanzi delle pietanze umane e un altro approccio non era contemplato dai consumatori. La famiglia del fondatore aveva già un’azienda attiva nel settore avicolo che ha permesso di sviluppare questa seconda attività che è poi diventata prevalente.
Baldassarre Monge andava a visitare i clienti in bicicletta
Oltre 50 anni fa Baldassarre Monge andava a visitare i clienti di persona, in bici e in treno, e molti gli domandavano che cosa ne facesse dei polli che non utilizzava e delle materie prime nobili che non venivano impiegate per uso umano: da lì l’idea di costruire un nuovo business.
Nel 2019 Monge ha realizzato 255 milioni di euro di fatturato e il 2020 ha fatto registrare un record storico. Il mercato è promettente in quanto il numero di animali potrebbe aumentare così come la richiesta di cibo industriale è in crescita. L’ambizione è accrescere quote di mercato in un segmento difficile dove la realtà piemontese compete con grandissimi gruppi e multinazionali. La società ha archiviato il 2020 con ricavi per 322 milioni (+21%), un ebitda salito da 37,44 a 50,69 milioni e un utile passato da 19,87 a 24,16 milioni destinato per intero a riserva straordinaria. Il tutto a fronte di un patrimonio netto di 432,7 milioni e debiti bancari per 26,45 milioni. Lo scorso anno Monge, approfittando delle norme vigenti, ha rivalutato il marchio portandolo a 255 milioni. Il management ha già messo nero su bianco che il 2021 sta registrando valori in crescita.
Un business ramificato in 100 Paesi
L’azienda sfiora i 100 Paesi serviti con prodotti Monge (vende la private label) e la sfida è crescere in Italia e all’estero. La società conta 300 dipendenti e 120 venditori. Domenico, Sandra e Franca conoscono i dipendenti per nome (più di 20 nazionalità sono presenti nell’impresa).
Che cosa faranno della quota in Mediobanca? La famiglia non esclude di aumentare la partecipazione qualora si presentasse l’opportunità giusta sul mercato. Da tempo investe in Mediobanca anche se solo in tempi recenti ha superato l’1%, anche grazie alla stima per la gestione dell’a.d. Alberto Nagel che è stato in grado di traghettare la banca in modo saldo anche in tempi di crisi, aumentando gli utili.
Il patto di consultazione sul capitale di Mediobanca dopo l’uscita della famiglia Benetton li ha accolti al suo interno con il loro l’1,09%. E ora, con questo ingresso, raggruppa circa il 10% del capitale. Il patto potrebbe rafforzarsi ulteriormente da qui a fine anno. Potrebbero arrivare manifestazioni di interesse da soggetti esterni mentre i soci già presenti hanno la capienza per rafforzarsi ulteriormente.
Inoltre la famiglia piemontese ha deciso di puntare 3,64 milioni su Unicredit per scommettere sulle mosse del nuovo ceo Andrea Orcel e del piano industriale in arrivo.
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