Articolo di Federico Silvio Bellanca
Sempre strana la convivenza tra arte e marketing. Se da un lato il binomio è innegabilmente affascinante e profittevole per entrambe le parti, dall’altro il tentativo di addomesticare la creatività in virtù del messaggio non sempre porta ai risultati sperati. Ci sono artisti che hanno saputo lavorare bene nella comunicazione con le gallerie e i musei. Altri che si sono trovati a farlo per necessità, magari all’inizio o alla fine di una brillante carriera.
Salvador Dalì e il logo della Chupa Chups
Forse, il pittore più famoso per la sua propensione al dialogo con l’industria del 900 è il catalano Salvador Dalì. Dal suo trasferimento negli Usa nel 1936, cominciò ad apprezzare particolarmente il marketing, e soprattutto i guadagni che questo portava. Tanto che lo scrittore André Breton lo soprannominò avida dollars, anagramma del suo nome che significa ovviamente avido di dollari. Dalì infatti fu protagonista di spot televisivi come quello del cioccolato francese Lanvin, di Alka Seltzer e dello spagnolo Veterano Brandy. Arrivò perfino a firmare la sua collaborazione più celebre inventando il logo della Chupa Chups nel 1969 e ancora in uso.
Eppure, non è detto che ogni opera dell’artista sia per sempre immortale. Tra le aziende con cui collaborò all’epoca il pittore spagnolo ci fu anche la distilleria emiliana Buton, che gli commissionò un trittico di bottiglie su stampo originale per il loro vermouth. Le tre bottiglie da collezione realizzate dal catalano, ognuna di forma diversa, variano sia per i colori, che partono da tinte dal celeste e arrivano al blu intenso, sia per i disegni floreali. Sulla scatola originale si leggeva: “Questi oggetti d’arte d’avanguardia, vi sono oggi proposti dalla Rosso Antico S.p.A. in una serie completa di confezioni contenenti le famose bottiglie illustrate da Salvador Dali. La produzione di queste bottiglie avrà durata limitata. Il 30 giugno 1972 verranno distrutti gli stampi, e immediatamente la serie completa acquisterà un valore crescente” .
Curiosamente, di questo progetto oggi si ricordano in pochissimi, e le bottiglie superstiti (spesso spaiate) sono messe in vendita nei mercatini fisici e online a prezzi che forse non rendono onore né all’artista, ne all’imprenditore che in lui credette.
Il rapporto tra arte e marketing
Ma come nasce l’attrazione tra marketing e artisti? Per capirne di più lo abbiamo chiesto a Massimiliano Tonelli, direttore della testata d’arte Artribune. “Il rapporto tra gli artisti contemporanei e il mondo dell’industria c’è sempre stato. È una cosa che inizia alla fine dell’800, e che con il futurismo vede un grande sviluppo, che è continuato anche durante gli anni del boom economico negli anni ’50 e ’60, quando addirittura alcuni artisti si occupavano direttamente di pubblicità”.
Come spiega Tonelli, non è detto che le aziende lavorino con gli artisti in quanto selezionati come tali. “Ci sono delle pubblicità straordinarie firmate dal grande Pino Pascali, di fine anni ’50 e inizio ’60, che all’epoca era soltanto un giovane ragazzo bravo a disegnare, che per sbarcare il lunario faceva anche quello. Adesso, quelle stesse tavole sono esposte nelle mostre a lui dedicate. Erano collaborazioni che avevano un valore d’uso mentre nei decenni successivi ne hanno assunto un altro. Non è escluso che il progetto di una bottiglia, o un disegno per una storyboard di una pubblicità, diventino qualcosa di molto significativo per comprendere il percorso dell’arista, e quindi essere valutate come opere e avere un mercato”.
Poi, come nel caso di Dalì, si crea la situazione inversa in cui gli artisti già famosi vengono chiamati dalle aziende. “Questo avviene per esempio nelle aziende che hanno una grande sensibilità nel coinvolgimento degli artisti e sul mondo dell’arte in generale. Un esempio può essere Illy con la sua tazzina inconfondibile e il suo logo, disegnati da James Rosenquist, grande pop artist americano che fu stato chiamato quando già era famoso”.
Beverage e arte, il dialogo continua
Il mondo dell’arte e quello delle bevande (soprattutto alcoliche) sono in un continuo dialogo. Ma come raccontato da Tonelli, esiste una doppia direzione. Se parliamo di artisti affermati, è molto interessante il progetto Sgrappa, firmato dal Maurizio Cattelan (insieme a Paolo Dalla Mora, direttore marketing di Moschino e imprenditore nel settore spirits e Charley Vezza, global creative orchestrator del brand Gufram).
Cattelan, oggi artista italiano più conosciuto al mondo, ha voluto proporre la sua versione del distillato di bandiera italiano, ovvero la grappa. Ma in una chiave diversa e irriverente ovvero partendo dal contenuto (il distillato infatti passa numerose volte in alambicco per avere una speciale propensione all’utilizzo nei cocktail) e soprattutto per il contenitore. La bottiglia infatti è l’esaltazione del suo celeberrimo “dito medio”, lo stesso dell’opera L.O.V.E. installata in Piazza Affari a Milano.
Se in questo caso stiamo parlando di un artista già affermato, non mancano imprenditori che vedono l’arte come una missione e dedicano dello spazio sui loro prodotti ai giovani artisti emergenti. È il caso di Fabio Ditto, general manager di drink up, che nella sua linea di birre Kbirr ha voluto solo etichette firmate da artisti partenopei contemporanei partendo da Roxy in The Box (nota per le sue opere di street art, irriverenti e pop, disseminate proprio nei vicoli di Napoli tanto da coniare il termine di “Vascio art”, l’arte dei bassi); Eddy Ferro (giovane artista napoletano, che ha realizzato delle sculture in legno ispirate alle etichette di Kbirr sulla base dei disegni di Mauro Messina); Luigi Masecchia (che nel 2013 ha lanciato il progetto Tappo’st, incentrato sul riciclo nel rispetto per l’ambiente, con opere d’arte realizzate totalmente con l’utilizzo esclusivo di tappi di metallo); o Salvatore Iabo (dal 2003 inizia a sperimentare nell’ambiente urbano nuove forme di comunicazione visiva, utilizzando anche stencil, poster, video, installazione e performance, che ha esposto e continua a esporre in mostre personali e collettive in tutta Italia, Grecia, Regno Unito, Olanda, Serbia e New York).
L’arte come piacere, l’arte come investimento
Ci sono due chiavi di lettura dietro a questo mondo, una è quella meramente culturale, ovvero dare spazio e far conoscere artisti al pubblico tramite la produzione di massa delle loro opere. Sebbene divertente e stimolante per l’immaginazione umana, sarà però sempre un prodotto di largo consumo, di cui verranno stampati milioni di pezzi, il cui valore non è strettamente destinato ad aumentare. Ad esempio, quel capolavoro del design futurista che è la bottiglietta del Campari Soda di Fortunato Depero può essere ammirata e apprezzata da tutti noi ogni giorno, ma singolarmente nessuna dei milioni di bottigliette create dal 1932 ad oggi ha il valore della singola opera.
Diverso è invece il mondo delle edizioni limitate, delle opere temporanee, come nel caso delle bottiglie di Dalì. Qui a farla da padrona è il principio di scarsità, visto che gli stampi sono stati distrutti nel 1972, e visto che il progetto è stato dimenticato, oggi molti di quelli che le hanno tenderanno a venderle o a buttarle, rendendole via via ancora più rare. Insomma, non è da escludersi che un giorno queste tornino ad essere apprezzate per quello che sono: piccoli oggetti limited edition di Dalì da tenere in casa e mostrare con orgoglio.
Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .
Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .