Articolo tratto dal numero di dicembre 2021 di Forbes Italia. Abbonati!
A cura di Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo prodotti e modello di business di Banca Mediolanum
Non passa giorno senza sentir parlare di pensioni e di come riformarle. Ne parlano giornali, televisioni, internet e rappresentano uno dei temi centrali dell’azione di Governo, delle critiche dell’opposizione, delle richieste dei sindacati e delle analisi di economisti ed esperti.
Ma come funzionano? Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico si definisce a ripartizione: i contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che già hanno lasciato l’attività lavorativa. È una specie di cassa comune: i giovani versano i loro risparmi, gli anziani ritirano la loro pensione. La cassa presenta quindi flussi in entrata e in uscita che si equiparano. È un sistema che sancisce un ‘patto fra generazioni’.
Questo meccanismo, molto valido in fasi di crescita economica, può però incepparsi nelle economie più consolidate, come quella italiana, per almeno due ragioni. Una ragione è di tipo sociale: godiamo di un generale stato di benessere sanitario che, tolto l’anno del Covid, ha allungato mediamente la vita delle persone. Di contro, purtroppo, il tasso di natalità non è sufficientemente alto per permettere un adeguato ricambio generazionale. Di conseguenza la popolazione sta progressivamente invecchiando, mentre la forza lavoro si sta assottigliando, creando uno sbilanciamento nella cassa comune. La seconda ragione, più economica, riguarda la salute di un Paese: se l’economia rallenta, aumentano i disoccupati, diminuiscono i versamenti nella cassa comune, creando quindi un ulteriore sbilanciamento nella cassa stessa.
Proviamo a tradurre questo contesto in numeri per comprendere concretamente la portata del fenomeno. Un quarantenne di oggi, che lavora in maniera continuativa da quando ne aveva 25, con una retribuzione annua lorda di circa 60mila euro e una carriera assestata (inflazione +1%) vedrà la sua pensione ridotta di circa il 20%-25% rispetto all’ultimo stipendio. Nell’ipotesi invece che si cambi spesso percorso lavorativo o che si sia costretti a sospendere i versamenti contributivi per un’interruzione lavorativa, si rischia di incassare anche fino alla metà dell’ultimo stipendio, dimezzando di fatto il proprio potere d’acquisto.
Ritirarsi dal lavoro non vuol dire ritirarsi dalla vita, soprattutto se si è in salute e si è abituati a un certo tenore di vita. Quindi cosa fare? Occorre pensare a come sarà la nostra vita da anziani, quando si è giovani, quando si ha dalla propria parte il tempo. Sembra un’equazione semplice a parole, ma che si scontra con un clima di rassegnazione e di torpore che ci inchioda a una condizione di immobilismo.
Il primo passo da fare è aderire a una forma di previdenza complementare, che non solo è stata in grado di offrire rendimenti netti medi annui composti compresi tra il 4,5% ed il 5,7% negli ultimi dieci anni per la componente azionaria (contro una rivalutazione del Tfr del 1,8%), ma che beneficia anche di un’importante deduzione. E per ridurre ulteriormente l’incertezza del futuro suggerisco di dotarsi anche di un ulteriore salvadanaio, che, ad esempio, può essere rappresentato dai Pir, ossia dai piani individuali di risparmio, che hanno l’obiettivo di sostenere le eccellenze italiane, vero motore economico del nostro Paese e che nei prossimi mesi si avvantaggeranno dei benefici derivanti dal Recovery plan e della ripresa economica. Investire nel proprio paese significa da un lato supportare e rendere solide le imprese che offrono lavoro e reddito alla nostra generazione (e che lo faranno domani con i nostri figli), e dall’altro far sì che la crescita del Pil di oltre il 6% di quest’annuo non sia estemporanea, ma diventi strutturale, il che offre risorse per finanziare i servizi, quali scuola, sanità, sicurezza e ovviamente le pensioni.
Secondariamente, ma di pari importanza, è indispensabile proteggersi dagli imprevisti che compromettono la capacità di generare reddito, quali ad esempio, un infortunio o una malattia. Attivare queste soluzioni significa fornire alla propria famiglia una copertura nel momento del bisogno, senza la necessità di dar fondo ai risparmi per colmare la temporanea assenza di reddito. A cosa serve risparmiare e costruire un capitale importante per l’età post lavorativa se poi questo deve essere ‘consumato’ in caso di imprevisti legati alla salute?
Guardare al futuro non deve spaventare, anzi. Oggi i giovani hanno l’asset più importante di tutti: il tempo. Possono decidere che futuro avere e non essere vittime dello stesso. Possono scegliere di risparmiare. Possono scegliere di avere una copertura assicurativa e sanitaria che si prenda cura di loro in caso di necessità. E per far ciò l’importante è confrontarsi con un professionista che tratti questi temi in maniera adeguata ed evitare soluzioni ‘preconfezionate’ postate in rete, che inizialmente sembrano risolvere tutti i problemi, salvo poi scontrarsi con spiacevoli sorprese proprio nel momento in cui si ha più bisogno.
Per affrontare veramente il tema previdenziale è necessario uscire dall’ottica di considerare la pensione come un mero ‘importo’ che si riceve tutti i mesi e che è slegato dalla vita quotidiana, e considerare l’età post lavorativa come una delle fasi più importanti del proprio futuro, da affrontare oggi per determinare le necessità e conseguentemente scegliere per tempo le misure adatte a fronteggiarle e superarle.
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