Smart Mobility

Dentro il laboratorio universitario italiano dove si sperimentano le frontiere della guida autonoma

Articolo apparso sul numero di febbraio 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

Più di 40 ricercatori, un gruppo di 100 studenti aspiranti ingegneri, la grande passione per la tecnologia e una sfida tra le più grandi degli ultimi anni. Nel campus dell’Università di Modena e Reggio Emilia c’è una storia che potrebbe far gola ai produttori di Netflix o conquistare la curiosità dei personaggi di Apex, il documentario dedicato ai segreti delle hypercar, tra ingegneria e design. Anche se qui, più che il disegno, vale la progettazione e tutto quello che con il veicolo si riesce a fare. Benvenuti nell’HiPeRT lab, il laboratorio dove dal 2012 si studia – e si pratica – la guida autonoma. Uno spin-off della stessa università nato per offrire alle nuove generazioni uno spazio innovativo dove formazione accademica, sistemi industriali e futuro si intrecciano.

Competere sulla guida autonoma

Ragazzi e ragazze si misurano con algoritmi e software per le performance di automobili, droni e robot delivery per la consegna di oggetti a domicilio. Mini prototipi per la guida autonoma che negli ultimi mesi hanno messo a dura prova il lavoro dell’intero gruppo. 

A cavallo tra il 2021 e il 2022 il team di Euroracing, guidato da Marko Bertogna, professore di informatica presso il Dipartimento di scienze fisiche, informatiche e matematiche ed esperto di guida autonoma, ha volato oltreoceano per gareggiare all’interno di competizioni internazionali, prima a Indianopolis e poi a Las Vegas, in occasione della più grande fiera mondiale della tecnologia (Ces). “I ragazzi sono stati bravissimi e il loro entusiasmo era alle stelle”, racconta con enfasi Bertogna. “L’Indy Autonomous Challenge è un evento unico del settore per mostrare al pubblico la capacità dei software di portare le macchine da corsa a competere e a sorpassarsi tra loro e a velocità elevate”. 

Marko Bertogna, professore di informatica presso il Dipartimento di scienze fisiche, informatiche e matematiche ed esperto di guida autonoma.

La vettura in gara è uguale per tutti, una Dallara modello AV-21, il software invece è diverso per ogni veicolo perché è progettato da ogni team e, per questo, diventa il fulcro della sfida. “Quando vedi questi veicoli che si muovono da soli fa sempre una certa impressione. E per la prima volta siamo riusciti a spingere automobili autonome a queste velocità su un percorso che non è solo un rettilineo: abbiamo evitato ostacoli e il risultato è stato per tutti eccellente”. Secondi la prima volta e terzi alla seconda gara, di fatto parliamo di occasioni importanti sotto ogni punto di vista. E che rappresentano un ulteriore passo verso la consapevolezza e l’accettazione della guida autonoma sulle strade pubbliche.

Cosa si impara dentro le vostre classi?

Portiamo la guida autonoma fino al limite che è possibile gestire. Si imparano competenze tecniche e informatiche. Non dimentichiamoci che a parte lo show business e il divertimento, alla base di tutto c’è sempre il rapporto uomo-macchina: se tu riesci a comportarti bene, puoi avere quel margine di manovra che ti permette di sopperire a imprevisti che ti possono capitare. Sulle strade urbane il margine per controllare il veicolo sarà maggiore.

Cosa hanno di diverso le vostre gare da quello che invece è la guida autonoma in città?

Prima di tutto i nostri sono prototipi. Poi, nelle nostre gare abbiamo un ambiente diverso da quello urbano perché non ci sono persone o biciclette. Sono questi che rendono difficile la guida automatica in una città ed è la ragione per cui (ancora) non vediamo automobili completamente autonome per le nostre strade.

Ma arriveranno?

La guida autonoma sperimentale o nell’ambito del racing ha una protezione legale e percorsi delineati per provare a piena velocità tutti i tuoi algoritmi. Ma oggi in città non possiamo mettere in giro macchine senza guidatori.

Il team di Euroracing durante i controlli alla macchina.

Vuol dire che non siamo pronti?

Tutto ciò che si muove può essere autonomo e sarà autonomo: automobili, droni per la logistica, catamarani, robot per manipolare oggetti sott’acqua. Attualmente però il livello su cui si lavora maggiormente è il terzo, dove per intenderci l’utente può staccare le mani dal volante. Il terzo livello arriva dopo l’assistenza alla guida. Per esempio, la frenata automatica fa parte del secondo livello. I livelli riconosciuti sono cinque e alcune grandi aziende come Tesla e Google stanno lavorando per spingersi dal secondo al quarto livello. Si tratta di prototipi testati a basse velocità.

Qual è quindi il pezzo che manca?

La sicurezza. Il tema del safety driver è la vera sfida: come può un cervello robotico raggiungere le performance di un essere umano alla guida? In noi esiste il difetto della distrazione, ma come puoi essere sicuro di poter coprire tutti gli scenari possibili? Come fai a identificarli e risolverli?

Lei cosa pensa, quando raggiungeremo il livello massimo?

Personalmente credo che sarà un discorso di assunzione di rischio.

Ci spiega meglio?

La domanda da porsi secondo me è una: la nostra società è disposta a pagarne il prezzo, oppure la guida autonoma non deve fallire mai?

E la risposta a questa domanda oggi non c’è ancora, corretto?

Sì. Ci sarà bisogno di definire il margine d’errore. Che assunzione di rischio siamo in grado di assumerci? Al momento è un tema che sconfina nell’etico legale.

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