Nasa
SpaceEconomy

Uno studio scopre che il cervello degli astronauti cambia dopo sei mesi nello spazio

Una sorta di riorganizzazione cerebrale. Un adattamento dovuto alle diverse condizioni di vita nello spazio e all’assenza di gravità. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Neural Circuits, il cervello degli astronauti che hanno trascorso un periodo di sei mesi nello spazio è cambiato temporaneamente dopo il loro ritorno sulla Terra.

Le scansioni del cranio di 12 astronauti

La scoperta di tale alterazione del cervello è stata possibile grazie a una tecnica di imaging cerebrale chiamata trattografia della fibra. I ricercatori hanno analizzato le scansioni del cranio di 12 astronauti dell’Agenzia spaziale europea e del Roscosmos russo che hanno trascorso una media di 172 giorni nello spazio. Il team ha effettuato le scansioni in momenti diversi per rilevare eventuali differenze: prima della partenza, subito dopo il loro ritorno e sette mesi dopo il loro ritorno sulla Terra.

I ricercatori, guidati dal dottor Andrei Doroshin, hanno osservato “cambiamenti nelle connessioni neurali tra diverse aree motorie del cervello”, riferendosi all’area del cervello che consente agli astronauti di cambiare il modo in cui si muovono nello spazio per adattarsi all’assenza di gravità. Le analisi hanno evidenziato anche cambiamenti fisici nel corpo calloso, la fitta fascia di fibre nervose localizzata al di sotto della corteccia cerebrale, che è piena di liquido e si espande a causa del volo spaziale.

Le conclusioni e le implicazioni future

Lo studio ha evidenziato cambiamenti strutturali dopo il volo nello spazio in tratti cerebrali che possono essere suscettibili a cambiamenti morfologici dovuti a spostamenti del cervello e del fluido intracranico. Le variazioni che si verificano tra il primo periodo post-volo e un periodo di follow-up di sette mesi indicano un graduale ritorno alla situazione pre-volo.
Questi risultati suggeriscono che comprendere come il volo spaziale influenza il nostro corpo è necessario per proseguire nell’esplorazione di altre frontiere dello spazio. Le missioni su Marte, per esempio, durano almeno nove mesi e sarà quindi necessario condurre con più frequenza studi a lungo termine sul cervello umano.

La sindrome neuro-oculare da viaggi spaziali

Nelle ultime settimane, come ha riportato Il Corriere della sera, la Nasa si è mostrata preoccupata per un particolare tipo di mal di testa che colpirebbe gli astronauti di ritorno dalle missioni spaziali. Si chiama Sans, acronimo di Spaceflight-associated neuro-ocular syndrome, ovvero sindrome neuro-oculare da viaggi spaziali. Non un semplice mal di testa ma un disturbo che  causa anche acuità visiva e la lesione della retina ed edema del disco ottico. A causare questa sindrome sarebbe il liquor – il fluido che protegge cervello e midollo spinale da traumi -, che in fase di microgravità tende a defluire verso l’alto, facendo aumentare la pressione della scatola cranica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Per altri contenuti iscriviti alla newsletter di Forbes.it CLICCANDO QUI .

Forbes.it è anche su WhatsApp: puoi iscriverti al canale CLICCANDO QUI .