“Leroy Merlin è diventata la prima azienda al mondo a finanziare il bombardamento dei suoi stessi negozi e l’uccisione dei suoi stessi dipendenti. Un’avidità disumana e straziante”. Il testo è accompagnato da una foto: un negozio distrutto dalle bombe. Con questo tweet il ministero della Difesa ucraino ha attaccato la catena francese di articoli per la casa, che ha deciso di non sospendere le sue operazioni in Russia.
In una dichiarazione riportata il 2 marzo all’agenzia Tass, l’azienda aveva confermato che i suoi 112 negozi nel Paese stavano “operando normalmente” e che “non erano previsti cambiamenti”. La scorsa settimana il Telegraph aveva ottenuto poi una lettera in cui i dirigenti del ramo russo di Leroy Merlin riportavano “un significativo incremento delle vendite” dopo il ritiro dal Paese di vari concorrenti, tra cui Ikea. “In seguito alla sparizione di alcune compagnie dal mercato, siamo aperti alla vostra proposta di incrementare le forniture di aumentare il vostro assortimento di prodotti. Contiamo di rimpiazzare del tutto i prodotti di importazione con quelli realizzati in Russia nei prossimi tre o quattro mesi”.
Lo stesso quotidiano aveva citato una parlamentare ucraina, Lesia Vasylenko, che aveva affermato: “Società del genere non hanno il diritto morale di esistere. L’ipocrisia e il cinismo con cui fanno soldi sono stupefacenti. Non hanno problemi a guadagnare mentre scorre il sangue dei bambini ucraini. Dovrebbe esserci solidarietà. I governi dovrebbero fare pressione su di loro”.
Chi controlla Leroy Merlin
Leroy Merlin appartiene all’Association Familiale Mulliez (Afm), la holding che controlla, tra l’altro, anche Decathlon e la catena di supermercati e ipermercati Auchan. La famiglia Mulliez, guidata dal 90enne patriarca Gérard Mulliez, possiede circa il 40% della società. Un altro 40% appartiene a un cugino di Mulliez, Michel Leclercq, fondatore di Decathlon. Anche Auchan e Decathlon non hanno lasciato la Russia.
Gérard Mulliez è il figlio dell’omonimo fondatore dell’azienda tessile Phildar. Nel 1961, dopo avere scoperto i grandi magazzini durante un viaggio negli Stati Uniti, aprì il primo negozio Ochan a Roubaix, nel nord-est della Francia. Per dare un sapore più francese al marchio, lo ribattezzò Auchan poco dopo.
“Dopo tre anni”, ha raccontato Mulliez in un’intervista al settimanale Le Point, “mio padre mi convocò e mi disse: ‘Gérard, c’è un problema. Non fai soldi. Ti concedo ancora tre anni’. Ero furioso. Mi mise una pressione enorme”. Fu determinante, allora, l’incontro con Marcel Fournier, il fondatore di Carrefour. “Fournier mi diede una lezione: meglio vendere cento dolcetti con un margine di un centesimo che dieci dolcetti con un margine di dieci centesimi. Mettemmo alla prova quell’idea. Abbassamo il prezzo del whisky, al punto che su una bottiglia avevamo lo stesso margine di una bottiglia d’acqua. L’intero dipartimento fu svuotato. Gli uomini venivano e poi dicevano alle mogli: ‘Vai da Auchan, è meno caro’. Presto abbiamo scoperto che ognuno ha il suo articolo di riferimento. Il mio è la banana. Quando entro in un supermercato, guardo quanto costa un chilo di banane”.
La dinastia degli asceti
Lo stesso articolo di Le Point ha presentato i Mulliez come “un clan fondato sui legami di sangue”, i cui membri conducono una vita “da asceti”. Mulliez ha raccontato: “I miei genitori si alzavano per la messa delle sette, poi lavoravano fino alle otto di sera. A volte andavano in fabbrica la sera. Non uscivano mai, non erano persone mondane, non ricevevano ospiti. È così che hanno avuto successo. Quando passi la serata con gli amici fino a mezzanotte, non sei in forma l’indomani. I miei genitori andavano a dormire alle nove di sera. Io, salvo qualche eccezione, faccio lo stesso”.
Leroy Merlin, fondato nel 1923 come rivendita di residuati bellici della Prima guerra mondiale, è entrato a far parte dell’impero dei Mulliez nel 1979 e ha contribuito a creare una delle dinastie più ricche di Francia. Oggi ha 456 punti vendita in 15 paesi. Nel 2015 il giornale francese Sud Ouest Éco scriveva che Mulliez ha reso milionari 700 suoi cugini.
Poco distante da Roubaix, a Englos, è sorto anche, nel 1976, il primo negozio Decathlon. L’impero creato da Michel Leclercq conta oggi circa 1.500 punti vendita in più di 50 paesi, per un fatturato superiore agli 11 miliardi di euro. Forbes stima il patrimonio di Leclercq in 3,9 miliardi di dollari.
Chi non lascia la Russia
La parlamentare ucraina Lesia Vasylenko ha attaccato su Twitter, oltre a Auchan e Leroy Merlin, anche altri due grandi gruppi francesi che non hanno lasciato la Russia: Crédit Agricole e Danone. Ieri ha pubblicato invece i marchi delle 50 maggiori multinazionali ancora attive nel Paese, tra cui Huawei, Pirelli, Axa, UniCredit, Cargill, Bayer, Kellog’s, Johnson & Johnson, Pfizer, Marriott, Saudi Aramco, Unilever e Nestlé.
Proprio Nestlé era stata criticata nei giorni scorsi anche dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. “Abbiamo ridotto in modo significativo le nostre attività in Russia”, si era giustificato allora il gruppo svizzero. “Abbiamo fermato import ed export dalla Russia, a eccezione dei prodotti essenziali. Non facciamo più investimenti né pubblicizziamo i nostri prodotti. Non otteniamo profitti dalle nostre restanti attività. Il fatto che, come altre società alimentari, riforniamo la popolazione con importanti alimenti non significa che continuiamo come prima”.
Lunedì Renault ha annunciato la ripresa della produzione nella sua fabbrica di Mosca. Come ha scritto la Reuters, Renault ha circa 40mila dipendenti in Russia e ha una quota di un terzo nel mercato automobilistico del Paese.
Anche Koch Industries, seconda società privata americana dopo Cargill, ha deciso di continuare a operare in Russia attraverso la sussidiaria Guardian Industries. Il coo del conglomerato, Dave Robertson, ha affermato che il gruppo “non vuole abbandonare i suoi dipendenti nel Paese o consegnare queste strutture al governo russo, che potrebbe sfruttarle e trarne benefici”.
La lista di Yale
Il docente dell’università di Yale Jeffrey Sonnenfeld ha stilato una lista di oltre 400 aziende che hanno abbandonato la Russia. Ne ha indicate poi 54 che hanno “preso tempo”, cioè che si sono limitate a congelare nuovi investimenti nel Paese. Tra queste ci sono anche Barilla, Mars, Procter & Gamble, Philip Morris e Hilton.
Sonnenfeld ha elencato inoltre 33 aziende che hanno finora ignorato o respinto del tutto le richieste di lasciare la Russia. In questa categoria ci sono anche AstraZeneca, Ralph Lauren, Emirates Airlines e Credit Suisse. L’amministratore delegato della seconda banca svizzera, Thomas Gottstein, ha dichiarato che la società sta “riconsiderando” i suoi legami con il Paese. Secondo Forbes.com, però, l’esposizione di oltre un miliardo di dollari verso la Russia rende improbabile un’uscita.
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