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Stato sociale, ma non troppo: perché la Svezia ha un miliardario ogni 230mila abitanti

Le vetrate al numero 25 della Regeringsgatan, la strada in cui un tempo entrava a Stoccolma chi veniva dal nord, non sono molto diverse da quelle dei palazzi vicini. Il quartier generale di Eqt, società svedese di private equity, non è vasto come un campus della Silicon Valley, né imponente come un grattacielo newyorkese. Almeno per qualche giorno, però, questi 5.800 metri quadrati con i soffitti in legno hanno avuto la più alta concentrazione di miliardari del mondo.

A marzo Eqt ha acquistato per 7,5 miliardi di dollari la Baring Private Equity Asia del miliardario cileno Jean Salata. Grazie al successivo rialzo in Borsa, due partner e l’amministratore delegato, Christian Sinding, sono diventati miliardari. Si sono così aggiunti ai quattro già prodotti dalla società. In quel momento, Eqt era l’unica azienda europea a contare sette o più miliardari. Ne avevano di più solo Google, Facebook e due società cinesi: Contemporary Amperex Technology, impresa di batterie agli ioni di litio, e Foshan, il primo produttore mondiale di salsa di soia.

A distanza di due mesi, secondo i calcoli di Forbes, resistono solo due dei sette miliardari di Eqt: l’ex ad Thomas von Koch e Conni Jonsson, che ha fondato la società nel 1994, finanziato in gran parte dalla dinastia dei Wallenberg. La storia, però, dimostra l’apparente facilità con cui enormi fortune sembrano spuntare oggi in Svezia. Già otto anni fa la testata statunitense Slate si domandava perché la Svezia avesse così tanti miliardari. All’epoca erano 14; nella classifica Forbes Billionaires 2022 sono 45. Una cifra che rende la Svezia, 87esimo paese del mondo per popolazione secondo i dati della Banca mondiale, il 13esimo per numero di miliardari.

Un miliardario ogni 230mila svedesi

Un cittadino svedese ogni 230mila ha un patrimonio di almeno un miliardo di dollari. Negli Stati Uniti, primi al mondo per numero di miliardari, il rapporto è di uno ogni 448mila. Tra le grandi economie europee, la Germania arriva a uno ogni 620mila, l’Italia a uno ogni 1,14 milioni, la Gran Bretagna a uno ogni 1,37 milioni, la Francia a uno ogni 1,59 milioni. I numeri della Svezia sono anomali anche se confrontati con il resto del Nord Europa. La Norvegia ha un miliardario ogni 414mila abitanti, la Danimarca uno ogni 648mila, la Finlandia uno ogni 790mila.

Va sottolineato che esistono paesi in cui la concentrazione è ancora più alta. La Svizzera, per esempio, ha un miliardario ogni 211mila cittadini, l’Islanda uno ogni 183mila, Hong Kong uno ogni 112mila. L’isola di St. Kitts and Nevis ha un miliardario tra i suoi 53mila residenti, il principato di Monaco quattro su meno di 40mila abitanti. Tutti paesi, però, con caratteristiche particolari: alcuni sono poli finanziari, altri paradisi fiscali, altri ancora sono tra gli stati meno popolosi al mondo.

Le dinastie

L’alto numero di miliardari si può spiegare, in parte, con la presenza di alcune dinastie. La persona più ricca della Svezia, per esempio, è Stefan Persson, che deve i suoi 17,6 miliardi di dollari a una quota del 36% di H&M, fondata dal padre. Sono miliardari anche i tre figli e la sorella. Tre delle cinque persone più ricche del Paese sono Finn, Jorn e Kirsten Rausing, i nipoti del fondatore di Tetra Pack. E poi ci sono i discendenti di Ingvar Kamprad, che creò Ikea nel 1943 e divenne il quarto uomo più ricco del mondo nel 2007.

L’esistenza di famiglie con molti miliardari, però, non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Anche perché i ricchi sono presenti in tutti i settori. Forbes ha trovato cinque patrimoni superiori al miliardo nel campo della moda e dell’abbigliamento, 13 in quello finanziario, tre nell’alimentare, uno nella sanità, cinque nell’immobiliare, uno nei servizi, tre nella tecnologia, uno nell’energia, due nei media, uno nella manifattura, due nel gioco d’azzardo. Altri otto devono le loro fortune ad attività diversificate.

“Il dominio dei plutocrati”

In un articolo del 2019, l’Economist stimava che le fortune dei miliardari svedesi equivalessero a circa un quarto del prodotto interno lordo nazionale. “I plutocrati”, affermava il periodico britannico, “sono più dominanti” solo “in paradisi fiscali come Cipro o Monaco o nelle cosiddette captured economy”, cioè paesi come Russia e Georgia, in cui organi statali agiscono nell’interesse dell’industria e non nell’interesse pubblico. Da allora la quota è cresciuta ancora: i 165,7 miliardi di dollari in mano ai 45 miliardari svedesi equivalgono al 32% del pil.

Questa concentrazione di denaro sembra in contrasto con l’idea del “modello svedese”, fondato su centralità del settore pubblico, contrattazione collettiva, lavoratori sindacalizzati, alta uguaglianza di reddito. Soprattutto, un forte sistema di welfare finanziato da tasse elevate. La Svezia, secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio studi della Confederazione generale italiana dell’artigianato (Cgia), è al quarto posto in Europa per pressione fiscale, dopo Danimarca, Francia e Belgio. Un gettito che serve, tra l’altro, a finanziare un sistema universitario gratuito e i 460 giorni di congedo parentale.

Socialdemocrazia e liberismo

Allo stesso tempo, però, dal 1 gennaio 2021 le imprese svedesi pagano un’imposta del 20,6% sui loro redditi. Una cifra in linea con la media dell’Ue e inferiore, per esempio, rispetto agli Stati Uniti e alle principali economie europee, Regno Unito escluso. Già all’inizio degli anni ’90, come ha scritto Slate, Stoccolma ha inoltre riformato il sistema fiscale per renderlo “più favorevole all’accumulo di capitale, con una flat tax sui redditi da capitale”, anche se l’aliquota del 30% è superiore alla media europea. Lo stesso articolo sottolineava poi che l’economia del Paese è più liberista di quanto si pensi. Il mercato dei taxi, per esempio, è stato deregolamentato 30 anni fa. E nel 1992 la Svezia è diventata uno dei primi paesi al mondo a istituire le scuole a scopo di lucro.

Dal 2005 non esiste più la tassa di successione. Due anni dopo, all’inizio del primo mandato del conservatore Fredrik Reinfeldt, Stoccolma ha abolito anche “l’ultimo tabù del welfare”, come lo ha definito il Sole 24 ore: la patrimoniale, introdotta nel 1911 e incrementata poi nel 1934, nel 1948 e nel 1971. Un’imposta che, secondo l’Economist, aveva fatto fuggire all’estero alcuni degli svedesi più ricchi, tra cui Ingvar Kamprad e Hans Rausing, figlio del fondatore di Tetra Pak.

“Il paradiso terrestre delle startup”

L’equilibrio tra “apertura alla concorrenza e una rete sociale che permette di prendersi rischi”, ha scritto Il Foglio nel 2017, ha anche reso la Svezia “il paradiso terrestre delle startup”. Un’affermazione che, a distanza di cinque anni, sembra ancora valida. Pochi giorni fa Forbes ha pubblicato la lista 2022 dei 30 Under 30 europei. Nella classifica dei paesi con più aziende fondate dai ragazzi in lista, la Svezia è quarta, dietro Regno Unito, Germania e Francia. Tra le città, Stoccolma è sesta dopo Londra, Berlino, Parigi, Monaco di Baviera e Madrid.

Un altro fattore è quello delle competenze digitali: l’edizione 2021 dell’indice Desi (Digital economy and society index, indice di digitalizzazione dell’economia e della società) della Commissione europea colloca la Svezia al terzo posto tra i 27 paesi Ue. Si spiega anche così la nascita di molte aziende tecnologiche di successo negli ultimi 20 anni. Tra le altre: Klarna, Spotify, King, l’azienda di videogiochi che ha creato Candy Crush Saga, e Mojang, sviluppatore di Minecraft. Oppure altre meno conosciute come Voi Technology, che ha già raccolto 515 milioni di dollari di finanziamenti per i suoi scooter elettrici, o Bico Group, una società di biotecnologie che si occupa, tra l’altro, di stampa tridimensionale di tessuti organici. Le sue biostampanti sono utilizzate da istituti come l’università di Harvard e il Massachusetts institute of technology e da aziende come Merck, Novartis, L’Oréal e Johnson & Johnson.

La via di mezzo

Nel 1936 il giornalista americano Marquis Childs, vincitore del premio Pulitzer, pubblicò Sweden: The Middle Way: un libro in cui sosteneva che la Svezia avesse trovato un compromesso tra il modello statunitense, in cui la ricchezza era concentrata nelle mani di pochi uomini, e quello sovietico. Ovvero, tra il modello capitalista e quello comunista. Il giornalista svedese Per Ohlsson ha ricordato che anche il presidente statunitense Roosevelt, all’epoca, parlò della “situazione particolarmente interessante” della Svezia, in cui “una famiglia reale, un governo socialista e un sistema capitalista lavoravano fianco a fianco”.

Ancora nel 2016 e nel 2020, durante le sue campagne per la nomination democratica alla Casa Bianca, Bernie Sanders ha indicato la Svezia e il resto del Nord Europa come modello. Oggi Stoccolma combina grandi fortune e un indice di sviluppo umano corretto per le disuguaglianze tra i più alti al mondo secondo le Nazioni unite. È tra i paesi Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che riunisce i paesi sviluppati con un’economia di mercato) con la più bassa disuguaglianza di reddito e il più basso tasso di povertà. Ma è anche, secondo un documento della stessa Ocse, il paese membro in cui la disuguaglianza di reddito è cresciuta di più tra il 1985 e l’inizio dello scorso decennio. E se è vero che tanti ragazzi avviano startup promettenti, la disoccupazione giovanile, a febbraio 2022, era al 22,4%: la quarta dell’Unione europea, dopo Grecia, Spagna e Italia.

La pandemia ha esasperato la situazione. Come ha scritto Bloomberg, “i ricchi svedesi sono più ricchi”, il mercato immobiliare di Stoccolma è cresciuto nel 2021 più di quelli di Londra e San Francisco, ma “il settore dei servizi ha perso posti di lavoro” e “la popolazione immigrata ha faticato a trovare impiego”. Anche per questo il partito socialdemocratico sta valutando di tornare al passato. A cominciare da una proposta avanzata l’anno scorso dall’allora ministro delle Finanze, Magdalena Andersson, nel frattempo diventata premier: ricominciare a tassare i ricchi.

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