Leclerc casco Bell Racing Force
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Le tute di Senna e Schumacher, i caschi di Hamilton e Leclerc: la storia dell’azienda genovese che ha conquistato la F1

La Ferrari numero 28 viaggiava a 290 chilometri all’ora quando l’alettone anteriore si ruppe. Il pilota, Gerhard Berger, diventò passeggero di una macchina ingovernabile. Al quarto giro del Gran Premio di Imola del 23 aprile 1989, si schiantò contro il muro alla curva del Tamburello, dove cinque anni dopo sarebbe morto Ayrton Senna. Si fermò sull’erba ed era ancora dentro l’abitacolo quando la sua auto prese fuoco. Rimase tra le fiamme per 23 secondi, ma se la cavò con alcune ustioni. Molto più leggere, per esempio, rispetto a quelle che 13 anni prima avevano sfigurato un altro pilota austriaco su un’altra Ferrari: Niki Lauda.

A salvare Berger, oltre a una macchina più sicura e alla velocità dei commissari di Imola, contribuì un abbigliamento ignifugo molto diverso da quello di Lauda. In particolare, tuta e guanti, realizzati da un’azienda italiana: la Omp di Ronco Scrivia, in provincia di Genova. “Il marchio era già conosciuto in Italia, tanto che collaborava con la Ferrari”, racconta Paolo Delprato, che nel 2008 ha comprato Omp dai fondatori e nel 2021 l’ha ribattezzata Racing Force Group. “A Imola lo scoprì anche il resto del mondo. Pochi anni dopo, molti dei più grandi piloti di F1 vestivano le nostre tute e i nostri guanti: Senna, Michael Schumacher, Nigel Mansell, Mika Hakkinen”.

Oggi Omp è uno dei quattro marchi di Racing Force. Lo affiancano Bell Helmets, uno dei principali produttori mondiali di caschi per l’automobilismo, Racing Spirit, azienda di abbigliamento ispirato ai motori, e ZeroNoise, che produce la telecamera Driver’s Eye, montata all’interno dei caschi dei piloti di Formula 1. Il gruppo realizza più di duemila prodotti tra tute, guanti, scarpe, sedili, cinture di sicurezza, rollbar, volanti, sistemi di comunicazione ed estintori. Vende in 80 paesi e muove ogni anno due milioni di pezzi. Lavora con case automobilistiche come Ferrari, Lamborghini e Mercedes e da 12 anni è partner della Federazione internazionale dell’automobile (Fia), che organizza, tra gli altri, il Mondiale di F1. I piloti che utilizzano il suo equipaggiamento hanno vinto circa 60 titoli mondiali negli ultimi dieci anni. A marzo ha annunciato che Valentino Rossi, per la sua nuova carriera nel Gran turismo, ha scelto caschi Bell e tute Omp.

Da Ronco Scrivia alla Formula 1

I fratelli genovesi Claudio, Roberto e Piergiorgio Percivale avevano fondato Omp nel 1973. “Partecipavano a gare sui monti intorno a Genova”, racconta Delprato. “Realizzarono il primo rollbar – una specie di gabbia protettiva – per una Fiat 500”. Lo costruirono con componenti forniti dal padre, ferroviere. Roberto, il pilota di famiglia, cominciò a utilizzarlo. Altri piloti lo chiesero. Poi toccò ad altri accessori: sedili, volanti, cinture di sicurezza, abbigliamento tecnico. Fino allo sbarco in Formula 1 e nel rally, dove Omp ha trovato testimonial come Tommi Mäkinen, quattro volte campione del mondo, e Carlos Sainz, due volte campione e padre dell’attuale pilota della Ferrari.

Piergiorgio Percivale, considerato l’anima di Omp, morì nel 2003. Pochi anni dopo, il resto della famiglia decise di vendere l’azienda. Tra le offerte, scelse quella di Saye, una società fondata da Delprato e dal fratello, Alberto. “Io sono un ingegnere, mio fratello è economista”, racconta l’ad. “Veniamo dal mondo della consulenza e in quell’ambito abbiamo visto come l’Italia sia piena di gioielli: piccole e medie imprese poco conosciute, ma leader mondiali nelle loro nicchie di mercato. Omp era tra loro. Un marchio con un potenziale enorme, anche se, in quel momento, un po’ impolverato”.

Una nuova era

I Delprato coinvolsero Mps Venture, il fondo del Monte dei Paschi di Siena, e Federico Minoli, per 11 anni presidente e ad di Ducati, e acquistarono il 100% di Omp. L’accordo fu firmato il 4 febbraio 2008 e prevedeva che gli ex proprietari continuassero a gestire la parte ordinaria. Pochi mesi dopo, i Percivale cambiarono idea. “Io e mio fratello ci saremmo dovuti occupare solo della riorganizzazione, anche perché eravamo appassionati di sport motoristici, ma a livello di spettatori in tv. Quando i Percivale ci ripensarono, mio fratello mi convinse a non mollare Omp almeno per un altro anno. All’inizio ero contrario, ammetto. Invece siamo ancora qui”.

I Delprato rimasero nonostante il momento fosse quello del crac della Lehman Brothers, della coda di trader con gli scatoloni in mano sulla Settima strada di New York, del collasso del mercato immobiliare americano che si trasformò in crisi finanziaria ed economica globale. “Il segreto è stato non cedere alla tentazione di tagliare e ridimensionare”, dice l’ad. “Al contrario, non abbiamo mai smesso di investire sui prodotti e sulla qualità del servizio”.

Caschi da museo

Nel 1945 Roy Richter, un ex pilota di auto e moto, comprò per mille dollari l’officina in cui costruiva macchine da 12 anni, nella contea Bell di Los Angeles: Bell Auto Parts. Nel 1954, nel garage dietro il negozio, realizzò il suo primo casco per l’automobilismo. Nello stesso anno lo usarono alcuni concorrenti della Carrera Panamericana, una gara messicana che ricalcava la Mille Miglia e la Targa Florio italiane. Nel ’55 un altro pilota, Cal Niday, lo indossò nella 500 Miglia di Indianapolis. A 21 giri dal termine, quando era terzo, uscì di pista e finì contro un muro di cemento. Riportò ustioni su tutto il corpo, danni ai polmoni e al diaframma e fratture al cranio, ma sopravvisse. Quando si riprese, attribuì al casco il merito di averlo salvato.

Nei decenni successivi Bell ha prodotto modelli esposti al Museo d’arte moderna di New York. Negli anni ’90 è stata suddivisa in due rami: uno dedicato ai caschi per il motociclismo, l’altro a quelli per l’automobilismo. Il secondo è stato acquistato da Racing Force tre anni fa.

Oggi 12 piloti di Formula 1, tra cui Charles Leclerc, Carlos Sainz, Fernando Alonso e Lewis Hamilton, gareggiano con caschi Bell. E nel gennaio 2021, dopo quasi vent’anni di assenza, il marchio è tornato anche nel Mondiale rally. “Secondo la Federazione internazionale, per ogni macchina da circuito ce ne sono tre da rally”, spiega Delprato. “E poiché sulle macchine da rally ci sono un pilota e un co-pilota, stavamo rinunciando a un mercato sei volte più grande di quello in cui operavamo”.

L’occhio del pilota

In funzione dell’acquisto di Bell, nel 2019 Omp ha comprato anche ZeroNoise, una startup italiana di sistemi audio e video per caschi, come quelli che fanno comunicare piloti e co-piloti nel rally. Il mondo delle corse oggi la conosce per la Driver’s Eye (‘l’occhio del pilota’): una microcamera montata nel casco che, da questa stagione, permette di vedere i gran premi di Formula 1 dalla prospettiva del pilota. Il dispositivo ha un diametro di otto millimetri, pesa 2,5 grammi ed stato testato per la prima volta in Formula E nel 2020. È stato sperimentato in Formula 1 da Fernando Alonso nel 2021, in Belgio, e da questa stagione è nel 60% dei caschi. Diventerà obbligatorio nel 2023.

“Quando si acquista un’azienda, la parte più complicata è sempre l’integrazione”, dice Delprato. “Noi abbiamo compiuto due operazioni in pochi mesi, per di più alla vigilia della pandemia, e abbiamo dovuto amalgamare una squadra con persone di 32 nazionalità diverse. È la cosa che mi dà più soddisfazione: 1+1, nel nostro caso, ha fatto 3”.

I caschi in Borsa

La doppia acquisizione ha portato alla nascita di un gruppo che nel 2021 è stato rinominato Racing Force. Lo scorso anno la società ha messo assieme ricavi per 46,7 milioni di euro, con un incremento del 38,4% sul 2020 e del 27% sul 2019, ultimo anno pre-pandemia. Il tasso medio di crescita, negli ultimi sette anni, è stato del 14%. I dipendenti, aumentati da 80 a 420 dal 2013 a oggi, sono sparsi in tre centri di ricerca e produzione (Ronco Scrivia, Pisa e Sakhir, in Bahrain, all’interno del circuito di Formula 1 che ha visto la doppietta Ferrari nel primo gran premio del 2022), tre centri logistici (Ronco Scrivia, Sakhir e Miami) e quattro pro-shop (negozi che fanno anche da centri espositivi: Ronco Scrivia, Sakhir, Indianapolis e Mooresville, in North Carolina).

A novembre Racing Force è anche sbarcata sull’indice Euronext Growth di Milano ed è diventata la prima società quotata in un settore che Delprato definisce “di nicchia, ma mondiale”. Un mercato che tra Formula 1, Indycar, Le Mans e altre competizioni ha grande visibilità, ma dai meccanismi conosciuti solo dagli addetti ai lavori. “I protagonisti principali sono gli stessi da decenni e sono nati tra gli anni ’50 e ’70”, spiega Delprato. “Ci sono forti barriere all’entrata. Per realizzare prodotti di alto livello non basta avere soldi da investire, ma servono esperienza e conoscenze. Se oggi fondassimo Racing Force da zero, non avremmo possibilità di diventare competitivi, nemmeno se avessimo risorse infinite”.

Guardando al cielo

Grazie ai capitali raccolti con la quotazione, aggiunge Delprato, Racing Force “non soffre del problema di tante piccole e medie imprese italiane”, cioè quello di essere “sottocapitalizzate. Anche a causa di un sistema bancario che è stato stravolto dalla crisi del 2008 e non si è mai ripreso del tutto”. Il mercato di oggi, poi, “gioca a favore: la domanda è sei volte l’offerta”. L’azienda, perciò, vuole approfittarne per diversificare. Pensa di portare il Driver’s Eye anche in altri sport che utilizzano caschi, come lo sci o l’equitazione, e guarda a settori che sfruttano tecnologie simili a quelle degli sport motoristici. L’aeronautica, per esempio.

“Il governo statunitense”, dice Delprato, “ha indetto un bando per caschi dell’aviazione. Restano in corsa due concorrenti: il fornitore storico e un’azienda a cui forniamo la calotta. Il casco di un pilota di jet e quello di un pilota di Formula 1 devono riuscire ad assorbire molta energia in caso di impatto e, allo stesso tempo, essere leggeri per ridurre lo sforzo del pilota, che deve contrastare la forza centrifuga. A livello tecnico, ci sono molti punti di contatto”.

Un’altra parte dei capitali servirà poi allo sviluppo tecnologico. Delprato ricorda l’incidente di Fernando Alonso in Australia, nel 2016, quando il pilota spagnolo, equipaggiato con cinture Omp, speronò un’altra auto e si ribaltò più volte prima di atterrare nella sabbia. Oppure quello di Romain Grosjean, che due anni fa indossava abbigliamento tuta, guanti e scarpe Omp quando, in Bahrain, uscì quasi illeso da un impatto a 220 chilometri orari contro le barriere e da 28 secondi in mezzo alle fiamme. “Sui circuiti ci sono ancora gli avvisi ‘Motorsport is dangerous’: ‘Il motorsport è pericoloso’. Oggi, però, grazie a innovazioni come l’Halo – il sistema che protegge la testa del pilota – e agli investimenti su caschi, cinture e abbigliamento ignifugo, lo è molto meno di un tempo”.

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