La transizione energetica richiede una combinazione tra tutte le risorse disponibili. Non possiamo limitarci ai combustibili fossili, né abbandonarli e passare subito alle sole rinnovabili. Gli ultimi mesi, del resto, ci hanno dimostrato quanto sia importante limitare l’esposizione e la dipendenza da singole fonti”. La formula è di Giorgia Arnaboldi, general manager b2b di Shell Renewables & Energy Solutions per l’Europa. “Il mio compito”, spiega Arnaboldi, “è proprio questo: studiare, per ciascuno dei nostri clienti, il mix energetico giusto per decarbonizzare”. Un problema che richiede soluzioni diverse per ciascun settore. “La ricetta ideale per un cementificio non può funzionare per un’azienda alimentare. Serve un lavoro che definisco come co-design. Non ci presentiamo mai da un’azienda con una soluzione predefinita, ma con alcune idee, magari basate su ciò che ha funzionato in altri casi. Da lì si comincia a pianificare insieme”.
Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano nel 1996, Arnaboldi ha iniziato la sua carriera in Oracle, Cap Gemini ed Ernst & Young, prima di entrare in Shell nel 2000. Vari incarichi l’hanno portata dall’Italia a Madrid, ad Amburgo e, quattro anni fa, a Londra. “Cambiare tanti ruoli e Paesi, dover imparare nuove lingue e culture è stato complicato, specie perché non ho mai voluto rinunciare a costruire una famiglia”, racconta.
“I diversi punti di vista hanno creato momenti di incertezza in casa, però l’impegno a superarli insieme mi ha arricchita non solo sul piano personale, ma anche su quello professionale: ho capito l’importanza di un dialogo aperto e senza preconcetti. Una lezione cruciale per chi lavora in campo internazionale, dove i diversi modi di pensare, o addirittura la semplice traduzione, possono portare all’incomprensione e, quindi, creare attriti e inefficienze”.
Il rinnovamento di Shell
In 22 anni, Arnaboldi ha visto cambiare sia il settore dell’energia, sia la sua azienda. Quando è entrata in Shell, l’attività della compagnia era ancora legata in gran parte agli idrocarburi. “Ora prevediamo di destinare il 50% degli investimenti a prodotti a basse emissioni o a zero emissioni entro il 2025. Già oggi gestiamo il 10% della capacità globale di idrogeno. E puntiamo su soluzioni come la cattura e il sequestro della CO2”, cioè una tecnologia che permette di confinare e stoccare l’anidride carbonica emessa da un impianto di combustione.
Shell – prima azienda europea secondo la classifica Global 2000 di Forbes, con un fatturato di 262 miliardi di dollari e una valutazione di mercato di 211 miliardi – dichiara di voler diventare una compagnia a zero emissioni nette entro il 2050, nel rispetto degli accordi di Parigi. Nell’ultima edizione del suo rapporto annuale sulla transizione energetica ha affermato di avere ridotto del 18% le emissioni scope 1 e scope 2 (cioè quelle dirette e quelle indirette dovute all’energia acquistata e consumata) dal 2016 al 2021. Ha 4,7 GW di capacità di generazione rinnovabile, operativa o in costruzione, e 38 GW in progetti futuri. Ha portato poi da 60mila a 90mila i punti di ricarica per veicoli elettrici.
Una trasformazione necessaria
Tra le operazioni più importanti concluse da Shell in Italia c’è l’acquisto, a gennaio, di solar-Konzept Italia: un accordo che dovrebbe permettere al gruppo di arrivare a 2 GW di capacità di fotovoltaico nel nostro Paese. In Scozia, assieme a ScottishPower, Shell ha vinto un bando per due parchi eolici galleggianti da 5 GW. Si prepara poi a costruire in Olanda un impianto da cui usciranno 820mila tonnellate di biocarburante all’anno. La struttura diventerà uno dei principali centri europei di produzione di Saf (sustainable aviation fuel), cioè carburante sostenibile per l’aviazione. Un combustibile ricavato da risorse come carta, oli usati, scarti di cibo e altri rifiuti organici, che, secondo un rapporto del World economic forum, potrebbe ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80% rispetto a quelli tradizionali. La strategia di Shell riguarda anche gli altri continenti: negli ultimi mesi la compagnia ha acquistato, tra l’altro, Sprng Energy, uno dei principali produttori indiani di rinnovabili, e Savion, società di energia solare di Kansas City, negli Stati Uniti.
“Queste operazioni”, dice Arnaboldi, “servono a dotare la compagnia di un ventaglio ampio di risorse e soluzioni, per andare incontro alle esigenze di ciascun cliente”. Un processo agevolato non solo dall’avanzamento tecnologico, ma anche da quello culturale. “Ormai è sempre più difficile trovare aziende scettiche sull’utilizzo di energia rinnovabile. Certo, esistono ancora imprenditori poco convinti da una singola soluzione, ed è vero che esistono motivazioni diverse per passare alle rinnovabili: c’è chi lo fa per sensibilità, chi per efficienza, chi per comunicare la propria evoluzione e una maggiore attenzione alle tematiche ambientali. Tutti, però, hanno ormai chiaro che la transizione è necessaria e che non è più possibile rinviarla”. Le conseguenze del cambiamento climatico, del resto, sono sempre più gravi anche sul piano economico: Munich Re, compagnia di riassicurazione tedesca, ha stimato in 280 miliardi di dollari i danni provocati nel 2021 da disastri naturali come uragani, inondazioni e siccità, contro i 52 miliardi di due anni prima.
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