Space Economy

Perché produrre energia in orbita potrebbe essere un progetto realistico (e redditizio)

Articolo tratto dal numero di dicembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati!

L’attuale crisi energetica e, ancor prima, la necessità di ridurre i gas serra per limitare il riscaldamento globale, spingono sempre di più verso la ricerca di energie pulite il cui utilizzo non comporti emissione di anidride carbonica. Al contrario dei combustibili fossili, che si sono formati in passate ere geologiche e che sono presenti nelle profondità della Terra in quantità grande ma finita, le energie pulite vengono prodotte con continuità sfruttando fenomeni naturali. Per questo si parla di energie rinnovabili, un mantra sul quale si dovrebbe basare il nuovo modello del nostro sviluppo economico.

Mentre il fluire dell’acqua e dell’aria sono stati utilizzati fin dai tempi più antichi, con meccanismi semplici come i mulini (ad acqua e a vento), per sfruttare l’energia pulitissima e liberamente disponibile che ci viene fornita dal Sole è stato necessario sviluppare tecnologie capaci di trasformare i fotoni in energia elettrica. I pannelli solari sono a tutt’oggi oggetto di studio per migliorarne l’efficienza di conversione, un parametro fondamentale che indica quanta energia ricevuta venga poi resa disponibile. Si è iniziato con un valore intorno al 5%, ma si è già arrivati a superare il 20% e la ricerca non si ferma. 

Non solo pannelli solari

Gli impianti fotovoltaici sono un tassello fondamentale della transizione energetica, ma, per produrre energia a prezzi competitivi, devono essere costruiti in luoghi che uniscano la disponibilità di grandi spazi con un’ottima insolazione. Una piccola parte della superficie del deserto del Sahara potrebbe fornire energia a tutta l’Europa. Ovviamente, una volta prodotta, l’energia deve essere trasportata nelle aree che ne hanno bisogno, dove, magari, potrebbe anche essere in parte immagazzinata per soddisfare i bisogni notturni.

Sembrerebbe un quadro idilliaco: l’Europa avrebbe tutta l’energia pulita della quale necessita. Tuttavia, le recenti esperienze insegnano che, davanti a inevitabili instabilità politiche, sarebbe auspicabile non dipendere da un unico mega impianto. Meglio pensare a una diversificazione delle fonti. Ecco quindi rinascere un progetto visionario proposto oltre mezzo secolo fa e basato su grandi impianti fotovoltaici in orbita.

Produrre energia in orbita

Si chiama space-based solar power (o sbsp) e si compone di grandi infrastrutture orbitanti e di un sistema di conversione dell’energia raccolta in microonde, che deve poi essere inviata a stazioni terrestri per essere riconvertita in energia elettrica. Certo, è un sistema complicato, ma, grazie a un’accurata scelta dell’orbita, la superficie di raccolta potrebbe essere continuamente illuminata e fornire energia senza interruzioni. 

Alla fine degli anni ’60 le difficoltà apparivano insormontabili, vuoi per i proibitivi costi dei lanci, vuoi per l’immaturità della tecnologia alla base del trasferimento energetico. Tuttavia, la possibilità di risolvere i problemi energetici del pianeta ha continuato ad attirare l’attenzione e lo studio di possibili architetture di sistema non è stato abbandonato. Anzi, è periodicamente tornato alla ribalta.

Per ridare slancio ai progetti chiusi nei cassetti delle agenzie spaziali occorrevano, però, due ingredienti: un sostanziale abbassamento dei prezzi di lancio e la maturazione della tecnologia del trasferimento energetico attraverso le microonde. Due argomenti sui quali si sono fatti enormi passi avanti negli ultimi anni. L’impiego dei lanciatori riutilizzabili ha tagliato i costi di lancio, che promettono di scendere ancora con l’avvento del vettore Starship di Space X, un mezzo la cui ambizione è quella di consentire lanci a meno di 100 dollari al chilogrammo.

Gli esperimenti riusciti

Se SpaceX, da sola, pianifica di lanciare decine di migliaia di satelliti per fornire la copertura internet a livello mondiale, è chiaro che lanciare, per poi assemblare in orbita, la grande struttura necessaria per la raccolta dell’energia solare non è più un sogno irrealizzabile. Si tratta di investire nelle tecnologie necessarie. A settembre, gli ingegneri della Airbus hanno trasformato l’energia raccolta da pannelli solari in microonde, che hanno attraversato un hangar vicino a Monaco e sono state riconvertite in energia elettrica. L’esperimento ha fatto viaggiare 2 kW su un percorso di 36 metri e ha dimostrato che la cosa è fattibile. Adesso occorre moltiplicare potenza e distanze. In parallelo bisogna dimostrare che il processo non è pericoloso. Nessuno deve rischiare di andare arrosto se attraversa la regione dove viene trasferita l’energia. 

L’Agenzia spaziale europea (l’Esa) e la Nasa – e con loro l’Agenzia spaziale giapponese, quella coreana, quella cinese e quella indiana – si stanno muovendo. Occorre costruire dimostratori in orbita. Solo con la validazione reale si potranno convincere gli investitori pubblici e privati. L’Esa vuole sottoporre il progetto pilota agli stati membri durante il prossimo Consiglio ministeriale. È il momento di trasformare un’idea visionaria in una nuova, promettente applicazione della space economy. C’è già chi parla di una nuova trillion-dollar industry, un’industria da mille miliardi di dollari. Mica male.

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