Uri Levine
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“Il motore del cambiamento? Rabbia e frustrazione”. L’innovazione secondo Uri Levine, fondatore di Waze

Uri Levine, uno dei fondatori dell’app di navigazione stradale Waze, porta quasi sempre magliette scure con la stessa scritta: ‘Innamorati del problema, non della soluzione’. La sua massima è diventata anche il titolo di un libro che Steve Wozniak, uno dei soci con cui Steve Jobs ha fondato Apple, ha definito nella prefazione “una Bibbia” per gli imprenditori. “Se parti dalla soluzione, rischi di costruire qualcosa che non interessa a nessuno”, spiega Levine. “Se rimani concentrato sul problema, se ne fai la tua stella polare, sei certo di non deviare dall’obiettivo e di creare qualcosa che ha uno scopo e servirà a qualcosa”.

Poi c’è un altro vantaggio: la storia da raccontare a investitori, clienti o utenti diventa molto più bella. “Se spiego che Waze è un sistema di navigazione basato sull’intelligenza artificiale, che usa il crowd sourcing per migliorare i risultati, quante persone riesco ad appassionare? Se invece dico che è una soluzione per non rimanere imbottigliati nel traffico, allora è tutto diverso”.

Da Waze alle pensioni

Levine ha 57 anni e ha fondato Waze nel 2006, assieme ad altri due imprenditori israeliani. Nel 2013 l’ha venduta a Google per più di un miliardo di dollari. Invece di entrare nel nuovo gruppo, ha preferito continuare a creare e finanziare startup. Il suo sito ufficiale ne elenca 12. Oggi punta molto su Pontera, un’azienda che aiuta gli americani ad andare in pensione. “Negli Stati Uniti è un grosso problema”, dice. “Tante persone arrivano all’età della pensione e non hanno abbastanza soldi per smettere di lavorare”. Uno dei suoi maggiori successi nel dopo-Waze, però, è arrivato ancora nel campo della mobilità: Moovit, un’app per pianificare gli spostamenti nelle grandi città con i mezzi pubblici, i taxi, le bici, i monopattini o i motorini in condivisione, acquisita nel 2020 da Intel per un miliardo di dollari.

Dove va la mobilità

Proprio la mobilità, secondo Levine, è “uno di quei settori in cui la situazione era migliore dieci anni fa. Il traffico era minore”. I problemi da risolvere sono rimasti gli stessi: “Pensiamo a un’autostrada alle otto e mezza del mattino. In un chilometro, su una corsia, ci sono magari 45 auto. Su quelle auto si trovano più o meno 50 passeggeri. Di conseguenza, 50 persone occupano un chilometro di strada. Fino a quando non cambieremo il rapporto tra veicoli e passeggeri, non risolveremo nulla”.

Una soluzione, secondo Levine, può venire dai trasporti pubblici. “Solo pochi governi e amministratori li hanno resi gratuiti. È un’operazione che ha un costo di molto inferiore al valore creato. Oppure si può pensare di creare spazi riservati, in cui i mezzi potrebbero spostarsi in modo più libero e più veloce”. Il trasporto pubblico non è però l’unica risposta possibile. “Sarebbe sufficiente incrementare il car pooling e il car sharing, cioè la condivisione delle auto. Pensiamo a un treno che arriva a Milano Centrale. Per ogni persona che deve prendere il treno, c’è una macchina che va in stazione. Per ridurre il traffico basterebbe un servizio che, invece di raccogliere una sola persona per portarla in stazione, ne raccoglie due, magari nelle periferie della città”.

I dubbi sulla guida autonoma

Di certo la trasformazione della mobilità sta avvenendo a una velocità più bassa di quella prevista alcuni anni fa. La rivoluzione della guida autonoma, per esempio, è in ritardo. Nel 2016 un articolo di Business Insider, per esempio, prevedeva che entro quattro anni le auto senza conducente sulle strade sarebbero state 10 milioni. Invece, a 20 anni dai primi demo e a sei dai primi robotaxi, sono ancora pochissime. Anche negli Stati Uniti sono limitate alla cosiddetta Sun Belt – la cintura del sole, cioè il sud del Paese – perché, come ha scritto il giornalista Max Chafkin su Bloomberg, “ancora non riescono a gestire condizioni meteo più insidiose di ‘parzialmente nuvoloso’”. Adrian Levandowsky, padre del programma di guida autonoma di Google ha ammesso che “è difficile trovare un’altra industria che abbia investito così tanti soldi in ricerca e sviluppo e abbia ottenuto così poco”.

Levine assicura che “la tecnologia esiste”. Il problema, semmai, “è la coesistenza tra i guidatori umani e le auto senza conducente. Perché un pilota automatico ha un comportamento costante e prevedibile, una persona no”. Levine ipotizza allora di applicare, sulle strade, il principio che rende efficiente la metropolitana. “Anche in questo caso, una soluzione potrebbe essere quella di riservare strade ai veicoli autonomi, che così non dovrebbero interagire con i guidatori umani. Immagino un servizio di furgoni senza conducente che vanno avanti e indietro a intervalli regolari, caricando e scaricando persone”.

Il motore del cambiamento

Cambiare la mobilità, sottolinea Levine, significa in ogni caso anche cambiare le abitudini delle persone. “In questo campo compiamo le nostre scelte in base a tre fattori: comodità, velocità e prezzo. La condizione necessaria per trasformare la mobilità è creare un sistema più comodo, più veloce o più economico”. A trovarlo, secondo Levine, sarà qualcuno molto arrabbiato o molto frustrato. Perché a suo giudizio – nonostante la tradizionale narrazione della Silicon Valley metta l’accento sulla visione, il coraggio e la creatività – i veri motori del cambiamento sono i sentimenti negativi. “I sentimenti negativi sono più forti di quelli positivi. Nella vita è un guaio, perché ci porta a essere più odiati che amati. Nell’impresa, però, è una fortuna. L’innovazione richiede azione. E quando siamo frustrati e arrabbiati, è più probabile che agiamo”.

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