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I licenziamenti delle big tech erano proprio necessari?

È bastato un mese per rispondere a chi si domandava se la stagione dei licenziamenti di fine 2022 sarebbe proseguita nel 2023. Al 31 gennaio, secondo il sito specializzato layoffs.fyi, le aziende tecnologiche avevano già lasciato a casa circa 80mila persone: la metà di quelle tagliate in tutto l’anno scorso.

Più di tutti hanno ridimensionato le cosiddette big tech. Amazon ha inaugurato il 2023 con 18mila licenziamenti, Google/Alphabet con 12mila, Microsoft con diecimila. Meta era stata la prima, a novembre, con 11mila. Per ora resiste solo Apple, che si è limitata a congelare le assunzioni.

Le trimestrali delle big tech

Le ultime trimestrali, in effetti, sono state in gran parte deludenti. La prima a pubblicarle, Microsoft, ha visto i ricavi crescere del 2%, al di sotto delle attese degli analisti, e l’utile calare del 12%. Google, negli ultimi tre mesi del 2022, ha incrementato i ricavi dell’1% soltanto rispetto allo stesso periodo del 2021 e ha ridotto i profitti da 20,6 a 13,6 miliardi. I ricavi di Meta sono diminuiti del 4% su base annua e gli utili del 55%, ma la promessa di Mark Zuckerberg di rendere il 2023 “l’anno dell’efficienza” sembra avere convinto le Borse: il titolo ha guadagnato il 23% in un giorno. Apple ha registrato il primo calo di ricavi su base trimestrale dal 2019. Amazon si è salvata, con cifre che hanno superato le aspettative degli analisti.

I dati rispecchiano il momento di incertezza delle grandi aziende tecnologiche. Non cancellano, però, una domanda che sempre più analisti si pongono: i numeri sono tali da giustificare i licenziamenti di massa?

Perché le aziende licenziano

Una parziale spiegazione del fenomeno sta in problemi comuni a tutta l’economia: dalla guerra in Ucraina al caro energia, dai problemi di forniture all’inflazione. I capi delle grandi aziende tecnologiche, al momento dell’annuncio dei tagli, hanno indicato come causa anche un eccesso di assunzioni durante i due anni più intensi della pandemia.

“Con l’avvento del Covid, il mondo si è spostato online e l’esplosione dell’e-commerce ha portato a un incremento spropositato dei ricavi”, ha scritto Mark Zuckerberg sul blog di Meta. “Molti prevedevano che questa accelerazione sarebbe stata permanente e sarebbe proseguita anche dopo la fine della pandemia. L’ho pensato anch’io, e così ho deciso di aumentare in modo significativo gli investimenti. Purtroppo, le cose non sono andate come mi aspettavo”.

La corsa alle assunzioni e l’inverno di Wall Street

Il Wall Street Journal ha sottolineato che tra il settembre 2019 e il settembre 2022 Microsoft ha aumentato il personale del 53%, Google/Alphabet del 57%, Meta del 94%, Amazon del 100%. Tra le cinque big tech, l’unica a restare cauta è stata Apple, che si è fermata al 20%. Forse anche per questo l’azienda guidata da Tim Cook è l’unica a non avere tagliato in massa.

Sui mercati, poi, i gruppi tecnologici hanno fatto peggio degli altri. L’S&P 500, il più importante indice della Borsa di New York, ha perso il 19% nel 2022. Il Nasdaq, il listino tecnologico, ha ceduto il 33% e ha chiuso il peggior anno dall’inizio della Grande Recessione. Apple e Microsoft hanno perso circa il 30%, Alphabet il 40, Amazon quasi il 50, Meta più del 60. Le aziende tecnologiche hanno bruciato in tutto 7.400 miliardi.

Un segnale ai mercati

Gli stessi mercati sembrano avere apprezzato i licenziamenti. Le azioni di Meta, che a inizio novembre venivano scambiate a poco più di 90 dollari, dopo i tagli sono cresciute fino agli oltre 168 dollari di oggi. Alphabet ha visto crescere il suo valore di circa 50 miliardi dopo l’annuncio dei licenziamenti. Spotify ha guadagnato il 5% in Borsa nel primo giorno dopo i 600 tagli, Amazon circa il 15% dal giorno dei suoi 18mila.

Licenziamenti necessari?

In un’intervista alla Cnbc, Gene Munster, managing partner della società di investimenti Deepwater Asset Management, ha dichiarato: “Proviamo a mettere in prospettiva i tagli di Google: con questi licenziamenti, il margine operativo della società aumenta dell’1%. Questi tagli guadagnano tanti titoli sui giornali, ma non fanno davvero la differenza”.

Anche secondo Sam Abuelsamid, analista della società Guidehouse Insights, i tagli servono più che altro a mandare un messaggio agli azionisti. “Quello che le aziende stanno dicendo è: ‘Siamo prudenti, vogliamo tornare a crescere, non continuare a spendere soldi senza che ce ne sia bisogno’”, ha detto Abuelsamid alla Npr. “Tanto detto, quando fai ancora profitti come quelli di queste compagnie, dire che spendi soldi senza che ce ne sia bisogno sembra una spiegazione un po’ ingannevole”.

Profitti miliardari

Perché se è vero che negli ultimi mesi la crescita ha rallentato, le big tech continuano a guadagnare tantissimo. Un esempio per tutti: Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, in un incontro con i dipendenti ha spiegato come “il 2021 sia stato uno dei migliori anni della storia della società”, che ha dovuto incrementare il personale per sostenere la crescita. Ora che le cose vanno peggio, insomma, si deve tagliare. Google, però, non è certo a corto di risorse: i suoi profitti per il 2022 sono rimasti al di sotto dei 76 miliardi dell’anno precedente, ma hanno comunque sfiorato i 60 miliardi.

Del resto Microsoft, a dispetto dei tagli, spera di ricevere il via libera dall’antitrust statunitense per completare la più grande acquisizione della sua storia: quella di Activision Blizzard per 69 miliardi di dollari. Anche dopo un 2022 nero, Apple è la società con la più alta capitalizzazione di mercato al mondo, davanti a Microsoft. Google e Amazon sono quarta e quinta.

“Contagio sociale”

Qualcuno si spinge a dire che non solo i tagli non sono necessari, ma sono addirittura inutili. “I licenziamenti nell’industria tecnologica sono un caso di contagio sociale, in cui le aziende imitano le altre. Non sono basati su motivi reali”, ha detto Jeffrey Pfeffer, professore di economia a Stanford. “I licenziamenti non risolvono il problema sottostante, che, a seconda dei casi, può essere una strategia inefficace, o una perdita di quota di mercato, o ricavi insufficienti”. Le big tech potrebbero pentirsi “quando l’economia si riprenderà, tra 12, 14 o 18 mesi. Queste aziende torneranno sul mercato e dovranno competere tra loro per assumere talenti. In pratica, comprano lavoro a un prezzo alto e lo vendono a un prezzo basso”.

Pfeffer illustra la sua teoria con un esempio. “Dopo gli attentati dell’11 settembre, tutte le compagnie aeree licenziarono, tranne una: la Southwest. Alla fine dell’anno, la Southwest aveva aumentato la sua quota di mercato”. Non è un parere del tutto isolato: James Goodnight, il miliardario che guida Sas Institute, rivendica di non avere mai licenziato in massa e di avere assunto durante i periodi di crisi. I migliori, a suo giudizio, per reclutare nuovi talenti.

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