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Un traduttore simultaneo per i brand: così Twitch aiuta le aziende a dialogare con le nuove generazioni

Twitch è un servizio sempre più attraente per i brand che desiderino comunicare con i giovani adulti, carpirne il linguaggio e leggerne i bisogni.

Qualche mese fa, in occasione della pubblicazione della ricerca Generation Twitch, Forbes Italia intervistò Paul Nesbitt, director of international measurement and insight della piattaforma, per raccontare in che modo Twitch possa essere sempre più un mezzo per intercettare le nuove generazioni.

Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Nicoletta Besio, formatasi nell’alveo dei colossi Big Tech (Microsoft e Google) e, dal 2021, primo Twitch sales director assunto in Italia.

Prima d’allora tutto veniva coordinato e diretto da un team centrale, a Londra. Per Twitch, soprattutto a seguito della grande espansione del mercato advertising in questi due anni, a livello globale ed europeo (in particolare), è stata avvertita la necessità di stabilire una presenza più forte in Italia. L’obbiettivo è presidiare ciò che accade nel Paese e cogliere al meglio le sfumature e le differenze di ogni mercato”. 

L’obiettivo, dunque, era – ed è – quello di declinare via via l’offerta di Twitch nel locale?

Il 2021 è stato un anno positivo e il 2022 ci ha dato ragione. Abbiamo iniziato a farci conoscere, a lavorare con partner locali e internazionali importanti. Partner che hanno iniziato a capire le potenzialità che una realtà come Twitch può fornire loro per conquistare l’attenzione di un pubblico altrimenti sfuggente. 

Uno dei primi progetti (poi diventato un case study che raccontiamo anche all’estero) è stato il Samsung Creative Festival, per il lancio del loro prodotto principale, il Samsung S22. Con una maratona abbiamo declinato il loro prodotto su diversi top streamer, andando a comunicare attraverso piani narrativi diversi. Meglio: attraverso il punto di vista ogni volta profilato sul singolo streamer, sui suoi gusti e sui gusti della sua community. 

Altri progetti coronati da successo sono stati quelli con Lavazza, per esempio, dedicato alla sostenibilità ambientale e poi ripreso su altri mercati.

Il dialogo con i brand, invece, come si sviluppa?

All’inizio ero più io che cercavo un dialogo, perché probabilmente sono sempre mancate le opportunità e le occasioni, non essendoci mai stato un presidio locale. In più, capitava che i brand non avessero idea delle potenzialità che potevano crearsi. Questo è stato uno dei punti focali attraverso cui Twitch ha potuto parlare al b2b. Abbiamo anche iniziato a lavorare coi centri media e questo è stato un altro modo per farci conoscere all’esterno.   

Sta dicendo che Twitch funziona come un ‘traduttore simultaneo’ per i brand? 

Il nostro team creativo interno rappresenta il mediatore in grado di permettere ai due mondi di comunicare. Il Brand partnership studio (abbreviato in Bps) è una fucina di idee: parte da un canovaccio, da uno spunto creativo che arriva dal brand, quindi lo declina nel mondo di Twitch. Una volta instaurato questo rapporto, è il brand a lasciarci carta bianca. 

Abbiamo lavorato con un marchio di caffè, che aveva bisogno di trovare una chiave, un ingaggio per poter dialogare con la community; abbiamo allora pensato di sfidare la community a creare ricette con il caffè. Da un lato è una cosa semplice, ma l’approccio comunicativo, così interattivo, è qualcosa di mai sperimentato prima nella comunicazione promozionale. 

Quindi il Bps lavora anche come accademia di formazione per i brand che vogliano innovare la propria strategia comunicativa? E non è fondamentale nasca e si stabilisca un legame con il pubblico, un senso di appartenenza, per fare in modo che la comunicazione sia efficace?

Il senso d’appartenenza è tutto: Twitch esiste perché esiste la sua community, senza la quale non ci sarebbero né la piattaforma né le opportunità per i marchi.

La Twitch Generation, che convenzionalmente abbraccia Millennial, Gen Z e, dall’anno prossimo, anche la Gen Alpha, rappresenta un mondo, come si dice, always connected, incardinato su principi valoriali diversi da quelli delle generazioni precedenti. Lo stesso senso d’appartenenza di cui si parla è differente, nella realtà dell’always connected. È necessario che i brand riescano a comprenderlo per “tradurre” e veicolare il loro messaggio. 

La supposta mancanza di professionalità degli streamer/influencer, qui in Italia, crea problemi o timore ai brand?

Quando, con i brand, si inizia a fare un lavoro di alfabetizzazione, un po’ di remora iniziale può esserci e per i più svariati motivi. Quando, finalmente, si capisce che lo streamer è un professionista a tutti gli effetti, il timore passa e ci si concentra sulla collaborazione. 

Ciò che il content creator porta sul proprio canale è sempre frutto di una preparazione e di studio, cosa che molti sottovalutano o non credono possibile. In più, lo streamer affronta alcune difficoltà che, a ben vedere, per il brand possono costituire un vantaggio: anzitutto è sempre in diretta. Poi deve interagire con il suo pubblico, rispondere alla chat, mostrare sempre qualcosa di nuovo e affrontare gli eventuali inconvenienti. 

Infine – ed è una cosa fondamentale – i brand hanno compreso e accettato di buon grado che Twitch renda visibile il banner in cui si comunica che la pubblicità supporta lo streamer. È un elemento importante, capace di responsabilizzare anche le aziende, rendendole partecipi di un circolo virtuoso. Alla fine crea ricadute positive su tutti gli attori coinvolti nel processo: i marchi, i content creator, la community e Twitch.  

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