Silicon Valley Bank
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Diversificazione e flussi di cassa: le lezioni che le startup possono imparare dal caso Silicon Valley Bank

Il crollo della Silicon Valley Bank ha fatto tremare la California e il timore più grande oggi è quello di un effetto farfalla con ripercussioni sul mercato globale. La crisi finanziaria del colosso bancario americano, dovuta a un buco ‘scoperto’ di circa 2 miliardi di euro, ha già avviato infatti una serie di ripercussioni a livello globale.

Dal rosso delle principali borse europee agli scossoni per Credit Suisse (salvata da Ubs) e Deutsche Bank, passando per i timori per i propri risparmi depositati sui conti correnti, sono molte le domande che questo scenario sta sollevando. Il crollo di Svb si poteva evitare? Che cosa succederà adesso? I nostri risparmi sono al sicuro?

Quest’ultimo quesito se lo stanno ponendo anche molte startup guardando agli unicorni americani, bloccati nella loro operatività proprio a causa dei fondi depositati presso il gruppo bancario. Circle, Roblox e Rocket Lab sono alcune delle realtà che in questo momento hanno il fiato sospeso, cercando di capire le evoluzioni di questa vicenda.

Non avendo sfere di cristallo per capire cosa accadrà, possiamo provare ad analizzare le buone pratiche che normalmente aiutano a prevenire le situazioni di mancanza di liquidità in situazioni di crisi finanziaria. Ricordando che siamo davanti al “momento Lehman per la tecnologia”, come l’ha definito Cliff Marriott, co-head of technology, media and telecoms Europa di Goldman Sachs, in riferimento al periodo più nero per l’economia americana dalla crisi del 2008.

I miei risparmi sono al sicuro?

Una delle prime regole che insegnano all’università, quando si approcciano le materie economiche, è che bisogna diversificare i propri risparmi invece di investire tutto in unico paniere. Questa procedura mette al sicuro in casi come quello di Silicon Valley Bank. Ma in realtà occorre anche capire meglio come le banche si comportano e se i classici risparmi depositati sono al sicuro.

Da un’analisi del 2022 di Unimpresa e Banca d’Italia risulta che il saldo complessivo di risparmi depositati sui conti correnti italiani è di 1.481 miliardi di euro. Questi sono capitali che, per loro natura, rimangono immobili, senza fruttare rendimenti, non essendo investiti in alcuno strumento finanziario. Una cifra enorme, se consideriamo che il Pil italiano è di circa 2.100 miliardi di euro.

Che cosa succederebbe a questi risparmiatori se domani una banca italiana fallisse? Attraverso il Testo Unico Bancario (che recepisce la direttiva europea 2014/49/Ue) sappiamo che interverrebbero subito due sistemi di garanzia: il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e il Fondo di Garanzia dei Depositanti, che intervengono per somme fino ai 100mila euro. Quindi una prima prassi può essere proprio quella di individuare un limite tutelato dalla legge al denaro liquido da accantonare su un unico conto corrente. In questa maniera un’impresa non avrà mai tutti i fondi bloccati in una volta sola e quindi non comprometterà la sua operatività.

Diversificazione e strategia

Bisogna ricordare però che, nel caso di una piccola impresa, la liquidità è sempre un problema, anche a prescindere da fattori esterni che possano bloccare l’operatività come il caso Svb. Quindi una gestione efficiente dei flussi di cassa in entrata e in uscita è il primo passo per la sopravvivenza,

Diversificare tra più conti la liquidità e le linee di credito è sicuramente quella tutela maggiore che ci insegna a non avere troppi beni nello stesso paniere, esponendoci a un rischio minore.

Altro punto importante per una startup è anche il tema della gestione dei fondi da venture capital. Un accordo per cui non si riceve la liquidità in una volta sola, ma con diverse tranche ricorrenti durante l’anno, può avere un duplice beneficio: non solo la tutela da cyberattacchi, truffe o crolli alla Svb, ma anche la possibilità di ragionare meglio sulle spese delle startup e di non incorrere nella sindrome delle spese folli alla WeWork.

Non ragionare come in una bolla

Infine, l’ultima lezione che possiamo provare a trarne è forse quella più generale: ricordarci di guardare fuori dall’ecosistema startup. Il grande problema del crollo della Silicon Valley Bank, infatti, è stato l’aver bloccato la maggior parte delle startup americane che detenevano la maggior parte dei loro fondi (ben oltre i 250mila euro tutelati legalmente dalla normativa americana in caso di fallimento) proprio lì. 

La causa è anche che il mondo delle startup spesso e volentieri ragiona come una bolla, in cui il networking tra propri simili certe volte non permette di andare oltre e analizzare con lucidità eventuali rischi. E in questo caso preferire una banca tradizionale americana al colosso tech di turno non sarebbe stata affatto una cattiva idea.

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